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 La rete

idraulica torinese

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Ultimo aggiornamento: 15-12-2024

     La rete idraulica torinese ha origini medioevali e si è evoluta nel tempo fino alla fine del XIX secolo. Successivamente, ha subito un declino assai rapido nelle funzioni, seppure parte dei tracciati sussista ancora. L'asse principale aveva origine dalla Dora Riparia, presso la Pellerina, e terminava nel Po, al Regio Parco, articolandosi in varie canalizzazioni. Esso attraversava la parte settentrionale della città svolgendo funzioni prevalentemente industriali, prima fra tutte alimentando i mulini municipali di porta Palazzo. Il sistema cittadino 

dei canali era completato dal canale Ceronda, estratto dal torrente omonimo a Venaria Reale, e dal canale Michelotti, derivato dal Po. Quattordici bealere di natura irrigua o mista, derivate tutte dalla Dora Riparia, servivano il territorio metropolitano e le periferie urbane. (1)   

sguardo
LE BEALERE DERIVATE DALLA DORA RIPARIA

    La pianura torinese è di natura alluvionale e corrisponde in larga parte alla conoide di deiezione creata dalla Dora Riparia allo sbocco della valle di Susa. Essa declina naturalmente da ovest verso est-sud-est ed è attraversata dal fiume.

 

    Considerando la successione da Susa verso Torino, troviamo nell'ordine: la bealera di Rivoli, la bealera di Caselette ed Alpignano, la bealera di Grugliasco, la bealera Becchia, la bealera di Orbassano, la bealera dei prati di Pianezza, la bealera di Venaria, la bealera Barola, la bealera di Collegno, le bealere Putea e Putea-canale, la bealera Cossola, le bealere nuova e vecchia di Lucento e i canali della Pellerina, Meana e del Regio Parco.  Una cronologia delle realizzazioni è riportata in fig. 2.

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fig. 1 - Corografia delle campagne e degli abitati adiacenti al torrente Dora Riparia (1844)

I canali e le bealere derivati ​​dalla Dora Riparia a ovest di Torino erano molto più numerosi di quelli considerati in queste pagine web, scelti tra quelli maggiormente legati alla città e alla sua storia. La carta è stata redatta durante i lavori della Commissione Pernigotti e rappresenta il sistema idraulico ottocentesco nel momento della sua massima espansione.

Fonte: AST, Sezioni Riunite, Carte topografiche e disegni, Camerale Piemonte, Tipi articolo 663, Torino, mazzo 350

  Per quanto concerne la geografia dei territori attraversati, possiamo distinguere:

  • Dodici canalizzazioni derivate in sponda sinistra che raggiungevano il contado settentrionale: la bealera di Rivoli, la bealera di Caselette ed Alpignano, la bealera di Orbassano, la bealera dei prati di Pianezza, la bealera di Venaria, la bealera Barola, la bealera di Collegno, le bealere Putea e Putea-canale, le bealere nuova e vecchia di Lucento, il canale del Regio Parco. (Costituiscono due eccezioni la bealera di Orbassano, che nasce ad Alpignano, in sponda sinistra, volgendo poi a sud attraverso un ponte canale che oltrepassa il fiume; la bealera Putea-canale, che si distacca dalla gemella passando sulla sponda destra della Dora a Collegno.

  • Cinque derivazioni che dalla sponda destra del fiume volgevano verso le campagne meridionali: la bealera di Avigliana, la bealera di Grugliasco, la bealera Becchia, la bealera di Collegno, la bealera Cossola ed i canali della Pellerina e Meana

Cronologia delle canalizzazioni derivate dalla Dora

Fig. 2 - Presunte date di apertura delle canalizzazioni torinesi.

La documentazione non consente sempre di risalire con precisione all'anno di scavo. I dati riportati sono quelli validati dalla Commissione Pernigotti a metà del XIX secolo. L'asterisco (*) indica le attribuzioni

giuridiche che non corrispondono però alle effettive realizzazioni, come nel caso della bealera della Pellerina, che, pur in man-canza di attestazioni documentarie, sappia-mo risalire almeno alla metà del XIV secolo.

