Il canale Michelotti
Dal ponte Vittorio Emanuele I ai molini della Madonna del Pilone
«Inferiormente al ponte in pietra, che unisce la piazza Vittorio Emanuele a quella della Gran Madre, a sponda destra si deriva, mediante una grandiosa diga, il canale detto Michelotti, dal nome dell'ingegnere che lo ideò e ne diresse i lavori, negli anni 1815-1816. La sua portata è di m.c. 6840. Esso si mantiene sulla sponda destra del Po. Alla Madonna del Pilone attiva il molino detto delle Catene, già della Città, ed ora proprio di una Società privata. Dopo il molino esiste un edifizio idraulico per sollevare circa 80 litri d'acqua, i quali servono all'irrigazione di tutta la zona dell'agro torinese compreso fra la strada di Casale ed il Po, di circa ettari 30,49. Questo edifizio venne costrutto dal Municipio di Torino, il quale lo mantiene, e vende ai privati l'acqua d'irrigazione» (0)
CONTENUTI
Il canale Michelotti è stato il solo derivato dal Po nel territorio torinese. Dal ponte Vittorio Emanuele I si sviluppava circa 3500 metri lungo la sponda destra del fiume, riconfluendovi a Sassi. Realizzato per azionare i molini della Madonna del Pilone, il canale rappresentò per oltre centocinquant'anni una presenza dominante nell'Oltrepò, anche se non riuscì a promuoverne lo sviluppo industriale.
Il canale Michelotti scorreva, complanare e parallelo al Po, dalla Gran Madre alla Madonna del Pilone e in seguito fu prolungato. Un impianto di sollevamento ne introduceva le acque nel canale irriguo del Meisino.
Fonte: Nostra elaborazione su base Google Hearth
A Torino il Po scorre lento e incassato. La morfologia del fiume ha protetto la città dalle esondazioni, ma ne ha limitato le opportunità di sfruttamento. Nel corso dei secoli, le sponde alte, la limitata pendenza e la larghezza dell’alveo hanno ostacolato la derivazione di canalizzazioni arti-ficiali efficienti. Non di meno, sbarramenti e opere di presa avrebbero intralciato la naviga-zione commerciale, già citata da Plinio, fondamentale nei secoli successivi ed estesa ai trasporti
Nella seconda metà dell'Ottocento sono ancora numerose le barche che navigano il Po, seppure ormai di modeste dimensioni, anche a causa del notevole dreanaggio d'acqua dovuto al canale Michelotti. L'assenza del ponte di c.so Regina Margherita, iniziato nel 1877, permette di datare l'immagine prima di tale anno.
Fonte: C. Politi, Torino Sparita su Facebook
militari in età moderna. Di fatto è valsa a lungo una netta separazione funzionale in ragione della quale i corsi d'acqua maggiori erano destinati al traffico mercantile e quelli minori al servizio dell'industria. (1) In tal senso, il Po è stato una via d'acqua per il trasporto delle merci - e per certi versi il fiume “elegante” della città e nobile scenografia per feste e rituali di Corte (1a) - ma ha dato ben poco contributo per le irrigazioni, l’approvvigionamento idrico della città e la produzione di forza motrice. L’impiego a scopi produttivi fu perlopiù limitato ai molini “natanti”, ossia galleggianti, che comunque contendevano ai barcaioli la navigabilità del fiume. I principali furono i mulini di Cavoretto, della Rocca e della Madonna del Pilone, anche se non mancano notizie di altre installazioni, per altro innanzitutto al servizio delle comunità locali. (2)
I molini "natanti", detti "delle catene"
Mulino natante sul Po a Revere (MN). Ricostruzione in scala reale e funzionante per fini turistici e didattici.
Fonte: Anna Maria Baratta, pag. Facebook "Mulini"
I mulini natanti erano opifici fluviali molto diffusi in passato. Per quanto di fogge e caratteristiche assai differenti, in linea di principio erano costituiti da barche o coppie di pontoni galleggianti
I molini natanti erano strutture galleggianti formate, in genere, da due barconi ravvicinati (pontoni) di rovere o più comunemente di pioppo (in dialetto albera). Il fondo (pontiale) era in assi di legno, e così pure le sponde laterali (galloni). Il pontone disposto verso la riva era detto «di riva», mentre pontonotto era chiamato il barcone da «largo» attiguo al passaggio della navigazione. Da terra si approdava sul molino natante tramite una passerella; entrambi erano ancorati alla diga di tracimazione, una palizzata a doppio ordine di pali, riempita di pietre e conficcata nel letto del fiume. Corredava il molino un «taglietto» usato d’inverno per spezzare i lastroni di ghiaccio che potevano galleggiare sul Po. (Paroni di barche, cit. pag. 11).
Disegno: F. Corni e L. Confortini, 2003. In "Le ruote del pane", Edit. Sometti )
e solidali tra loro, che sorreggevano ruote idrauliche e macine azionate direttamente dalla corrente. (3) Erano strutture leggere, ormeggiate sulle rive dei fiumi, che si adeguavano naturalmente alla profondità delle acque e potevano essere spostati o tirati in secca durante le alluvioni, anche se talora le cronache raccontano di molini strappati dagli ormeggi dall'impeto delle piene, come avvenne, ad esempio a quelli delle catene nel corso della violenta alluvione del novembre del 1706. In quanto galleggianti, il loro lavoro non era soggetto alle variazioni di portata subite dagli impianti terragni costruiti sui canali, ma il loro potenziale di macina era, inferiore; inoltre impiegavano volumi d'acqua doppi e, in forte regime di magra, nemmeno il loro lavoro era esente da difficoltà. Infine, se pure non richiedessero "ficche" che sbarrassero completamente i corsi d'acqua, le lunghe palizzate erette in obliquo nel letto dei fiumi per raccogliere e indirizzare il flusso costituivano un intralcio alla navigazione, mal tollerato da barcaioli e padroni di barche. (4) Ad esempio, nel 1490, Antonio Buffati, cittadino torinese, lamenta presso la Congregazione di non trovare un luogo dove possano essere convenientemente collocate le due o tre ruote del mulino a pontoni per la macinazione dei grani concessegli sul Po a causa delle molte opposizioni che incontra localmente, tanto da insinuare che la Città non riesca, di fatto, a far valere i diritti che detiene sulle sponde del fiume. (4a)
L'ormeggio sul Po dei primi molini galleggianti risale ad un'epoca non databile ma sicuramente remota. In un documento del 1780, la Città asserisce di non poter stabilire - con l'eccezione di quelli delle catene - l'origine del possesso e dei diritti degli impianti in questione e perciò li ritiene anteriori agli Statuti cittadini del 1360. (4b) L'utilizzo, fin dai tempi più antichi, del fiume per la macinazione dei grani e la produzione delle farine pare più che plausibile, poiché soddisfaceva la principale necessità annonaria, indispensabile per la sopravvivenza della popolazione.
Un molino da grani eretto su pontoni "presso il ponte di Po" è censito nel corso di una visita del 5 marzo 1576. Esso è dotato di una "rodda al di fuori" (cioè volta verso il fiume) collegata ad un palmento, ed è trattenuto da corde e una catena di ferro. La struttura è in buono stato di conservazione e gli estimatori confermano la precedente valutazione di «scudi centosessantacinque de fiorini nove l'uno», esclusi gli "ingegni", stimati a parte. La ficca, posta "dentro il Po", misura "disdotto" (diciotto) trabucchi ed è rinforzata alla base da travi in legno. Il molino è ormeggiato alla riva verso la città, lunga cinquantasei trabucchi, «con doi balbi, senza però verganti e fascine». (4c) L'opificio pare corrispondere a quello citato nei Consegnamenti dei Beni della Città del 22 ottobre 1674 quale «molino da una ruota da grano girante al di sotto e poco lontano dal ponte di Pietra grande di Po verso levante, con sua fica». Il possesso municipale è ricondotto a sentenza del Consiglio ducale del 5 luglio 1531 contro il sig. Rucazio. (4d) (03-11-2022 e 14-11-2022)
"Le couvent des capucins à Turin, prés du Po". (Anonimo francese del XVII secolo). Si noti il piccolo mulino galleg-giante ormeggiato in sponda sinistra del fiume.
Fonte Musée du Louvre
Le prime tracce documentarie di una coppia di molini galleggianti ormeggiati sulla rivadestra del Po nei pressi del “Pillone di Chieri, detti “delle catene”, o semplicemente “le catene”, risalgono al 1474. Il 10 dicembre 1518 il tesoriere Baldassarre della Catena (o Cattena) presentava al duca Carlo III di Savoia una supplica per ottenere in albergamento perpetuo i «molendina ad pontonum super flumine Padi finium Thaurini», costruiti qualche anno addietro a circa un miglio di distanza dalla città. (5) Il sovrano, con Patenti del 1 luglio 1519, accondiscendeva alla richiesta in cambio di 2 scudi d'oro , da versare ogni annoal Vicario di Torino. Lo stemma ducale applicato sui mulini assicurava la salvaguardia e la protezione ducale estendendola agli “artifizi”, ai mugnai ed ai coloni del Catena. (6)
Non abbiamo rappresentazioni fedeli dei vecchi molini delle Catene; tuttavia, ancorati lungo le sponde del Po, essi compaiono di frequente nella cartografia seicentesca.
Fonti: Royal Collection Trust (a sinistra) e www.cultor.org (a destra)
La Città ritenne lesi i propri diritti esercitati sulle acque, sui molini e su ogni edificio idraulico in Torino. Si aprì così una lunga controversia in cui denunce e ricorsi, ordini di demolizione e suppliche di ripristino ed ingiunzioni si susseguirono per oltre vent'anni, coinvolgendo anche il Duca e, dopo l’occupazione del 1536, il Parlamento del Re di Francia a Torino. La sentenza del Senato del 19 novembre 1541 confermò le prerogative della Città, imponendo agli eredi del Catena di fermare ed abbattere i loro molini. Tuttavia, la questione si risolse in via definitiva solo qualche anno più tardi, con la cessione amichevole degli impianti all'Amministrazione torinese da parte degli eredi del Catena, ufficializzata con gli istrumenti del 10 agosto 1563 e del 26 febbraio 1565.