Fonte: Relazione Pernigotti.

   Inoltre, undici derivazioni entravano nei confini torinesi, mentre le restanti sei interessavano esclusivamente il circondario metropolitano. Tra le prime, troviamo le bealere di Grugliasco, Barola, Putea e Putea-canale, Cossola, Becchia, nuova e vecchia di Lucento ed i canali della Pellerina, Meana e del Regio Parco; tra le seconde le bealere di Rivoli, di Casellette ed Alpignano, di Orbassano, di Pianezza, di Venaria e di Collegno.

     La classificazione basata sulle funzioni prevalenti distingueva i canali industriali da quelli irrigui. I canali della Pellerina, Meana, del Regio Parco, Michelotti e Ceronda erano destinati principalmente alla produzione di forza motrice per le manifatture. Tuttavia, come prevedibile, la ripartizione non era così netta: anche queste derivazioni svolgevano funzioni irrigue, bagnando  campagne, orti e giardini; (cfr. scheda l'età napoleonica) mentre le bealere rurali non si limitavano all'irrigazione del contado, ma costituivano anche una fonte di energia per i mulini da cerali e opifici di comunità, quali fucine, peste  e martinetti idraulici.

     Le dimensioni e le potenzialità economiche di questa rete erano rilevanti. Le principali canalizzazioni derivate dalla Dora Riparia a valle del ponte della Giacconera presso Sant’Antonino di Susa, origine convenzionale del riparto Pernigotti, alla metà del XIX secolo irrigavano circa 20.000 giornate di terra tra la Stura ed il Sangone, e muovevano 278 ruote idrauliche, di cui 136 a Torino. (Fig. 7) Le sole bealere di Lucento, di Grugliasco, Becchia, Putea e Cossola, tutte estratte a monte della Pellerina, adacquavano 7.000 giornate di terra nei soli confini torinesi. 15 ruote idrauliche erano installate inoltre sulla bealera di Grugliasco,  9 sulla Becchia, 6 sulla bealera di Orbassano e 13 sulla bealera nuova di Lucento. (2)

 

    Per secoli, e fino all’avvento dell’energia elettrica, canali e bealere sostennero le sorti dell'industria torinese. Tuttavia il sistema non era esente da criticità, sia qualitative che quantitative. Pur essendo la Dora Riparia un corso d’acqua a regime fluviale, la vicinanza alle sorgenti le conferisce portate assai variabili. L’irregolarità dei flussi, ancor oggi ben nota, rappresentava un grave limite: mentre i periodi di siccità, anche assai lunghi, fermavano le ruote idrauliche ed assetavano le campagne, le piene improvvise e violente devastavano le opere di presa, gli alvei e i macchinari.

 

   In condizioni normali era possibile soddisfare tutti i bisogni, ma nei momenti difficili  aspre contese contrapponevano i consorzi di gestione delle bealere rurali e alle amministrazioni delle utenze torinesi, penalizzate dalla posizione terminale, a valle del sistema. Nemmeno il ruolo di città Capitale e gli interventi ducali riuscivano a tutelare adeguatamente gli interessi di Torino. I primi tentativi di ripartizione della acque del fiume risalgono al regno di Emanuele Filiberto, e sebbene anche in seguito non siano mancati gli sforzi per giungere ad una gestione condivisa delle acque, i risultati furono generalmente parziali, con conseguenze particolarmente evidenti nel corso della prima industrializzazione. Inoltre, come in ogni complesso idraulico, il numero di ruote installabili dipendeva dalla presenza di salti naturali adeguati e dalla distanza minima tra gli utilizzatori, necessaria per evitare malfunzionamenti e rigurgiti. Questo vincolo, determinato dalle caratteristiche e dalla pendenza del territorio, rappresentava un ulteriore limite che condizionava gli allacciamenti.

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1. Non vengono considerate le canalizzazioni provenienti dalla Dora più lontane dalla città e quelle derivate dalla Stura di Lanzo. Il canale Michelotti e il canale Ceronda sono entrambi di origine ottocentesca.