Da tali atti si apprende che «Il signor Sebastiano della Catena cittadino e patricero Turinese qual tanto a suo nome proprio come al nome di messer Baldassarre della Catena suo nipote e figliolo del fu messer Filippo della Catena fratello d'esso signor Sebastiano […] è pienamente informato d’un arresto, o sentenza, emessa agli anni passati contro i suddetti fratelli in favore della Magnifica Comunità di Torino per l’illustre Corte del parlamento quale allora sedeva in Torino per il Re Cristianissimo sopra l’annullamento di una concessione fatta per lo Ill.mo Duca Carlo fatta al suddetto loro Padre Baldassarre de certi Molini a pontone con l’acquaggio, e certo terreno sopra il fiume Po presso il pillone qual è il retto sopra la strada per la quale si va a Chiery». Egli rinuncia espressamente ed in toto alla concessione ed ai diritti che discendono dalla stessa «non solo per acquiescer a detto arresto e cavar di spesa lui e detto nipote, ma per far ufficio tipo di bon gentillomo e cittadino di detta Città medianti scudi cento de fiorini otto l’uno pagar promessi pe detta Comunità o a sui agenti fra sei mesi». (7)
Secondo il già citato estimo del 1576, «i mollini hanno luoro cattene di fisso ognuno una alle quali stanno attaccati... più due butte di bosco di rolle per tenerli qual hanno doi anelli di ferro per ognuna a tenerli ». Essi montano due ruote parallele, una "verso terra" e l'altra "verso il fiume", collegate ognuna ad una copia di "molle" - ossia ad un palmento formato da due macine, o mole. Trasmissioni ("arbori" e "roetti") e accessori sono in buone condizioni, mentre le coperture risultano danneggiate; al solaio del molino verso terra mancano tre assi e «ha un letto per dormir, o sia lettone di assi otto di arbore». La ficca richiede invece parecchie riparazioni; si stimano necessarie un migliaio di fascine, da trenta a quaranta "passoni di role" [pali di rovere] e "dodici navate di pietre" «per rimetterla a tre corrigie, ora non sono che due et l'una disfatta e corrosa per circa trabucchi da sette a otto»; la spesa necessaria è valutata pari a circa ottanta scudi. (7a) (3-11-2022)
I molini delle catene erano detti anche "della Madonna del Pilone" in virtù del miracolo operato, secondo la tradizione popolare, dalla Vergine Maria nel 1644, salvando una bambina caduta tra le loro pale. Il quadro è esposto nella chiesa parrocchiale e raffigura il momento cruciale della vicenda, quando la figura della Vergine si leva dal pilone posto sulla strada di Chieri per salvare la piccola; peraltro, offre anche una interessante immagine pittorica dei molini natanti. Già l’anno seguente la colonnetta votiva fu sostituita, dapprima da una cappella e, poi, da una chiesa più grande, eretta per volere della pubblica devozione, a cui contribuì anche la Regal Casa. Nel tempo, il toponimo “Madonna del Pilone” è diventato un sicuro riferimento territoriale. (8) Si noti quanto i molini dipinti assomiglino a quelli descritti nell'estimo del 1575.
Fonte: Chiesa parrocchiale della Madonna del Pilone
I molini delle catene erano piccoli impianti di interesse locale, prevalentemente al servizio del circondario, che evitavano agli abitanti lunghi e faticosi tragitti per raggiungere i Molassi di porta Palazzo. Secondo una rilevazione del 1758, essi macinarono in quell’anno 202 sacchi di farina. Nel decennio 1770-1779, in base a una statistica più significativa perché riferita a un periodo più lungo, la loro produzione media raggiunse i 400 sacchi annui, di cui 294 di frumento, 55 di barbariato e segale e 66 di meliga e marsaschi. Erano volumi modesti, che contribuivano solo con qualche punto percentuale alla produzione torinese di farine. Le «Catene» potevano tuttavia assumere maggiore importanza quando le bizze della Dora fermavano le altre macine, come avvenne nel 1775, quando alla Madonna del Pilone si produssero ben 449 sacchi di frumento, 34 di segale e barbariato e 111 di meliga e marsaschi, per ben 594 sacchi totali. (9)
Il borgo della Madonna del Pilone
Così Giovanni Amedeo Grossi descrive il borgo alla fine del Settecento:
«La Madonna del Pilone. Piccola borgata con Santuario di detto nome alla destra del fiume Po lungi un miglio da Torino: alla Chiesa, che dà la denominazione alla detta borgata, si è alzato il Campanile nel 1787 e si trovano nella medesima eccellenti pitture. Prima del 1644 eravi che un semplice pilone coll'immagine della SS. Annunziata che al primo di maggio di dett'anno liberò una figlia caduta nel Po sotto d'un molino ivi attiguo, che in oggi è edificato suI terreno alquanto inferiormente, e stante un cosi singolare miracolo in detto anno si fabbricò la detta Chiesa. In detta borgata vi sono le case della signora Jrene Affalonio, Gio Bertagna, Antonio Tavella edificate quelle due verso il 1780; come altresì una parte di quella di Gio. Bat. Ferro sopra il rivo di Reaglie, Valerìano Fenoglio; tutte le altre poste in vicinanza della Chiesa predetta sono del Rev.mo. Capitolo di San Giovanni Battista a riserva di quella di Domenico Ricchiardo»
(Giovanni Lorenzo Amedeo Grossi, Guida alle ville e vigne del territorio di Torino, e contorni …
con Supplemento alla descrizione di detta città, e variazioni occorse, vol. 2°, 1791, Torino, p. 99)
Molto più colorita è l'immagine del borgo dipinta da Giuseppe Francesco Baruffi alla metà dell'Ottocento durante una delle sue 'Passeggiate':
«Il piccolo borgo polveroso che prende il nome dal Santuario è crescente; esso ha l'aspetto d'un lieto villaggio posto ai piedi di una ridente collina. Riceve molta vita dalle strade di Chieri, di Superga, di Casale, che ivi mettono capo, e dai molti Omnibus che vi trasportano giornalmente ad ogni ora in gran quantità i Torinesi alle ville che ivi sorgono le une presso le altre. Nei giorni festivi molti popolani accorrono in questo borgo a godersi alcune ore allegre, a gustare i pesci vivi, e rifarsi delle fatiche della settimana». Nel borgo, dove si noleggiano anche gli asini per salire a Superga, è descritto dunque come luogo di loisir, ma l'autore non si esime dall’osservare che «la breve distanza di circa due chilometri, e le quattro strade che lo avvicinano a Torino, portano ivi una gran folla di cittadini. Ci permettiamo di insistere sulla necessità di moralizzare con ogni maniera di mezzi i pubblici divertimenti, giacché si contribuirà in gran parte a riempire il nobilissimo scopo della divina istituzione della domenica, giorno appunto destinato a sollevare l'anima e ritemprare il corpo.»
Il buon sacerdote altro non dice, lasciandoci la curiosità di sapere quanto di così sconveniente potesse accadere la domenica lungo il fiume o il canale.
(Giuseppe Francesco Baruffi, Passeggiate nei dintorni di Torino ai colti e gentili Torinesi.
Memorie ed ossequio - Vol. I,IV, Stamperia Reale, Torino, 1853, p. 25)
Le "Catene" lavorarono ininterrottamente per circa due secoli e mezzo, fermandosi soltanto per rifacimenti e riparazioni, vuoi dovute all'usura del tempo (come nel 1567-68), vuoi a disastrose alluvioni (come nel 1583 e nel 1707). Nella seconda metà del XVIII secolo, la precarietà, intralcio alla navigazione, e soprattutto la capacità di macina e la produttività limitate ne determinarono la ricostruzione sulla terraferma, quali impianti "terragni".
Il "Tipo rappresentante li molini sul Po detti del Pilone della presente Ill.ma Città di Torino", firmato dall’ing. Giuseppe Castelli in data 26 dicembre 1775, è di duplice interesse. Pur non essendo quello definitivo, esso mostra sia il progetto dei nuovi molini "terragni" e relativa bealera (tratto in rosso), sia i vecchi impianti. Questi ultimi sono descritti, nei Consegnamenti dei beni municipali del 22 ottobre 1674, come «un molino di due ruote da grano giranti similmente sovra il detto fiume Po, detti molini delle Catene, con la fica che traversa detto fiume pendente verso detto molino per alimentare il canale delle suddette due ruote, lasciando però il passaggio a bocca del principio della fica con la solita levata verso la Città a ponente». (10) Nel disegno sono infatti ben riconoscibili la coppia di pontoni galleggianti, la lunghissima palizzata che sbarra in obliquo il fiume, lasciando libero solo uno spazio all'estremità superiore destra per il passaggio delle barche.
Fonte: ASCT, AA.LL.PP. Canali ponti fognature, 70/3.
I molini "terragni"
L'alternativa tra l'eliminare i molini natanti o ricostruirli sulla terraferma era in discussione almeno alla fine del Seicento, ma solo nel 1775 venne presa una decisione. La gestazione dell'opera fu complessa; se il molino, di per sé, non presentava particolari difficoltà, ben più difficile fu, invece, la realizzazione di un canale dotato di un salto idraulico sufficiente e di una chiusa compatibile con la navigazione e le altre attività fluviali. Il progetto originario, redatto dall'ing. Giuseppe Castelli, suscitò parecchi dubbi e fu rivisto alla luce delle proposte espresse da un comitato tecnico ai cui lavori parteciparono non solo i migliori architetti e ingegneri idraulici (tra cui Domenico Michelotti ed Ignazio Bidone) ma anche i padroni delle barche che solcavano il Po. (11) Alla fine, venne redatto un piano che ottemperasse le diverse esigenze fluviali. I nuovi impianti furono collocati dove già erano ancorati quelli galleggianti, ossia dove il rivo di Reaglie si getta nel Po. La chiusa era formata da tre ordini di pali rivestiti di tavole in legno e riempiti di ciottoli; più corta e, almeno nelle intenzioni, dal minor impatto, attraversava in obliquo il fiume, consentendo all'estremità sinistra il passaggio delle imbarcazioni e immettendo l'acqua nella breve bealera dei molini, all'estremità opposta. Le prime tre ruote idrauliche dell'impianto entrarono in funzione nel 1779 e, ben presto, altre due se ne aggiunsero.
Una descrizione del molino della Madonna del Pilone allo stato d'origine si può ricavare dalle planimetrie del 1781, contenute nel Cabreo delle case, molini, bealere, ficche de altri edifizi della Città di Torino. I disegni mostrano un edificio di due piani fuori terra. Quello inferiore ospita le macine che, come di consueto, poggiano su un soppalco a cui si accede sia internamente, sia attraverso una scala esterna coperta. Due scale esterne conducono al piano superiore, dove si trovano tanto l'alloggio del pesatore, composto di una camera e di un camerino con fornello, quanto quello ben più spazioso del mugnaio, formato da cinque stanze, un andito, una grande cucina e la latrina. Un magazzino, la stalla, il peso e un pozzo costituiscono le principali pertinenze dell'edificio. L'opificio risulta dotato di cinque ruote idrauliche in legno, alimentate dal basso o alle reni a causa del modesto salto disponibile di sole 26 once (1,25 m). (12)
Il disegno del 1781 mostra già un impianto di un certo rilievo. Le tre ruote del progetto iniziale sono state portate a cinque, e presto si aggiungerà quella della "pesta" da canapa. Esse sono poste in sequenza in virtù del limitato salto idraulico; l'impianto non è dotato di uno scaricatore e la funzione è svolta dal canale stesso grazie ad un divisorio posto nel canale stesso. Si noti sulla sinistra del disegno il ponte-canale tramite cui il rivo di Reaglie scavalca la bealera.