2. "Progetto per la ripartizione delle acque del fiume Dora Riparia, Tipografia", Chirio e Mina, Torino ,1851. (Relazione Pernigotti).

antonomasia
IL CANALE TORINESE PER ANTONOMASIA

     La principale canalizzazione cittadina ebbe innanzitutto lo scopo di assicurare il moto delle ruote idrauliche dei molini da grano di porta Palazzo, di gran lunga i principali della citta. Lungo il suo corso alimentava anche le macine del Martinetto e le grandi fabbriche governative e militari, oltre agli impianti dell’imprenditoria privata. Attraverso il canale di Torino, le acque provenienti dalla Pellerina raggiungevano l'abitato, dove erano impiegate per la bagnatura di orti e giardini, la pulizia di strade e mercati, lo sgombero della neve, lo spegnimento degli incendi e simili funzioni civiche.

Fig. 3 1831. Il “Gran canale dei mulini” fino a borgo Dora.

"Tipo regolare della regione di Valdocco con l'andamento della bealera dei Molini della città di Torino, sue diramazioni ed indicazione di tutti i bochetti sulla medesima esistenti e dei fossi d'irrigazione dipendenti".

Fonte: AST, Sezioni Riunite, Carte topografiche e disegni, Camerale Piemonte, Tipi articolo 663, Torino, mazzo 350

    Il canale fu completato nel corso del Settecento, con l'unione di derivazioni fino ad allora indipendenti, dando vita ad un unico grande corso d’acqua. Questo sistema idraulico, diffluente, unitario e articolato, comprendeva numerosi rami, formando una rete diffusa e integrata. Potremmo definirlo quindi una sorta di “canale di canali”, sia per la sua complessità, sia perché suddiviso in sezioni che assumevano nomi differenti lungo il percorso. All'asta principale sono stati attribuiti di volta in volta nomi diversi, quali “canale o gran canale della città”, “canale o bealera dei molini”, “canale del Martinetto”, “canale Meana”, “canale della Pellerina”, estendendo talvolta all'intero corso l’appellativo di una sua parte soltanto. Questo fatto, però, non generava confusione: era “il canale” cittadino per antonomasia, e comunque fosse nominato, non vi era rischio di fraintendimenti. Convenzionalmente, nelle pagine del sito saranno utilizzati gli idronimi più consueti di “Gran canale dei molini” e “Gran canale della Città”, o semplicemente "Gran canale", con l'avvertenza di non confondere il primo, attribuito all'intera asta, con il "canale dei Molassi", corrispondente al solo tratto compreso tra la Fabbrica d'armi di Valdocco e i molini di porta Palazzo.

La struttura.     

    Il “Gran canale dei molini” aveva origine alla traversa della Pellerina, e giunto al molino del Martinetto si divideva in due rami. Il canale di Torino riforniva d’acqua la città e, tramite un partitore collocato nell'area di piazza Statuto, si divideva in più condotti che terminavano parte in Vanchiglia e parte nel Po. Attraversando il territorio di San Donato,  esso alimentava a sua volta il canale della Cittadella, il canale del Valentino e un reticolo di rogge e fossi destinati all'irrigazione.

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Fig. 4 Il maggiore canale cittadino era formato dai canali della Pellerina, del Martinetto, dei Molassi e del Regio Parco.

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Fig. 5 Planimetria semplificata del “Gran canale dei molini”, con  delle principali diramazioni, nel 1911.

Le  progressive coperture hanno adattato i tracciati al nuovo reticolo urbano. Il disegno vuol fornire l'immagine di un sistema idraulico unitario, quasi a disegnare "un canale formato da canali".

Fonte: Dimostrazione grafica e descrizione delle bealere esistenti ne territorio di Torino, cit.