Fonte: ASCT, TD 17. 1. 13
Nonostante i miglioramenti apportati in fase di progetto, ben presto emersero i temuti nodi strutturali dell'opera. Abbondanti sedimenti tendevano ad ostruire l’imbocco del canale, mentre in caso di forti piogge lo sbarramento favoriva l'inondazione delle case, della chiesa parrocchiale e dei terreni circostanti. In regime di magra del fiume, si potevano mettere al lavoro non più di due o tre palmenti, e anche la navigazione diventava rischiosa. Per contro, lo scaricatore del canale, collocato troppo vicino alla presa, provocava rigurgiti che rallentavano i molini, e arrivava perfino a bloccarli, anche con piene del fiume contenute. Per fronteggiare la situazione furono effettuati nuovi interventi: la chiusa fu sensibilmente modificata in altezza, la lunghezza venne triplicata, portandola all'insolita misura di 550 m, e fu dotata di alcuni scaricatori per limitare i depositi di ghiaia all'ingresso del canale; il passaggio per le imbarcazioni fu allargato fino a 8 metri. Tali lavori risultarono assai onerosi, tali da obbligare la Città a rinviare importanti riparazioni alla ficca Pellerina, e tuttavia non risolsero i problemi in modo definitivo. (13)
Il "Tipo dimostrante il Molino della Città denominato tella Madonna del Pillone" del 1781 mostra la struttura originaria dell'impianto terragno. Si notino la posizione geografica del mulino al bivio della strada di Chieri; la lunghissima palizzata che introduce l'acqua nella bealera, la cui presa si trova a fianco della chiesa parrocchiale; lo scaricatore, di eccezionale lunghezza per evitare i rigurgiti che lo scarso declivio del fiume potrebbe causare; il passaggio per la navigazione; la complessa struttura di pesca, quali testimonianze delle attività fluviali con cui i molini dovevano fare i conti. Si notino altresì gli abbondanti depositi di detriti causati dalle palificate.
Fonte: ASCT, TD 17. 1. 12.
Le ipotesi di Giovanni Amedeo Grossi
L’idea di arretrare la presa del canale dei molini al ponte di Po è prefigurata da Lorenzo Amedeo Grossi nel primo volume della celebre "Guida alle cascine, e vigne del territorio di Torino" del 1791, dove spiega che:
«Il Po sopra il territorio di Torino fluisce entro un alveo incassato di tal maniera che la campagna non ne sente verun utile, compensando però il danno della medesima col commercio della Città. Detto fiume è di larghezza trabucchi 20 accomunatamente; le sue mediocri escrescenze sono d’un trabucco in altezza; la navigazione di detto fiume nelle vicinanze di Torino è molto imbrogliata da tre ficche, massimamente da quella vicino alla Madonna del Pilone, per cui l’acqua è obbligata a cadere con tanta velocità è pericolo de’ naviganti, che preferiscono di far un miglio a piedi pria d’imbarcarsi all’oggetto d’iscansar il timore del naufragio. Siccome l’annual spesa del rimpiazzamento delle palafitte è considerabilissima, ascendendo fatta una comune, in seguito alle informazioni prese, a lire dieci mille annue, al di cui risparmio credo conveniente la derivazione d’un canale verso la ripa destra, pel di cui imbocco verrebbe in acconcio una campata di ponte di Po; quindi seguitando il canale fino al fianco del ponte del Tarino, in tal vicinanza occorrerà di far un condotto per far passar l’acqua di detto canale al di sotto del rivo proveniente dalla val San Martino. Superato dall’ostacolo si può tirare avanti fino ad infilare il canale di già esistente del mulino delle catene; siccome con tal manodopera acquisterassi una molto maggior caduta, e che con la medesima acqua si fa girare un doppio numero di ruote, potransi allora sopprimere li molini volanti sopra il fiume Po e nichliar le ficche inservendo le pile del ponte di Po per far alzar l’acqua di pelo, ed introdurre nuovo canale; laonde il vantaggio chiaro, aggiungendosi solo la spesa del riadattamento de’ presentanei ingegni, ed alquanto l’edificio di detto molino delle catene; locchè tutto ridonderà ad una perfetta convenienza dello speso.» (14)
Nel secondo volume dell’opera il Grossi accenna ad un progetto più ambizioso.
«Dopo d’essersi trattato nel primo volume per una consimil opera, si porge sott’occhio per pubblico vantaggio altro mezzo di ciò eseguire con derivarsi un canale poco sotto al confluente del fiume Po col torrente Sangone, quale costeggierà più, o meno alla ripa sinistra di detto fiume secondo che il terreno e cascinali richiederanno, e condurrassi detto canale in maniera, che venga costeggiare le muraglie di ponente, che racchiudono il tenimento del gioco del Palmajo, [Pallamaglio, al Valentino, n.d.r.] la porta, e ‘l ponte di Po, e finalmente fino presso la cascina denominata Vanchìa grossa, dove ritrova si una gran pendenza di terreno: che è quanto in breve fassi presente per ora». (15)
Il canale Michelotti
Il nuovo canale. L'intervento ipotizzato da Amedeo Grossi sarà realizzato dall'ingegner Ignazio Michelotti. Alla fine del XVIII secolo, quindi, la chiusa della Madonna del Pilone risultava rovinata in vari punti e non più in grado di contenere e sollevare adeguatamente le acque. Le riparazioni si prospettavano molto costose, stante anche l'abnorme lunghezza dell'opera. Le riparazioni non avrebbero co-
Il ponte in pietra napoleonico e la traversa del canale Michelotti allo stato di origine. Per quanto l'opera sia dotata di un passaggio per le barche, visibile sulla destra, ha sicuramente contribuito a ridurre la navigazione sul fiume a monte. La veduta pare risalire agli anni '30-'40 dell'Ottocento.
Fonte: Fondazione Accorsi-Ometto
munque risolto le annose criticità, tra cui la sua inefficienza, considerato che, in regime di magra del fiume, ai molini non permetteva che il giro di due o tre ruote. La ricostruzione venne valutata più conveniente e nella scelta contò anche il beneficio sociale di procurare lavoro a diverse centinaia di "indigenti". Così, ancora nel periodo napoleonico, il Michelotti (16) fu incaricato di redigere il progetto del nuovo canale con presa arretrata al ponte in pietra da poco terminato. (17)
Il governo della Restaurazione non abbandonò l'intento. Il disegno definitivo dell'opera venne depositato dal Michelotti il 16 dicembre 1815 e i lavori furono approvati con Regie Patenti del 13 gennaio 1816. Le opere da eseguirsi sono minuziosamente descritte nell’Istruzione (18) del 20 gennaio successivo:
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La chiusa, o ficca, di forma curvilinea sarà composta da 420 pali di rovere dotati di punta in ferro e lunghezza variabile da uno a due trabucchi (1 trabucco=3,083 m). I pali saranno suddivisi su tre ordini e conficcati nel letto del fiume a 3 piedi di distanza l’uno dall’altro (1 piede=0,514 m). Ad ogni ordine verrà applicato un tavolato d’assi di rovere lunghe ognuna un trabucco, larghe sei once e spesse un'oncia (1 oncia=4,28 cm). Ogni palizzata sarà completata alla base con un doppio strato di fascine di rovere e riempita di ciottoli. I lavori prevedono l’impiego di 648 assi per i tavolati, 8.000 fascine, 24 trabucchi cubi complessivi di pietrisco. In modo analogo verrà realizzata la porta di navigazione.
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Gli edifizi di presa saranno costituiti da tre balconere: una di guardia a cinque porte, o “ventaglie”, posta a destra della chiusa, regolerà il deflusso dell’acqua, mentre altre due, munite di otto porte, controlleranno l’imbocco del canale. Le muraglie verranno realizzate in pietra e mattoni, e quelle verticali, abitualmente sommerse dall’acqua, saranno rivestite in cemento. Steppe e assi di rovere formeranno le ventaglie, opportune strutture ne permetteranno l'accesso, e l'apertura sarà regolata “col mezzo della Macchina detta Cric”. La copertura dell'imbocco avverrà con un condotto a volta in mattoni.
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Il nuovo alveo sarà scavato in tre lotti distinti; largo al fondo 3 trabucchi, avrà rive inclinate di 45°. Con le terre di smarino sarà innalzato un argine tra la bealera e il fiume, per separare le acque durante le piene; alla sommità si pianteranno due file di alberi e le scarpe saranno seminate con erba medica. Le pietre estratte durante i lavori dovranno essere recuperate e riutilizzate.
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Il ponte canale per il passaggio del rivo di San Martino (o Tarino) sopra la bealera sarà in muratura, e sarà realizzato nei pressi anche uno scaricatore a scalino. Analogamente, si formeranno altresì due piccoli ponti canali: uno, dirimpetto alla chiesa dei SS. Bino ed Evasio, e l’altro, per il ruscello detto "l’Abbeveratoio". Gli altri rivi collinari scavalcheranno eventualmente il canale con strutture in legno, fintanto che queste ultime non saranno ricostruite in cotto. Un ponte tra le due sponde del canale per carri e persone sarà edificato alla Madonna del Pilone.
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Per consentire la realizzazione del nuovo alveo saranno spostati e ricostruiti circa 219 trabucchi della strada della Madonna del Pilone e una casa verrà abbattuta.
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Una palizzata, composta da una novantina di elementi, chiuderà l'imbocco del canale esistente e rafforzerà l'argine su un trabucco e mezzo di lunghezza.
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La chiusa attuale sarà demolita, avendo cura di recuperare tanto le pietre quanto i pali ancora validi, segando gli altri alla radice affinché non possano nuocere alla navigazione.
I lavori iniziarono nel febbraio del 1816, secondo una calendarizzazione che prevedeva, nell'ordine: l’edificazione delle opere di presa e della chiusa, il trasporto della strada, lo scavo della bealera e l’elevazione dell’argine, la posa della palizzata e lo smantellamento della chiusa e, in ultimo, la costruzione dei ponti canali. Il costo fu stimato pari a L. 94.595,50. I cantieri si aprirono il giorno successivo la firma del contratto con l'impresario che si era aggiudicato l'appalto. L'obbligo di ultimare i lavori in tre mesi non venne rispettato e la consegna dell'opera slittò all'agosto successivo. L'aggiudicatario, il sig. Vincenzo Ostano, contestò non solo le pesanti penali previste per il ritardo, ma la stessa cifra pattuita, sostenendo di aver affrontato costi ben maggiori, dando così inizio una controversia legale con la Città che si protrasse per parecchi anni. (19) Il canale venne comunque inaugurato ufficialmente qualche settimana più tardi e dedicato al “Professore Emerito, Cavaliere Ignazio Michelotti, Ispettore Generale del Genio Civile, Membro della Reggia Accademia delle Scienze, Decurione della stessa Inclita Città di Torino”.
La costruzione della diga Michelotti comportò l'abbandono di ogni progetto di navigazione del Po, sia a monte che a valle, motivo per cui fu a lungo oggetto di discussione. Questo evento segnò un’inversione nelle priorità legate allo sfruttamento del fiume, evidenziando da un lato l’affermarsi delle funzioni produttive industriali, e dall'altro il declino del trasporto fluviale, dovuto allo sviluppo delle politiche di trasporto stradale avvenuto nel periodo napoleonico.
Il disegno del canale Michelotti
Il disegno dell’arch. Lorenzo Panizza risale al 10 gennaio 1817 e mostra il canale Michelotti appena terminato. Si notino i ponti-canali dei rivi che scendono dalla collina, il tratto della strada per Casale spostato nel corso dei lavori e la recente strada che costeggia il canale sulla sponda sinistra.
Fonte: ASCT, TD rot.2A
La nuova ‘ficca’, molto arcuata, è stata costruita poco a valle del ponte; sulla sini-stra si noti il passaggio per le barche, e sulla destra le paratoie che regolano il deflusso delle acque. A valle della traversa, uno sbarramento di sassi rallenta la corrente del fiume; l’acqua drena-ta dal canale lascia emergere abbondanti depositi; Il disegno offre, inoltre, interes-santi spunti circa il territorio dell’Oltrepò all' inizio dell' Ottocento. Ovviamen-te, non compare la chiesa della Gran Ma-dre e la strada per Ca-
sale che si diparte dalla piazza verrà aperta solo molto più tardi. Si notino altresì la chiesa dei SS. Bino ed Evasio e il cimitero dell'Ospedale di Carità di via Po (il piccolo edificio isolato senza nome). Non compare più con tale nome la “Fabbrica de Bagni", lo stabilimento termale progettato dall’arch. Giovan Battista Ferroggio nel 1767, al tempo non più in funzione ma riportato da altre carte coeve.
Alla Madonna del Pilone si distinguono i molini, la chiesa e le poche abitazioni. Si notino il ponte del rivo di Reaglie che scavalca il canale, lo scaricatore dei molini che versa subito nel fiume, e quindi ancora privo della ruota del Meisino, e le palizzate a protezione degli argini.
Il canale dedicato al Michelotti era un’opera ragguardevole. Il nuovo sbarramento disegnava nel fiume un arco accentuato a meno di 100 metri dal ponte in pietra. All'estremità destra, le paratoie mobili di una chiusa evitavano l'accumulo di detriti nell'imbocco e regolavano la portata del canale, mentre alla sinistra un callone assicurava il passaggio delle barche. Tuttavia, l'opera comprometteva la navigazione mercantile e il ruolo di asse commerciale svolto dal Po, per altro contrastato tanto dalla nuova rete delle strade nazionali napoleoniche quanto, in seguito, dalla ferrovia. Non solo la diga impediva ora la risalita delle imbarcazioni più grandi, ma soprattutto ne drenava non meno di un terzo delle acque, restituendole parecchio più a valle, abbassando così il livello di un fiume già non troppo profondo. In prospettiva, il Po veniva così relegato agli usi più tradizionali, quali il trasporto locale di materiali edili, la pesca, il traghetto e l’estrazione di sabbia. (20)
La presa del canale era protetta da robusti muri di sostegno sulla sponda destra del fiume; l’imbocco, coperto, era raggiungibile attraverso la rampa costruita ad hoc, che discendeva dal ponte. L'alveo si sviluppava complanare al fiume, seguendone l'argine. All'inizio il canale scorreva assai incassato rispetto al territorio; in corrispondenza dell’odierno ponte di corso Regina Margherita, il canale era scavalcato dal rivo Tarino. Successivamente, lambiva le case della strada di Casale sul lato fiume, fino collegarsi al vecchio alveo della derivazione dei molini. Superata la parrocchiale, sfiorandone il perimetro settentrionale, il canale raggiungeva la propria destinazione, scavalcato dal rivo di Reaglie, appena prima di entrare nel recinto dei molini.
Le immagini ottocentesche mostrano l'imbocco, del canale, coperto, raggiunto dalla rampa che scende dal ponte. Corso Casale non inizia (ancora) da piazza Gran Madre e la strada della Madonna del Pilone e di Sassi segue via Monferrato.
Fonti: ASCT; Sim D106 (particolare) - foto: Web.
Il prolungamento del canale
Il canale Michelotti si collegò alla vecchia bealera dei molini senza modificarla, mantenendo quindi lo scarico delle acque reflue circa 600 m a valle, in prossimità di Sassi. Il progetto non affrontò le due criticità, ben note, dell'impianto: il rigurgito che, durante le piene, rallentava il lavoro delle macine e il modesto salto idraulico che ne limitava la produttività.
1817. Nella relazione del 27 dicembre 1817, in cui stimava le potenzialità del canale, l’ing. Ignazio Michelotti valutava i vantaggi di un eventuale prolungamento. A tal proposito, osserva che, a causa del modesto declivio e dell’insufficiente distanza dello sbocco, il rigurgito d’acqua prodotto dall’innalzamento del livello del fiume, già in regime di mezza piena, poteva risalire lo scaricatore raggiungendo i molini, rallentandone il giro fino a fermarli e, talora, inondandoli e danneggiandoli in modo grave. A suo tempo, Domenico Michelotti, padre di Ignazio e ideatore dell’Edifizio idraulico della Parella, propose il prolungamento dello scaricatore e lo spostamento dello sbocco oltre il rivo di Mongreno. La spesa venne però ritenuta eccessiva dalla Ragioneria, considerato che, in ogni caso, ben di rado il mulino lavorava a pieno ritmo, impegnando simultaneamente i cinque i palmenti; nondimeno, dispose il completamento gli studi preliminari avviati in merito dagli architetti idraulici Musso e Barone. Il Michelotti confermava i dubbi circa l’effettiva convenienza di tali lavori, se intrapresi soltanto per eliminare il rigurgito, ma li avrebbe ritenuti utili se la maggiore caduta d’acqua ottenuta avesse alimentato nuovi opifici. Concludeva, quindi, che il prolungamento non era cosa urgente, rimandandolo a un eventuale futuro. (21)
I danni delle inondazioni
Le piene del Po talora causavano guasti considerevoli alla Madonna del Pilone. Le acque potevano sommergere il piano terreno dei molini e raggiungere i palmenti. Lo spesso strato di melma lasciato su pavimenti, muraglie e meccanismi doveva essere rimosso rapidamente, prima che diventasse durissimo fango. Il danno era rilevante: ai costi delle riparazioni, si sommavano quelli degli utili mancati, e non più recuperabili dalla Città, dovuti al fermo dei molini che poteva prolungarsi per settimane. Gli effetti del temuto rigurgito sono ben illustrati in un rapporto datato 25 ottobre 1827, che descrive le conseguenze di una recente onda di piena. Dal documento si apprende che «… l’acqua essendosi elevata a più di 40 once al di sopra del pavimento del molino ha riempito ogni sito di melma ed ora appena si è potuto trasportare la medesima, ma siccome le acque non si sono ancora abbassate a segno di lasciar libero movimento alle ruote, così questo mulino continua ad essere inoperoso e lo sarà ancora per tutto domani. Grave è il danno che per tale motivo ne soffre la Città, ma più grande ancora il pregiudizio che ne risente per le sue strettezze il Capo Mugnaio, al quale non diminuiscono le giornaliere spese di manutenzione per sé, sua famiglia e quattro garzoni; si raccomanda alle EE.VV. questo Mugnajo, il quale pendente l’annata corrente stette per più di due mesi senza poter lavorare a cagione sempre delle fiumane. Per andare a riparo di queste frequenti e dannose inondazioni sarebbe necessario di prolungare la bealera dei mulini sin’oltre l’imboccatura del fiume Dora; allora la bealera avendo suo sbocco nel Po ad un’elevazione considerevole le acque del Po non potrebbero più introdurvisi né retrocedere pel medesimo canale per levarsi a segno di inondare il mulino ed il borgo della Madonna del Pilone come accade attualmente».
Fonte: ASCT, CS 2292 e per la citazione Ragionerie 1834 vol. 38, pag.729.
1832. La La questione del prolungamento venne ripresa nel 1832 dalla Direzione dei molini della Città. Gli obiettivi erano quelli già individuati dal Michelotti: evitare il rigurgito e i danni provocati dall’ingrossamento del fiume; aumentare il potenziale di macina, sussidiando gli impianti di Dora quando necessario, e soddisfare la crescente domanda di farine, sia locale, sia dei “forestieri”. Il maggior declivio avrebbe inoltre evitato gli abbondanti depositi che ostruivano l’alveo del canale, causati dal decorso troppo lento delle acque. (22)
La relazione dell’ing. G. Barone, capo dell’Ufficio d’Arte, circa il «Prolungamento del canale Michelotti sino al Muraglione di Muschie per la fuga di circa trabucchi lineari 1000» diede corpo alla proposta. Secondo il relatore, il salto esistente, di sole 30 once - circa 1,28 m, permetteva di produrre un solo sacco di farina l’ora, mentre il nuovo salto, ottenuto con il prolungamento del canale e l’abbassamento del fondo, variabile tra le 66 e le 70 once - circa 1,90 m, avrebbe consentito di raddoppiare, e anche più, la produttività delle macine. I principali interventi, corredati dei costi analitici, prevedevano: l’acquisto di circa 20 giornate di terreno, gli scavi e le rimozioni di terra per il nuovo alveo; l’abbassamento di quattro piedi (2,056 m) di quello tra i mulini e lo sbocco attuale; le murature del nuovo ponte-canale del rivo di Sassi e di quelli per consentire l’accesso ai fondi; nonché, gli interventi sugli argini e quanto si fosse reso necessario in corso d’opera. (23)
La Ragioneria trasmise la pratica al Consiglio municipale per l’approvazione, non mancando di sottolineare sottolineare la valenza sociale dei lavori, che «aprirebbero la via a poter dar lavoro agli indigenti nella stagione invernale che si dubita poter divenirsi più critica del solito
attesa la carenza della granaglie prodotta dall’attuale lunga siccità». (24) L'Amministrazione rimase però incerta. L’investimento stimato era assai consistente: ammontava, infatti, a ben novantamila lire, paragonabili al costo dell'intero canale Michelotti. Forse, si dubitava circa l’opportunità di un’opera che avrebbe avuto per lo più funzioni di sussidio nel caso, tutt’altro che eccezionale ma comunque non ordinario, che i Molassi di Dora non disponessero dell'acqua sufficiente per soddisfare la domanda cittadina di farine.
La mappa del Catasto Napoleonico risale ai primi anni dell'Ottocento e mostra l'assetto originario del canale dei molini della Madonna del Pilone: la lunghissima traversa, il breve tracciato, e lo scaricatore originario, anch'esso inusualmente lungo, che si gettava nel Po prima della foce del rivo di Sassi. Con il prolungamento, realizzato verso la metà del secolo per migliorare il deflusso delle acque, il suo sbocco sarà spostato in avanti di qualche centinaio di metri.
Fonte: ASTO, Catasto Napoleonico.