    La maggior parte delle acque entravano però nel canale del Martinetto, che dopo il molino omonimo, si dirigevano verso Valdocco e la fabbrica d’armi nota come Fucina delle canne da fucile. Qui riceveva l’apporto del canale Meana, estratto dalla vicina ansa della Dora, che compensava le acque sottratte dal canale di Torino e manteneva così la portata originaria. Con il nome di canale dei Molassi, esso proseguiva fino alla Polveriera (poi Arsenale delle costruzioni di artiglieria) ed i molini di porta Palazzo, detti per l'appunto i Molassi. Attraversata la Dora al ponte delle Benne, raggiungeva le manifatture del Regio Parco, rinforzato dai contributi di sorgenti, scoli ed infiltrazioni raccolti dal canale del Regio Parco. Nei pressi del cimitero di San Pietro in vincoli, si diramava il canale della Fucina, che serviva alcuni opifici idraulici minori, confluendo poi nuovamente nel canale principale.

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Fig. 6 La tabella riporta  la portata ordinaria e la portata minima delle principali canalizzazioni che nella seconda metà dell'Ottocento (1852) costituivano il sistema idraulici torinese.

Fonte: ASCT, TD 12 1 80

      I numeri del canale erano rilevanti. La sola asta principale misurava oltre 9.500 metri di lunghezza, con una caduta utile di 39,5 metri tra il Martinetto e il Po. La portata raggiungeva i 6.350 l/s in regime di acque abbondanti, di gran lunga superiore a quella di qualsiasi altra derivazione, risultando almeno quattro volte maggiore, ma soggetta a forti variazioni stagionali. L’energia dinamica teoricamente ricavabile dal canale era stimata in circa 2.600 CV.  (3)

napoleone

L'età napoleonica e l'inizio del XIX secolo

La rigorosa cultura amministrativa d'oltralpe introdotta in Piemonte durante il periodo napoleonico, basata su puntuali rilevazioni statistiche, ha prodotto una quantità di dati su strutture e caratteristiche del territorio  fino ad allora sconociuta. L'"État des Édifices tournants par les eaux dérivées du batardeau dit Pellerina" del 1812 censisce proprietà, ruote idrauliche e operai negli opifici lungo il Gran Canale della città. Il documento descrive inoltre le funzioni dei sedici bocchetti distribuiti lungo il suo corso. È interessante osservare che, nonostante la vocazione industriale dell'opera, ben 13 di essi risultavano destinati all'irrigazione, allacciando un'ottantina di utenti, per lo più situati nel territorio di S. Donato, nella fascia agricola compresa tra i canali della Pellerina e quella di Torino e il fiume..

"Etat des Edificies tournans par les eaux derivées du batardeau dit Pellerina." (1812)

Fonte: ASCT, Carte del Periodo Francese Vol. 16,  59/230 e nostra elaborazione

In una memoria del 1818, pochi anni dopo il ritorno dei Savoia, l'ingegnere idraulico Ignazio Michelotti osservava:

“Egl’è noto che il solo canale derivato dalla Dora presso la cascina Pellerina da colle acque sue il moto a circa 150 ruote; delle quali tre quarti gira ad uso di fabbriche diverse, le quali, oltre alimentare sul sito medesimo assai numero di operaj, ne occupano indirettamente un numero assai maggiore in Città. Egl’è noto altresì comunemente per quanto si sappia che nell’anno 1811 quando per la rottura della chiusa rimase a secco si valutò il danno della popolazione a due mi-lioni almeno, malgrado la decadenza in cui quella trovavasi. Né altro esempio di simile vantaggioso frutto di questo genere d’industria facilmente si trova altrove in Europa”.

Fonte: Memoria dell'Ing. Ignazio Michelotti sullo sviluppo industriale della Città […]

(ASCT, Ragionerie 1818/7, pag. 994)

Il massino sviluppo e il declino

Fu l’energia idraulica a sostenere la prima industrializzazione torinese, un processo non certo esplosivo, ma graduale e segnato da non poche difficoltà. Nel 1862, la forza motrice era fornita quasi per intero dall'acqua, decisamente più competitiva del carbone, il cui costo era cinque volte superiore. L’affermazione di quest'ultima fu lenta e e si limitò, per lo più, a surrogare le ruote e le turbine idrauliche nei periodi di siccità. I motori a vapore presenti in città erano solo 40, per una potenza complessiva di 267 cavalli, contro i 99 motori idraulici che fornivano 2.034 cavalli. L’acqua, inoltre, era indispensabile per molte delle funzioni produttive, come la lavatura delle pelli.