1834. Nel 1834 venne sottoposto a giudizio della Direzione dei molini uno studio dell’ingegner Carlo Mosca, riguardante diverse ipotesi di prolungamento del canale, valutando in particolare l’utile che avrebbe potuto ricavare l’erario civico dall'incremento del macinato potenzialmente ottenibile. La Direzione riconobbe i vantaggi del progetto, peraltro gli stessi illustrati a suo tempo dal Michelotti e ribaditi dalla stessa, due anni prima. Non venne espresso però un chiaro parere sulla convenienza economica dell'opera, poiché non era possibile valutare il gettito che avrebbe prodotto per le casse municipali in termini di diritti di macina. In particolare, non erano stimabili con precisione né la quantità di granaglie trattate dopo il potenziamento, né il volume della domanda “esterna” rimasta insoddisfatta, a causa della precedenza accordata alla produzione di farine per la popolazione torinese. La Direzione, quindi, non si pronunciò in modo univoco sul rapporto tra i costi e i benefici dell’investimento, pur riconoscendo che, nei periodi di siccità, i soli “forestieri” avrebbero utilizzato gran parte della capacità di macina che lo stato di necessità costringeva a destinare invece ai panettieri torinesi. Soddisfarli entrambi non sarebbe stato comunque possibile. Qualche dubbio, nemmeno troppo velato, fu ribadito nelle conclusioni, dove si sosteneva che «l’utilità particolare del Civico erario non debba essere la principal mira della Città, ma bensì il pubblico vantaggio che ne deriverebbe da cotale intrapresa […] e che per quanto onerosa possa essere la spesa, che ancor quando il maggior prodotto che si ricaverebbe dal molino non fruttasse l’interesse del capitale da impegnarsi in tale opera, la riconoscenza dei cittadini sarebbe di un largo compenso per la Civica Amministrazione, siccome riscosse la medesima i sentimenti di gratitudine dà suoi amministrati per quelle opere che si sono eseguite, che solo riferisconsi a decorazione ed abbellimento della città». (25) L’Amministrazione civica prese ancora tempo, esplorando anche alternative differenti. (26)
1842. Il progetto vide la luce solo nella prima metà degli anni Quaranta, nel quadro del potenziamento dei molini e dell’impianto di sollevamento del Meisino. Il capitolato dei lavori, datato 1 febbraio 1842, ricalcava i piani formulati in passato, e prevedeva interventi sull’argine del Po e sullo scaricatore del canale. Uno scavo di circa 300 m ne avrebbe portato lo sbocco oltre la cascina ex-Mandillo, e ora della Città di Torino; l’alveo esistente sarebbe stato abbassato e conformato in altezza e larghezza al nuovo tratto successivo al “rodone del Mejsino”; l’argine del fiume sarebbe stato elevato e rinforzato a partire dal ponte della chiesa della Beata Vergine del Pilone. Le pietre per i muri a secco sarebbero state ricavate dagli scavi, i mattoni per l’adeguamento dei ponti e le altre murature sarebbero stati acquistati dalle migliori fornaci di Moncalieri, La Loggia e Vinovo, mentre per l’amalgama si sarebbero impiegate le sabbie del Po e la pasta di calce forte di Superga. (27)
Il "Tipo planimetrico per il protendimento ed abbassamento del canale Michelotti a partire dal Santuario della B.V. del Pilone sino allo sbocco del canale dopo il Cassinotto", redatto dall'ing. G. Barone il 1 febbraio 1842, mostra i dettagli del progetto. Si notino anche la ruota del nuovo impianto di sollevamento del Meisino e le nuove canalizzazioni interne ai molini, di cui si dirà in seguito.
Fonte: ASCT, TD 12.3.21.
L'appalto, del valore di L. 34.170 senza ribasso, venne affidato al mastro da muro biellese Pietro Corso, con scrittura privata del 3 marzo 1842. Il cantiere avrebbe dovuto essere aperto entro tre giorni dalla firma del contratto stesso e avrebbe dovuto impiegare una quantità di giornalieri sufficiente a essere chiuso entro il 15 agosto, compatibilmente con le condizioni del fiume. La liquidazione dei lavori sarebbe avvenuta tra il 1844 ed il 1845, a favore però del capomastro Placido Galli, fideiussore del Corso, subentrato per inadempienze contrattuali del Galli o per altre difficoltà emerse in corso d’opera. Si può quindi presumere che il nuovo scaricatore del canale sia stato collaudato e inaugurato entro tali anni. (28)
La «camera del soccorso ai sommersi»
Il piano terreno del casotto del custode del canale Michelotti, sistemato nei pressi della chiusa, ospitava la cosiddetta “camera dei soccorsi ai sommersi”. Era un vero e proprio posto di pronto soccorso ante litteram, istituito nella prima metà dell’Ottocento per portare aiuto a coloro che si fossero trovati in difficoltà nel fiume. Il Po, nel suo tratto cittadino, era anche uno spazio di svago e piacere, e, durante le calure estive, molti ne affollavano le sponde in cerca di refrigerio. Tuttavia, la balneazione era pericolosa. Tra nuotatori colti da malore (o che rischiavano l'annegamento per inesperienza o troppo ardire), aspiranti suicidi e altri infortunati, i "sommersi" erano numerosi. Nel 1845, ad esempio, furono 24, e l’anno successivo quasi il doppio: ben 45, di cui 7 ragazzi e 14 soldati; uno solo di loro, però, morì affogato, forse anche grazie al pronto intervento fornito agli altri dalla "camera". (29)
La casa del custode del canale, al piano terreno, nell'800 ospitava la camera di rianimazione dei sommersi.
Fonte Web (particolare)
I torinesi erano soliti frequentare le rive del Po nella bella stagione. I bagnanti dovevano rispettare severi regolamenti emessi dall'Ufficio del Vicariato; di seguito se ne riportano alcuni stralci tratti dal catalogo della mostra Sport a Torino del 2005-06, p.34, consultabile anche online sul sito del MuseoTorino. Tra gli altri divieti, da rimarcare quello di bagnarsi nel canale Michelotti, come in ogni altro canale torinese.
Per quanto concerne la «camera di soccorso dei sommersi» G.F. Baruffi ne fornisce ampi ragguagli nel racconto di una delle sue «Passeggiate nei dintorni di Torino» (1853).
La posizione della camera di rianimazione è ritenuta strategica (30): «contro la chiusa Michelotti sogliono per lo più arrestarsi i sommersi»; l’ideatore della struttura fu il dott. Torchio, che vi «raccolse i più necessari strumenti, e gli altri mezzi che la chirurgia insegna più adattati all'uopo». Sempre secondo l'autore, precise procedure di soccorso affisse alle pareti permettevano che «qualunque persona possa con un po' di buona volontà e di intelligenza supplire al ritardo del medico». Esse prevedevano che «il sommerso venga raccolto alla sponda mediante una barella che si tiene sempre in pronto, e viene subito avviluppato fra coperte di lana. Trasportato nella camera, mentre lo si spoglia e lo si asciuga, si accende il fuoco al camino che tiene sempre in pronto ampia caldaia ripiena di acqua. Allora lo si mette nel bagno di Harvey, il cui doppio fondo permette di prestare i soccorsi al sommerso senza che gli assistenti vengano bagnati, mentre che l'acqua calda introdotta fra le due lamine del bagno ne eleva la temperatura; e frattanto che gli assistenti fregano e riscaldano il sommerso, il chirurgo tenta aprirgli le vie aeree, mediante la siringa di Charriere che trovasi nella bellissima cassetta a soccorsi, costrutta da questo distinto meccanico, e che il Municipio si procurò direttamente da Parigi».
La «camera di soccorso» fu utilizzata fino ai primi anni del Novecento.
Le "Passeggiate" del Baruffi raccontano piacevolmente la vita torinese di metà Ottocento, che egli descrive con l'enfasi pomposa della prosa del suo tempo. Per la sua godibilità il pezzo è riportato a fianco in originale.
Da G.B. Baruffi
Quarta passeggiata.
I molini della Madonna del Pilone nell'Ottocento
Nel corso dell’Ottocento, i molini della Madonna del Pilone divennero, con quelli del Martinetto, secondi solo ai Molassi di porta Palazzo. Come si è visto, non solo essi servivano gli abitanti del borgo e della collina, ma costituivano una riserva di macina per l’intera città, quando le scarse piogge mettevano in ginocchio gli impianti mossi dalle acque della Dora Riparia. Nel tempo, furono ampliati e potenziati; i maggiori interventi furono realizzati subito dopo l’inaugurazione del canale e negli anni Quaranta dell'Ottocento.
1817. Nel maggio 1817, a meno di un anno dall’inaugurazione del canale Michelotti, dopo molti mesi di siccità, venne deliberata l’installazione di tre nuovi palmenti, aggiungendo le relative ruote alle cinque già funzionanti ai molini. Con un ingegnoso “artifizio”, anche la pesta da canapa venne adibita a macinare, all'occorrenza, le granaglie, portando così a nove il numero delle ruote potenzialmente destinate alle farine. La buona portata d’acqua del canale non richiese altro che una pulizia dello scaricatore, pochi giorni di lavoro e qualche centinaio di lire di spesa. Almeno sette ruote avrebbero ora potuto lavorare simultaneamente, «presto e bene e senza il minimo incaglio», i grani che si sperava sarebbero giunti in gran quantità da Torino, nonostante la distanza, e non solo nei periodi di siccità. (31)
La pianta dei molini dell’ing. Gaetano Lombardi, redatta nel dicembre 1818, mostra, ultimato l'ampliamento, un complesso più ampio ed articolato. Alla destra nel canale, oltre alla casa del mugnaio e all’edificio originario delle ruote, si affacciano sul vasto piazzale per la manovra dei carri un “caso da terra” (tettoia) e un “casotto”; i palmenti appena installati sono collocati nel nuovo fabbricato al di là del canale. La superficie complessiva delle proprietà municipali è di 5 giornate, 31 tavole e 11 piedi di terreno (circa 2 ettari), di cui 21 tavole e 9 piedi (circa 830 mq) sono occupati dai fabbricati e i restanti da orti, prati, pascoli e campi, talora misti a vigna, e dalle canalizzazioni.
Fonte: ASCT, TD 18. 1. 3.
Gli anni 40 registrarono ulteriori interventi ai molini, con la ristrutturazione dei rotiggi, l’aumento dei palmenti e il prolungamento del canale. L'investimento fu indotto sia dalla funzione di sussidio agli impianti di Dora, reputata sempre di primaria importanza, sia dall’accresciuta domanda di quanti, dalla collina, portavano i grani alla Madonna del Pilone, ora più numerosi grazie alla nuova strada carreggiabile, diretta, tra Torino e Chieri. (32) Con la riorganizzazione, vennero aggiunti due canali interni, di cui uno destinato alla nuova partita di ruote e l’altro con funzione di scarico e bypass. Quello esistente fu adeguato, come pure le murature interne, destinate ai macchinari e alla nuova organizzazione produttiva. Il vecchio canale della ruota di sollevamento del Meisino, di cui si tratterà in seguito, venne adibito a scaricatore, abbandonando quello posto più a monte. L’iter dei lavori fu lungo e, forse, contraddittorio, perlomeno da quanto emerge dalla documentazione. Di certo, non meno di tre impresari si succedettero nel cantiere, e il progetto subì almeno una variante in corso d’opera.