Opifici pubblici e privati sul "Gran canale dei mulini" (1840)

Fonte: Relazione Pernigotti

Fig. 7 La Torino preunitaria conservava la struttura economica e produttiva di una città Capitale, orientata a soddisfare i consumi della corte, dell’esercito e della burocrazia statale. Le attività terziarie prevalevano su quelle industriali, le quali presentavano un marcato dualismo. La tabella indica che l'80% delle ruote idrauliche era concentrata in tre grandi opifici governativi e nei due molini municipali; mentre le 25 ruote dell'imprenditoria privata si distribuivano in ben 15 stabilimenti, testimoniando le limitate dimensioni. La maggioranza delle manifatture, inoltre, non disponeva di alcun tipo di forza motrice. Considerati i limitati compiti affidati alle macchine nelle prime fasi dell'industrializzazione, l'effettivo impiego delle ruote idrauliche non era, di norma, né continuo, né simultaneo, né giornaliero, con l’eccezione dei palmenti dei grani, il cui lavoro subiva pochissime interruzioni. Il volume d'acqua richiesto al canale era però considerevole. Nel 1840, l'indagine Pernigotti stimava che i soli molini di Dora e le manifatture del Regio Parco richiedessero almeno 23 "ruote" d'acqua, assumendo che non più della metà dei meccanismi fosse in funzione. (1 ruota camerale d'acqua equivaleva a circa 340 litri al secondo).

    Il "Gran canale della città" costituì l’asse portante di un sistema industriale lineare, lungo le cui sponde, quasi senza soluzione di continuità tra il Martinetto e il Regio Parco, si sviluppò una composita area manifatturiera che ospitava le maggiori imprese cittadine. Nel 1844 la Commissione Pernigotti censiva 126 ruote idrauliche attive sul canale, distribuite in una ventina di opifici, a cui se ne aggiungevano altre 10 interne all’abitato. Tale concentrazione di impianti legati all’acqua determinò economie esterne e vantaggi, attirando anche fabbriche non dipendenti dal moto dell'acqua. Nonostante le funzioni extra-agricole, il "Gran canale" irrigava inoltre 1.130 giornate piemontesi di terra, pari a 434 ettari.

    In una relazione del 1870, gli industriali torinesi dichiaravano che sul canale gravitavano più di 60 opifici che occupavano circa 4.000 operai, rappresentanti gli interessi di oltre 12.000 persone. (4) Da un'altra fonte si apprende, che nello stesso periodo, vi operavano 98 motori idraulici, di cui 23 “turbini”. (5) Il quadro, tuttavia, cambiò radicalmente con l'avvento dell'energia elettrica. Tra i numerosi vantaggi introdotti dall'elettrificazione vi fu lo svincolo delle manifatture dall’acqua, che permise la loro diffusione in nuove aree, come borgo S. Paolo e il Lingotto, segnando il rapido declino della forza dinamica idraulica. 

 

Nel 1894, agli albori dello sviluppo elettrico, gli opifici idraulici erano già scesi a una quarantina. (6) Nel 1911, in città, risultavano in funzione 80 motori ad acqua, per complessivi 1.810 cavalli di potenza e 94 a vapore, per 3.915 cavalli; quelli a gas, benzina e petrolio erano 39, mentre operavano ben 2.613 motori elettrici, per un totale di 33.098 cavalli. (7) Seppure le tre maggiori utenze pubbliche abbiano continuato a servirsi del "Gran canale" fino agli anni Sessanta del Novecento, già nel primo Dopoguerra esso aveva per lo più esaurito le storiche funzioni industriali.

pernigotti

LA RELAZIONE PERNIGOTTI

 

Di norma, le acque della Dora Riparia riuscivano a soddisfare la vasta e articolata domanda delle molte utenze pubbliche e private. Durante i frequenti periodi di siccità era però il sistema idraulico torinese, quello più a valle, a subire le maggiori conseguenze. In tali circostanze, la portata del “Gran canale” poteva ridursi anche di tre o quattro volte, mettendo in crisi la città e i suoi opifici e generando aspri conflitti con gli utilizzatori a monte della Pellerina. Garantire le necessità annonarie della popolazione era compito primario ed irrinunciabile dell'Amministrazione torinese, e per assolverlo i molini municipali dovevano disporre di volumi d’acqua sufficienti a soddisfare la domanda giornaliera di farine. La Città incontrò sempre gravi difficoltà nel far valere le precedenze di cui godeva per antichi diritti d’acqua. (8) Si trattava di un tipico conflitto “monte-valle”, in cui la posizione dominante degli utilizzatori a monte prevaleva di fatto sui diritti di quelli  a valle, fossero pure le prerogative della capitale del Regno e degli arsenali e maggiori fabbriche. Le controversie segnarono la lunga storia idraulica torinese, ma è soprattutto grazie a questi conflitti che una larga parte della documentazione è giunta fino a noi.

 

In caso di siccità, la Città e le Autorità statali dovettero ricorrere a misure straordinarie di governo e regolazione delle acque, ricorrendo anche all'uso dei soldati. Già dalla fine del Cinquecento, si tentò più volte di controllare i prelievi attraverso piani di riduzione condivisi che conciliassero i diritti delle comunità con quelli della Capitale, ma abusi, illeciti, liti e contenziosi, rimasero all’ordine del giorno. (9) Il progetto più significativo risale alla metà dell’Ottocento, quando con Regie Patenti del 6 agosto 1839, il re Carlo Alberto istituì una Commissione incaricata di formulare una definitiva proposta di ripartizione delle acque derivate dalla Dora Riparia, definendo sia le legittime competenze delle canalizzazioni esistenti tra il Comune di S. Antonino di Susa e Torino, sia le necessità degli stabilimenti governativi e dei molini della Città, "pur senza trascurare i giusti bisogni dell'agricoltura". La Commissione, composta dal Procuratore Generale del Regno, dall’Avvocato Generale del Senato, dall’ispettore Generale delle Finanze e da un Senatore, nell’agosto 1841 incaricò il cav. Pietro Pernigotti, Ispettore del Genio Civile, Ingegnere idraulico delegato e membro della Reale Accademia delle Scienze, coadiuvato dagli ingegneri Giovanni Barone e Tommaso Bonvicini, di procedere con le ispezioni, le rilevazioni e tutte le operazioni necessarie per elaborare una proposta di riparto. Il 30 maggio 1844 la Commissione approvò la Relazione che illustrava la gran mole di lavoro svolto. Un secondo documento, che trattava nello specifico le questioni legali fu consegnato dall’avvocato Eugenio Gioberti il 30 giugno 1845. (10) Tuttavia, il nuovo quadro giuridico conseguente allo Statuto Albertino consigliò di procrastinare l'applicazione del piano, che infatti entrò in vigore solo con la sentenza della Corte di Appello di Casale del 22 marzo 1886. (11Il riparto Pernigotti vige tutt’ora, almeno nella forma, poichè da tempo superato nei fatti.

 

Il riparto proposto stabilisce la riduzione delle portate da applicarsi in base ai volumi d'acqua fluenti nella Dora, misurati su quattro livelli. Il primo, definito "di acque abbon-danti", corrisponde alle quantità d'acqua che permettono a ciascun canale di svolgere appieno le proprie funzioni e soddisfare tutte le utenze. Le "acque ordinarie" sono pari a tale portata ridotta di un quarto, mentre le "acque magre" e le "acque depresse" comportano rispettivamente la ulteriore diminuzione di un mezzo e di tre quarti rispetto alle acque abbondanti.