1839. Il primo appalto fu affidato all’impresario e capomastro da muro Martino Golzio, con scrittura del 5 marzo 1839. Prevedeva la costruzione di due nuove canalizzazioni interne al molino, del loro adduttore e di opere collegate (scarpe, abbassamento di due banchine, demolizioni muri e “pietraje”…). La larghezza del condotto delle ruote sarebbe stata di 6,16 m, e di 4,00 m quella dello scaricatore; il canale esistente sarebbe stato regolarizzato ed allargato a 6,50 m. Il preventivo iniziale, di L. 6.531,13, subì un ribasso del 13,75%. I lavori avrebbero dovuto essere conclusi entro il successivo 15 aprile. (33)
Il 28 agosto 1839 la Città stipulò con il mastro da muro Angelo Faja di Asti un nuovo contratto, che contemplava l’ultimazione del canale delle ruote del mulino, l’innalzamento dei muri di sponda, le fondazioni per la nuova manica e la sottomurazione del fabbricato verso il Po. Nel disegno allegato all’atto, risulta annullato il condotto della ruota del Meisino. Non risulta chiara la relazione con i lavori in precedenza commissionati al Golzio, che forse non erano stati completati, come lascerebbe immaginare la riprogrammazione di alcuni di essi, o che forse costituivano soltanto la prima tranche del progetto. Tuttavia, per altro verso, la maggiore larghezza assegnata alle canalizzazioni (8,56 m all’adduttore, 7 m a quello delle ruote e 5 metri allo scaricatore) lascia supporre una variazione del piano, adeguato e potenziato in funzione del prolungamento del canale e/o dell’adozione di nuovi motori idraulici e macchinari. Le opere dovevano concludersi entro il mese di ottobre; l'importo dei lavori, previsto pari a L. 11.171, fu ridotto poi dell’8,76%. (34) Tuttavia il rapporto tra il Faja e la Città finì in una controversia legale. (35)
1840. I lavori proseguirono nel 1840; essi furono sintetizzati nella planimetria dell’ing. G. Barone, del 12 dicembre di quell'anno. Riguardarono innanzitutto le murature interne dell’impianto, in relazione alla diversa dislocazione e all'aumento del numero delle ruote. Il canale risultava ora protetto da un robusto argine verso il fiume, lungo il quale correva la nuova strada litoranea, realizzata con il prolungamento dello scaricatore. Il condotto della ruota del Meisino non era stato eliminato, come stabilito in precedenza, ma sostituì il vecchio scaricatore a monte dei mulini, ora abbandonato. (36)
1841. Il cantiere si concluse nel 1841. Con la scrittura privata del 6 aprile 1841, la Città conferì al capomastro Giovanni Battista Castelli il compito di portare a termine le opere definite in un precedente atto del 6 giugno 1840. Esse riguardarono lo scavo della fossa delle ruote e la conclusione dei lavori per l'installazione dei meccanismi e delle trasmissioni di 10 nuovi palmenti, già iniziati l’anno precedente; nonché il rialzo del loro fabbricato, ancora mancante di scala, solaio e pavimenti. L’importo previsto, che nel capitolato di spesa ammontava a L.13.000, fu ridotto del 7% in sede di appalto. (37)
I nuovi dei motori idraulici. Per ammodernare i motori idraulici dei molini e sostituire le ruote fuori uso nel 1844, l’Amministrazione scelse il progetto dell’ingegnere svizzero Benjamin Roy, di Vevey, cantone di Vaud. (38) Fu considerato il più adatto «pour introduire toutes les amelioration possibles que l’art aurait peut indiquer comme les plus propres à produire dans l’exercice du moulin un produit en farine perfectionné, plus d’economie, plus de cèlèritè dans la marche, surtout dans les occasions de disette d’eau et en generale plus de profit à la Ville». Il «Project de roue hydraulique, ditte à deversoir», datato 2 dicembre 1843, mostra l’ingegno prescelto tra quelli proposti. Si trattava di una grande ruota di 5 m di diametro, larga m 3,80, capace di 32 cavalli di forza motrice sulla caduta d’acqua di metri 1,80. Venne preferita ad un’altra del tipo “à la Poncelet”, e a una più ambiziosa e moderna turbina idraulica in grado di azionare ben dieci palmenti, ideate entrambe dal Roy. (39)
Il "Project de roue hydraulique, ditte à devérsoir, pour mettre en mouvement les moulins de l a ville de à la Madonne du Pillon" ... Diamétre de la roue = 5 métre. Largeur 3m,80, sa force = 32 chevaux, hauteur de chute 1m,80. Quantité d'eau nécessaire 2m300 cubes pour seconde. nombre de tours p.m. 7,60". Disegno del 1844, siglato da B. Roy, della grande ruota idraulica installata ai molini.
Fonte: ASCT, TD 19. 1. 5.
Il contratto fu firmato il 5 aprile 1844. Con esso, il Roy si impegnò a fornire, “chiavi in mano”, la meccanica completa di un mulino da grano, incluse ruota idraulica, trasmissioni, buratti, ventilatori e apparati per spostare e sollevare i sacchi. La ruota avrebbe avuto un diametro non inferiore a 4,5 m e avrebbe dovuto azionare potenzialmente otto coppie di macine, benché al momento se ne prevedesse l’installazione di sole quattro. Ogni palmento avrebbe dovuto macinare e setacciare con un buratto a rulli non meno di 100 kg di farina ogni ora. La somma che la Città si obbligava a pagare ammontava a 43.450 franchi, che comprendevano il trasporto dei macchinari, le installazioni, i collaudi e la garanzia di un anno sul buon funzionamento del tutto; nonché l’assistenza di un capomugnaio esperto per istruire quelli locali e vigilare sul loro operato. I lavori avrebbero dovuto concludersi entro il mese di febbraio 1845, prevedendo penali in caso di ritardo. (40) L'anno successivo, l’ing. Barone presentò i piani di una nuova “Pista da rusca”, forse in relazione ai danni subiti da quella da canapa in seguito a un furto, nel dicembre del 1843. Tuttavia il sig. Roy la considerò pregiudizievole al buon funzionamento dei molini e il progetto non pare aver avuto seguito. (41)
Il "Piano geometrico del canale Michelotti" del 10 gennaio 1848 mostra l'assetto dei molini dopo i lavori degli anni precedenti. Si noti anche la posizione originaria del cimitero della Madonna del Pilone (accanto arrivo di Reaglie), con decreto reale del 1856 trasferito poco oltre l'attuale p.za Pasini a causa degli straripamenti del canale e del fiume.
Fonte: ASCT, rot. 2A (particolare)
Il confronto tra fonti cartografiche e testimoniali di stato conferma che, terminati i lavori descritti, i molini della Madonna del Pilone assunsero l’assetto che avrebbero conservato fino alla cessione dei primi anni '70 dell'Ottocento. Fino a quel momento, il loro destino si sarebbe intrecciato con quello dei Molassi di Dora. Nello spirito liberale dello Statuto Albertino appena concesso, il 22 febbraio 1850 la prima Amministrazione municipale eletta dai cittadini valutò se vendere o affittare i due impianti, optando infine per la locazione. Il contratto fu stipulato il 4 giugno con i signori Spallarossa e Ragazzetto, che si assunsero l'impegno di trasformarli in moderni impianti di tipo angloamericano. A causa di «questioni gravissime» insorte in seguito, l'accordo venne però sciolto sette anni più tardi con un nulla di fatto. Il 12 dicembre 1857, il Consiglio Comunale considerò ancora la vendita, anche in ragione del forte debito pubblico accumulato dalla Città, che nel dubbio decise di ritentare anche la locazione. Tuttavia, pubblicati i bandi e convocate le aste di assegnazione, giunse una sola offerta di affitto e nessuna d’acquisto, e si passò così alla gestione diretta. Il 26 ottobre 1863 si giunse a un nuovo patto di locazione siglato con un gruppo di “panattieri” costituitisi sotto il nome di Società dei Molini di Torino. (42)
Testimoniali di stato dei meccanismi dei
molini della Madonna del Pilone ( 1865)
Il documento del 24 dicembre 1865, firmato dai geometri Matteo Bessone e Luigi Raimondo, fornisce informazioni dettagliate circa le strutture idrauliche dei molini. In essi, quattordici palmenti per la macinazione dei cereali sono distribuiti su due condotti interni; sul più recente, cinque ruote idrauliche in legno a palette sono collegate ognuna a una coppia di palmenti, mentre altri quattro sono mossi da una grande ruota in ferro installata sul condotto originario, che ospita anche la ruota della pesta da canapa. Un terzo canale svolge la funzione di scaricatore e consente l'arresto delle macine, convogliando le acque reflue o nel Po, oppure verso l’impianto idraulico di sollevamento postopiù a valle.
L'immagine dei molini che emerge dalla planimetria allegata all'atto di vendita del 1872 non si discosta da quella descritta dai testimoniali di stato redatti nel 1865. Essa mostra l'organizzazione dell'impianto e la posizione dei tre canali interni e rispettive chiaviche, degli scaricatori e dei motori idraulici. I condotti sono larghi a sufficienza per fungere sia da adduttori che da scaricatori; le chiaviche all'imbocco mantengono costante il livello dell'acqua, mentre il flusso diretto a ogni ruota è modulato da una propria paratoia. Si notino le rimanenze delle chiuse delle vecchie ruote in legno sostituite da quella in ferro.
Fonte: ASCT, Atti Notarili 1872, vol. 61
IL MOLINO (O “PARTITA”) DELLE RUOTE IN LEGNO.
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Il canale è dotato, all’imbocco, di un manufatto di regolazione (chiavica) con soglia e cappello in pietra e cinque incastri muniti di paratoie mobili, di cui quattro in legno e una in ferro. I meccanismi di comando permettono di mantenere costante il livello dell’acqua nel canale, indipendentemente da quello esterno, interrompendo del tutto il flusso quando le paratoie siano completamente abbassate.
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Le ruote idrauliche della “partita” sono cinque, del tipo a palmette in legno di rovere, con collare in ghisa e diametro di 5,01 m. La prima è larga 1,00 m e composta di 6 crociere, 12 gambini, 60 manette, 36 palmette; l'albero misura 6,00 m di lunghezza e 0,50 m di diametro. Le altre quattro sono simili, ma larghe solo 0,80 m. Ogni ruota è dotata di una paratoia regolabile; i caminassi hanno fondo e sponde di lastrino in pietra.
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I palmenti sono dieci, accoppiati due a due ad ogni ruota idraulica attraverso un sistema di trasmissione del tipo "ruota stellata - lanterna - ruota a corona"; gli alberi e gli altri elementi del sistema sono in legno.
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Le macine (indicate quali “macini”) provengono dalle cave di Monteorfano (sic!) e sia le superiori che le inferiori hanno spessori differenti, che vanno da 2 (sic!) a 60 cm, secondo le caratteristiche e/o lo stato di usura. Esse posano su un palco di 34,30 m per 3,29 m, formato da panconi in rovere e sorretto da due file di travi; vi si accede attraverso 5 scale in legno di otto gradini ciascuna. Ogni palmento è dotato di una madia per la raccolta delle farine.
IL MOLINO IN FERRO.
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La grande ruota idraulica in ghisa, definita anche “ruotone”, è formata da due grossi anelli laterali con un cerchio intermedio, collegati da sei doppi tiranti orizzontali in ferro; monta 30 cassette in rovere, mentre le trasmissioni e gran parte degli elementi sono in ghisa e in ferro; il peso delle sole parti metalliche è di circa 8 tonnellate.
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La chiusa è provvista di una paratoia in rovere di 3,00 m per 0,40 m di altezza; lo scaricatore in pietra si protende per un metro oltre la ruota, ed è controllato da una paratoia, anch'essa in rovere, di 2,30 m per 0,70 m. L’imbocco del canale non è, quindi, dotato di un edificio di regolazione; rimangono però i resti di una precedente struttura a sei incastri che alimentava le vecchie ruote, sostituite da quella in ferro.