 

 Il lavoro della Commissione fu pubblicato con il titolo "Progetto per la ripartizione delle acque del fiume Dora Riparia" dalla Tipografia Chirio e Mina di Torino nel 1851. Sebbene di natura normativa, la ricerca ha prodotto un'ampia raccolta di misurazioni, disegni e mappe che descrivono nel dettaglio il tracciato e le opere di presa di ciascuna canalizzazione, nonchè la più completa raccolta di titoli e concessioni relativi ad ognuna di esse e il censimento delle superfici irrigate e delle utenze industriali. Essa rappresenta tuttora l'indagine organica di ordine tecnico, storico e giuridico di maggior rilievo condotta in oltre sette secoli, alla quale si deve una parte importante delle informazioni circa la struttura idraulica torinese.

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3. Secondo le rilevazioni della Commissione Pernigotti, la quantità d’acqua immessa nel canale dallo sbarramento della Pellerina in regime di “acque abbondanti” era di 6.339 l/s, scendendo a 4.754 l/s con “acque ordinarie”, a 3.169 l/s con “acque magre” e a soli 1.585 l/s nei momenti di siccità più grave. Ovviamente diminuiva proporzionalmente l’energia generata, che con le portate più basse risultava assolutamente insufficiente a garantire il  regolare funzionamento degli opifici lungo il suo corso.

4. "Sul governo delle acque motrici". Memoria presentata da una commissione di industriali di questa Città al signor Prefetto della Provincia Conte Radicati Talice di Passerano il 19 maggio 1870, s.e., Torino 1870, p. 5.

5. A. Covino, "Torino. Descrizione illustrata", Libreria Luigi Beuf, Torino 1873, p. 17. La diminuzione del numero ruote attive sul canale è imputabile all'adozione di motori più potenti, come le turbine, che permisero di sostituire un maggior numero di ruote idrauliche tradizionali.

6. Nel verbale della G.M. del 14 giugno 1894 gli opifici indicati sono 42, inclusi 4 opifici militari e la Fabbrica di Tabacchi (ASCT, AA.LL.PP., 1894, 203).

7. Cfr. P. Gribaudi, "Sui fattori geografici dello sviluppo industriale di Torino", rivista Torino, n° 4, anno 1933, p. 26-27. p. 55.

8. ​​I diritti della Città sulle acque scorrenti nel proprio territorio sono sanciti dagli Statuti approvati con Lettere Patenti di Amedeo VI del 6 giugno 1360, e le Lettere Patenti della duchessa Jolant di Savoia del 21 giugno 1375. Cfr. l'Età Medioevale e I molini di Dora)

9. Una sintesi completa dei tentativi di ripartizione delle acque della Dora è contenuta nel lavoro di C. Pezzoli, "La conflittualità idraulica a Torino e provincia tra Settecento e Ottocento. Un caso di studio", in “Bollettino della Società Geografica Italiana”, serie XII, vol. VII, 2002, pp. 149-156. I conflitti terminarono soltanto con la fine delle derivazioni torinesi. Cfr. a tal proposito l'articolo “Guerra” dell'acqua fra gli agricoltori della cintura Ovest e il Comune di Torino comparso su “La Stampa”, 7 agosto 1990.

10. La relazione del Gioberti è stata allegata a quella del Pernigotti e pubblicata nello stesso volume.

11. In realtà le proposte della Commissione Pernigotti non furono accettate integralmente da tutti gli interessati e la questione del riparto si concluse solo con la sentenza della Corte d'Appello di Casale del 22 marzo 1886 e successivo Regolamento applicativo (R. Soldati, "Cenni sull’applicazione del riparto Pernigotti alle derivazioni della Dora Riparia in conformità della sentenza 22 marzo 1886 della Corte d’Appello di Casale", Torino, 4 marzo 1888, in AST, Sezioni Riunite, Prefettura, Atti Amministrativi, m. 482).