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I palmenti sono quattro, composti da otto “macini”, provenienti dalle cave La Ferté, hanno diametro di m 1,20 e spessore variabile tra 0,10 e 0,45 m e poggiano su un palco di tavole in rovere di 10 m per 3,40 m.
LO SCARICATORE DEL BACINO
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Lo scaricatore principale è largo circa 5 m ed è provvisto di un ponticello in legno e chiavica a tre incastri, con paratoie in rovere e apparati di manovra in ferro.
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La seconda chiavica controlla le acque reflue scaricando, quando è il caso, immediatamente nel Po; essa è dotata di un ponticello in pietra, di una cataratta a tre incastri e di paratoie in rovere.
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La chiavica attigua è analoga alla precedente e modula le acque dirette all'impianto idraulico del Meisino.
LA MACINA DELLA CANAPA
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La ruota della pesta, del tipo a palmette in legno di rovere, misura 3 m di diametro per 0,49 m di larghezza; è composta da due crociere e quattro gambini; è alimentata da un condotto con fondo e sponde in rovere alto 1,00 m e largo 60 cm e sorretto da appoggi in legno. Quest'ultimo ha origine dall’estremità dello scaricatore della ruota in ferro e si dirama per circa 9 m complessivi, attraversando obliquamente il canale e proseguendo lungo il muro del molino. Il camminasso, anch'esso in rovere, è lungo 6 m e largo quanto la ruota che alimenta; la regolazione avviene attraverso uno sportello a ribalta e i relativi meccanismi.
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Le macine. La macina verticale, o coritoja, è di granito della Balma; ha diametro di 1,25 m e spessore di 40 cm; la dormiente, orizzontale, misura 1,70 m di diametro per 0,43 m di altezza. La trasmissione interna del moto avviene mediante ruota a corona e lanterna; l’albero verticale e quello orizzontale misurano entrambi 4 m e diametro rispettivamente di 0,35 e 0,45 m; tutti gli elementi sono in legno.
LE ALTRE DOTAZIONI
I molini risultano dotati inoltre di:
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una mola in pietra per arrotare di 60 cm di diametro e 20 cm di spessore, che riceve il moto mediante una correggia di 6 m e una puleggia solidale con l’albero della ruota in ferro;
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un nettatoio da grano collocato nel locale del molino, in ferro, che è azionato dalla stessa ruota; l’apparato comprende: due crivelli a moto rettilineo, un ventilatore e un battitore; due elevatori di diversa altezza con trombe in legno; un’elice (ossia un’elica, o vite continua) di circa 11 m, con asse, ruote e alette in lastra di ferro; una grande tramoggia in legno di 3 m × 3 m.
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Gli oggetti e i mobili presenti nei due molini sono elencati in una lista che annovera mazze, martelli, palanchini, taglietti da ghiaccio, un martinetto, crivelli, tamburi e ceste (dette gorbelle) per il trasporto del grano, un carretto per i sacchi, vasi per le misure di volume, una bilancia a stadera della portata di 1.000 kg, cassoni di varie dimensioni, tra cui quelli destinati alla “mulenda”. Completano l’estimo gli arredi, quali pagliericci e materassi, tavolini e cavalletti, sgabelli e panche, due stufe (di cui una di Castellamonte e l'altra in ghisa), un banco da falegname e un buon numero di utensili e attrezzi da lavoro comuni.
Il valore complessivo attribuito a meccanismi, strumenti, arredi e a quant'altro rilevato dall'ispezione ammonta a L. 34.375,10.
Fonte: ASCT, Atti Speciali vol. 1, p. 287.
La cessione dei molini
Nel 1872, dopo vari "affittamenti" alternati a periodi di gestione in economia, la Municipalità deliberò la vendita dei Molini della Madonna del Pilone e dei Molassi di Dora, con capitolati distinti e in aste separate. La decisione si inscrive nel contesto generale di crescente liberalizzazione economica e di politica di dismissioni degli opifici non ritenuti necessari per espletare i servizi municipali. I capitolati di vendita, approvati dal Consiglio Comunale del 10 giugno 1872 ricalcavano quelli di affitto stilati nel 1865. I molini della Madonna del Pilone comprendevano: quattro palmenti azionati dalla grande ruota idraulica in ferro, e altri 10 condotti a due a due da 5 ruote a palette in legno e albero in ferro; un crivellatore da grano e una pesta da canape; il salto d’acqua, le trasmissioni e i vari meccanismi annessi. I fabbricati includevano l’ampio magazzino sopra le due partite, l’alloggio e l’orto del mugnaio e un secondo alloggio, un locale a uso ufficio, le stalle, il fienile e il cortile porticato, per una superficie complessiva di 4.595 m². La cessione includeva la forza motrice del canale Michelotti, concessa in perpetuo con canone di L. 5.500 annue. Il Comune, come di consueto in casi simili, manteneva le proprie prerogative sul canale, riservandosi di effettuare ogni tipo di intervento che non diminuisse la forza motrice disponibile al salto, assicurando così ai molini la continuità degli storici diritti d'acqua. Per contro, il nuovo proprietario non avrebbe dovuto concorrere alle spese di manutenzione della traversa all’imbocco del canale. (43)
Gli incanti per la vendita dei due stabilimenti furono convocati il 12 agosto 1872. La chiamata per il lotto dei Molassi andò deserta. Per quello della Madonna del Pilone si partì da una base di L. 183.500 con aumento minimo di L. 500. «Previi i soliti tre segni di tromba dati dal civico pubblicatore» entrarono nella sala municipale preposta tre contendenti: l’avv. Angelo Petiti, il sig. Raimondo Bertolino e il sig. Salomone Fubini. Il primo si presentò a nome di altra persona, che si riservava di indicare in seguito; il secondo partecipava tanto in proprio nome, quanto mandatario di dodici partecipanti della società che sarebbe stata eventualmente creata in caso di vittoria. Il numero era sufficiente per validare la seduta e, quindi, espletate le formalità di rito, si procedette secondo il metodo detto “della prima candela vergine”. (44)
La seduta fu breve e non vi fu battaglia, tanto da lasciar supporre che la gara, come talora accadeva, costituisse la semplice ratifica ufficiale di accordi già stipulati. Il primo aumento di L. 500 giunse dal Petiti durante l’ardere della prima candela, subito ribattuto dal Bertolino con un rilancio di ugual valore; altri due lumi si consumarono senza nuove offerte. La quarta candela, la prima “vergine”, si estinse nel silenzio della sala, e il Bertolino venne quindi proclamato aggiudicatario al prezzo di lire 184.500. Secondo il regolamento, il passaggio di proprietà sarebbe divenuto effettivo soltanto scaduti i cosiddetti “fatali”, ossia il periodo entro cui si potevano presentate nuove offerte non inferiori a un ventesimo del prezzo raggiunto in sede di incanto. La scadenza fu fissata di lì a ventun giorni, il “meriggio” del primo settembre. Entro tal giorno non giunsero nuove offerte, a ulteriore conferma dell’interesse soltanto nominale di altri possibili contendenti. (45)
Il valore attribuito ai molini era elevato e la cessione costituì un buon affare per la Città. Il passaggio di proprietà venne ratificato il giorno successivo, con la riduzione di deliberamento in atto pubblico del 2 settembre 1872 (r. Paroletti). Con tale atto, la Città di Torino cedette al signor Raimondo Bertolino, e alla cordata di azionisti nel frattempo riuniti nella "Società Anonima del Molino delle Catene", appena costituita, «lo stabilimento dei molini detti delle catene, mediante il prezzo di lire 184.500 e canone perpetuo per la concessione di forza motrice di lire 5.500». La consegna dell’opificio avvenne il primo novembre, giorno successivo alla scadenza della locazione in corso. (46)
La centrale idroelettrica
La Società Anonima Molino delle Catene introdusse importanti innovazioni ai molini, ampliando gli spazi di stoccaggio e potenziando i motori idraulici. Venne costruito un nuovo grande magazzino di 408 mq, esteso su due piani; altri 298 mq di deposito furono ottenuti con la copertura del canale e l’unione di due bracci di fabbrica, ampliando di oltre oltre 5.800 mq la cubatura complessiva. Nell’ampio spazio antistante il mulino, furono aggiunte due tettoie a destra dell’entrata, di cui una, chiusa, di 199,50 mq e una, aperta, di 220,50 mq; infine, un terzo riparo di 180 mq proteggeva ora i carri dalle intemperie. (47) Per quanto concerne i motori idraulici, secondo un disegno non datato ma successivo al 1882, una moderna turbina aveva sostituito la grande ruota in ferro del molino; a essa si erano aggiunte tre nuove ruote idrauliche, del diametro rispettivo di 2,55, 2,49 e 2,46 metri. (48) È probabile, inoltre, che la macina fosse affidata a meccanismi a rulli di tipo anglo americano. La gestione privata, tuttavia, non diede buoni risultati; a margine della documentazione relativa ad altro progetto, si apprende che nel 1888 la società lamentava un forte passivo, dichiarandosi favorevole all’esproprio del mulino ventilato dalla municipalità, chiedendo la considerevole cifra di L. 300.000, motivata dalle corpose migliorie introdotte. (49)
Con atto del 19 giugno 1895, la Società nuova anonima del Molino delle catene cedeva alla Società Anonima Piemontese di Elettricità «il fabbricato, i terreni, il salto d'acqua dello stabilimento di macinazione e lavorazione della farine alla Madonna del Pilone» per L. 152.000. (50) La società acquirente era interessata soprattutto ai preziosi diritti d’acqua che avreb-bero consentito di adibire lo stabilimento alla produzione di energia elettrica per l'illu-minazione pubblica cittadina. Gli impianti vennero profondamente modificati, e parte del ramo destro del canale interno allo stabilimento venne colmato ed occupato abusivamente. Per aumentare il potenziale dinamico dell’impianto, la Società elettrica, sempre senza le indispensabili autorizzazioni municipali, aumentò di 70 cm l'altezza delle paratoie dello scaricatore della centrale, modi-
ficando a proprio vantaggio anche quello sull’asta principale del canale, impedendo agli addetti comunali l'accesso. Inevitabilmente, tali modifiche accrebbero il livello dell’acqua del canale, favorendo straripamenti e infiltrazioni nelle cantine e nei sotterranei dei fabbricati a monte. E, inevitabilmente, la questione fu portata in Pretura. (51) Per altri versi, l'impianto scontava le precarie condizioni delle opere di presa del canale Michelotti, che non sempre ne consentivano il regolare funzionamento; come ad esempio accadde nel giugno del 1909, quando lunghi giorni di eccezionale siccità prosciugarono il canale, fermando le turbine per un lungo periodo. (52) Come altre simili centrali urbane, quella della Madonna del Pilone ebbe vita relativamente breve. Il progetto proposto dalla società elettrica per prolungare il canale Michelotti fino a S. Mauro non fu realizzato. Esso prevedeva la copertura della derivazione dall'origine fino al ponte Regina Margherita e, soprattutto, l’impiego dell'intera acqua del Po, valutando che i 20 m³/sec di portata sul salto utile di 8-9 metri avrebbero accresciuto la potenza dell’impianto a 1.350 kW, utilizzabili dall’industria o per l’illuminazione pubblica. (53)
Alla Società Anonima Piemontese di Elettricità subentrarono altre imprese. Negli anni Venti utilizzavano il salto idraulico a fini idroelettrici la Società Industrie Elettro telefoniche, e la Società E. Ramondo & C.; quest'ultima, specializzata nella produzione di molle ad elica d'ogni genere trattate elettricamente, vantava tra la propria committenza i Regi Arsenali e le Ferrovie dello Stato. Anche dopo l'abbandono della produzione elettrica la cabina di sezionamento collocata a lato dell'impianto rimase attiva e il fabbricato è tuttora visibile.