odierno
IL QUADRO ODIERNO

     Cessata la produzione di forza motrice industriale, canali e bealere sono sopravvissuti a lungo. Nei decenni successivi hanno continuato ad irrigare i campi, spesso a ridosso o all'interno della città. Nelle cascine erano utilizzate per abbeverare il bestiame e, dove ancora non arrivava l’acqua potabile, per usi domestici non commestibili come la lavatura di stoviglie e panni. Le dismissioni sono andate a rilento, e quasi la metà di essi rimane tuttora in esercizio, seppure talora parziale. Naturalmente godono di maggiori prospettive quelle più lontane dall’agglomerato metropolitano. In città i tracciati sono stati progressivamente coperti, adattati al disegno del reticolo viario ed integrati nel sistema fognario sotterraneo, continuando così a sopperire ai consueti bisogni civici. Recentemente l’evoluzione delle tecnologie idroelettriche ha permesso di reimpiegare  i modesti salti d'acqua lungo la Dora per produrre energia rinnovabile a basso impatto ambientale, restituendo così una nuova funzione produttiva alle vecchie traverse.

 

Un’ulteriore classificazione delle canalizzazioni considera le funzioni attualmente svolte. Troveremo quindi:

  • Le sei canalizzazioni irrigue attive (qualcuna solo parzialmente), ossia: la bealera di Rivoli, la bealera di Caselette ed Alpignano, la bealera di Orbassano, la bealera di Collegno, la bealera Putea e la Putea-canale.

  • Il canale Meana, adibito esclusivamente a funzioni idroelettriche; esso costituisce l'ultima e sola derivazione ancora in esercizio facente parte del "Gran canale".

  • Le quattro bealere che svolgono sia funzioni irrigue che idroelettriche: la bealera di Grugliasco, la bealera di Venaria, la bealera Cossola e la bealera di Pianezza.

  • Le otto canalizzazioni definitivamente dismesse: la bealera Barola, la bealera nuova di Lucento, il canale della Pellerina (e tutti i rami urbani collegati, con l'eccezione del canale Meana) e il canale del Regio Parco. Si aggiungono anche la bealera Becchia (priva di utenze ma fluente fino a Bruere), il canale Cerondail canale Michelotti, derivato dal Po.

 

Sono inoltre impiegate esclusivamente per la produzione idroelettrica le traverse dei canali della Pellerinadel Regio Parco, mentre entrerà presumibilmente in esercizio nel 2025 la centrale in costruzione sul salto della bealera vecchia di Lucento .

     Negli spazi rur-urbani, dove città e campagna si fronteggiano e compenetrano, i tracciati sono stati abbandonati, ridotti, o accorpati, anche a causa delle fusioni tra i consorzi effettuate per fronteggiare i costi di gestione.  In alcuni casi, i percorsi sono stati ristrutturati riallacciandosi ad alvei dismessi per raggiungere le utenze rimaste isolate. L’espansione dell’abitato metropolitano è rallentata ma non si è interrotta, mentre le aziende agricole periurbane, confinate in spazi marginali, non paiono compatibili con un'agricoltura moderna e remunerativa. I campi sono abbandonati anche a causa dello invecchiamento della manodopera e la dismissione delle bealere continuerà presumibilmente in futuro.

     Le vecchie canalizzazioni artificiali si estendono ancora nel sottosuolo torinese per diverse decine di chilometri, continuando a contribuire al funzionamento della città. Seppure con poche eccezioni non siano non più alimentate, sono integrate nella rete fognaria e utilizzate per il lavaggio dei condotti fognari e lo smaltimento delle acque piovane di superficie. (12) Nel 2012, la municipalità torinese ha definitivamente interrotto i canali di propria competenza, ponendo così fine ad una storia di almeno sette secoli. Tuttavia, sono ancora attive alcune canalizzazioni minori gestite dai consorzi privati, che scorrono nelle estreme periferie, scoperte e visibili per qualche breve tratto.

fig. 8 Rete dei corsi d'acqua minori a Torino.

Il disegno, a scala 1:6000, è parte delle tavole del P.R.G. di Torino ed è aggiornata al 2004. I condotti naturalmente sono tutti sotterranei.

2006---Carta-tecnica-1_6000.jpg

Fonte: Geoportale della Città di Torino (cliccare per andare alla mappa)

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12. Tuttavia, in seguito al raddoppio del collettore fognario parallelo al Po, conosciuto anche come "Idropolitana", anche quest'ultima funzione residua cesserà in gran parte di esistere. 

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