Nel corso della Seconda guerra mondiale fu considerato il ripristino della centrale, nel contesto della progettazione sviluppata in concorrenza da AEM e Ceat per meglio sfruttare il potenziale idroelettrico del Po. Nel 1946 venne redatto un piano a tale scopo, ma alla fine si optò per la realizzazione della centrale di San Mauro. (54) Sul sedime dei molini e della centrale elettrica della Madonna del Pilone, nel secondo dopoguerra venne edificata la scuola elementare internazionale europea statale “Altiero Spinelli”. Dei vecchi impianti non resta più traccia, mentre sussiste ancora il fabbricato della cabina elettrica.
Le funzioni industriali e produttive
Fin dal XVIII secolo, si affermava, nell’Oltrepò torinese, una concentrazione industriale basata sulla lavorazione della seta, nella quale un gran numero di tintori, lavandai e artigiani gravitavano attorno a una decina di filatoi maggiori. Per lungo tempo trascurata e misconosciuta, essa è considerata oggi il terzo polo protoindustriale torinese, con borgo Dora ed il Martinetto. Il principale asset localizzativo furono le infrastrutture di trasporto: il ponte sul Po era l’unico in città, e quelle di Casale e Moncalieri erano tra le più importanti direttrici di traffico. Il fiume stesso, e il porto ai piedi dei Cappuccini, costituivano il maggiore collegamento commerciale con la Pianura Padana e con l'Italia. (55) A causa della prevalenza della trattura e della filatura manuale della seta, la carenza di energia idraulica non costituì una grave penalizzazione; tanto che, ad esempio, la Manufacture de Fajences dei fratelli Rossetti (ceramica) di via Vigna della Regina, uno degli opifici di maggior rilievo nell'area, aveva dislocato le proprie "peste" dapprima in prossimità dei Molassi e, successivamente, al Martinetto.
Il "Progetto di variante al piano regolatore per l'am-pliazione della città a sud della strada della Villa della Regina" mostra la posizione di due dei mag-giori stabilimenti dello Oltrepò: la Fabbrica dei Fratelli Diatto e la fon-deria Polla, rispettiva-mente alla destra ed alla sinistra del c.so Monca-lieri.
Fonte RAPU (particolare)
Panoramica dell'Oltrepò industriale.
Nella seconda metà dell’Ottocento, l’area assunse una fisionomia più composita e alla specializzazione serica si sostituirono una dozzina di grandi opifici di differenti settori, nonché un novero variegato di attività manifatturiere e artigianali minori. Nei capannoni di corso Moncalieri, situati sotto il Monte dei Cappuccini, nei 20.000 mq ora occupati dai giardini Ginzburg e dall’ex dopolavoro Fiat, la Diatto (400 addetti) costruiva carrozze stradali e vagoni ferroviari. Sul lato opposto del corso, la fonderia Polla e Frèjus (100 addetti) produceva tubi e carpenteria in ghisa per l’edilizia e fusioni per oggetti ornamentali e domestici (56). La tessitura Ghidini (oltre 400 addetti) era insediata in piazza Gozzano, nell’area del convento delle suore del Cenacolo, mentre nell’odierna via Martiri della Libertà, all'angolo con via Segurana, aveva sede la Fabbrica del Bianco di Zinco (ossido di zinco). All'interno di questo stabilimento sussistevano ancora i muri della chiesa e del campanile dei SS. Bino ed Evasio, l'antichissima parrocchiale del borgo, che, incredibilmente privi di tutela, vennero demoliti una ventina di anni fa per costruire l'edificio attuale. Le altre iniziative industriali del borgo, comprendeevano le fornaci di laterizi Chinaglia, una conceria, qualche attività farmaceutica, le industrie alimentari e la fabbrica di stoviglie di via Villa della Regina (quest'ultima sul sito della settecentesca Manufacture de Fajences), i nuovi studi cinematografici e, ovviamente, i molini della Beata Vergine del Pilone. Di altre imprese del borgo non pare facile individuare oggi il sito ed il settore di appartenenza. (57)
Lo stabilimento Diatto lungo il Po.
La casa patronale della famiglia Polla, un tempo attigua alla fonderia, in c.so Moncalieri 17
Panoramica ottocentesca dell'area industriale dietro il ponte Vittorio Emanuele I. Si noti la piccola ruota idraulica installata sullo scivolo per il passaggio delle barche.
Immagini di fonte web.
Contrariamente a quanto talora si è scritto, è difficile immaginare che le economie esterne potenzialmente generate dal canale Michelotti sostenessero lo sviluppo industriale dell’area. Data la collocazione, infatti, nessuna delle maggiori manifatture era in grado di sfruttarne il potenziale dinamico, o perché localizzate a monte, o perché in posizione troppo elevata o distante. Gli stabilimenti metallurgici erano in ogni caso più legati al carbone, e la Città, dal canto suo, era cauta nell'autorizzare ruote idrauliche che avrebbero potuto causare rigurgito e rallentare il lavoro dei molini. Paradossalmente ebbero, forse, un ruolo maggiore le acque magre e incerte dei rivi che scendevano dalla collina: in origine, la Ghidini utilizzava la forza idraulica del rivo di Val San Martino (servendosi peraltro del canale Michelotti per l'opera di tintori e lavandai) e la fonderia Polla aggiungeva all'energia del vapore 25 cavalli idraulici ricavati dal rivo di Valsalice. Il desiderio della Diatto di integrare l’energia dei due generatori di vapore propri con quella ricavabile dai molini della Rocca, ancorati sulla sponda opposta del fiume, non ebbe seguito. (58) Il canale non divenne quindi elemento catalizzatore dello sviluppo manifatturiero, e nell'800 la carenza di energia costituì una criticità che costrinse a ricorrere al vapore con costi ben superiori.
Una prima e parziale disamina delle concessioni, rilasciate nel corso dell’Ottocento per la produzione di forza motrice idraulica lungo le sponde del canale Michelotti, conferma che i pochi permessi accordati riguardavano perlopiù opifici minori, quali segherie e laboratori artigiani. Ciò è comprensibile, considerando che l'Amministrazione civica privilegiava il regolare esercizio dei molini, che l'installazione di altre ruote a monte avrebbe potuto compromettere. La ricerca merita di sicuro ulteriori approfondimenti, ma gli impianti della Madonna del Pilone siano rimasti nel tempo i principali del canale Michelotti. (59)
Tra gli usi industriali diversi dalla produzione di forza motrice, numerose erano le autorizzazioni rilasciate a tintori e tintorie per lavare nel canale filati e tessuti in seta e cotone. Soltanto quali esempi, si citano la concessione dell’8 giugno 1900 rilasciata al sig. Vittonatti, residente alla Barriera di Casale, al n° 51; e quella di cui godeva la Tintoria Bourgeois, revocata il 1 aprile 1904 dopo il trasferimento dell’attività a Prato, con la demolizione del lavatoio utilizzato sul canale e la rimessa in pristino della sponda. (60)
Qualunque attività impiegasse l’acqua dei canali municipali, perfino la più minuta, era regolamentata e subordinata al consenso municipale; anche se oggi possono, forse, far sorridere casi quale quello della «signora Panera Teresa, esercente la Trattoria del Pino in strada Casale n° 237 - Casa Maiolica - borgata Madonna del Pilone» che, il 24 aprile 1904, chiedeva all’Ill.mo Sindaco «il permesso di tenere immersa nel canale Michelotti una cassa in ferro detta Bourx per conservare i pesci vivi». (61)
L'acqua per la ferrovia di Superga
Il 26 aprile 1884 venne inaugurata la ferrovia funicolare di Superga. L’originale sistema a cavo ideato dall’ing. Tommaso Agudio utilizzava, nonostante le apparenze, l’energia del vapore, prodotto da due generatori da 150 HP installati in un edificio vicino alla stazione di Sassi. In sede di progetto, si ritenne che gli scoli della collina e le infiltrazioni del Po avrebbero fornito acqua sufficiente per le caldaie e per la condensazione del vapore. Tuttavia, il pozzo, di 3 m di diametro e profondo 8 m, scavato nel locale attiguo alle motrici, si rivelò inadeguato, tanto che le vene d’acqua intercettate furono così modeste e incerte che non assicuravano il funzionamento nemmeno saltuario delle caldaie. Si cercò di porre rimedio scendendo in profondità di altri 7 m, e collegando il pozzo a una galleria orizzontale lunga oltre 50 m, ma ancora con risultati negativi. Per consentire l’inaugurazione della funicolare in oltre 50 m, ma ancora con risultati negativi. Per consentire l’inaugurazione della funicolare in concomitanza con l’Esposizione Generale Italiana, il 5 febbraio 1884 la Giunta municipale rilasciava alla Società Anonima Ferrovia di Superga – Sistema Agudio una concessione provvisoria, valevole per quel solo anno, per prelevare dal canale Michelotti l’acqua necessaria all’esercizio, attraverso una pompa centrifuga azionata da una locomobile. Scavati in seguito, e senza successo, tre nuovi pozzi e archiviato l’uso dell’acqua del rivo di Sassi, non rimase che ricorrere in via definitiva al canale. Previo filtraggio,
l’acqua prelevata dalla sponda destra avrebbe raggiunto le caldaie per mezzo di un condotto sotterraneo orizzontale di circa 500 m, e luce di 20 cm, collegato a uno verticale di 13 m. Due pompe a doppio effetto, azionate dai generatori di vapore dell’impianto ferroviario, avrebbero così sollevato non meno di 20 l/sec. La concessione di nove anni, rilasciata dalla Città di Torino, prevedeva inoltre la costruzione a carico della Società ferroviaria di una passerella in legno sul canale, per accedere all’edificio di presa e al filtro, evitando ulteriori servitù di passaggio. L’opera risolse in modo soddisfacente la questione, anche se fu necessario ricorrere all'esproprio di uno dei terreni attraversati dal condotto a causa dell'opposizione del proprietario.
In alto: il piano generale dell'opera, secondo cui un tubo sotterraneo col-legava la presa d'acqua posta sulla sponda destra del canale Michelotti di-rettamente con l'edificio dei generatori del vapo-re. Si noti che questi era collegato al binario della ferrovia ed alla rete tramviaria, attraverso la quale giungeva alla cen-trale il carbone necesario per i generatori.
A sinistra: la struttura di presa e filtraggio. A destra: la passerella di accesso sul canale.
Fonte: testo e disegni ASCT, AA.LL.PP. 1885 151BIS/13 e 13BIS.
Le, limitate, concessioni d'acqua rilasciate per l'utilizzo delle acque del canale a scopo di forza motrice industriale, sono state omesse per cause di forza maggiore e verranno aggiunte in un secondo tempo.
Ambiziosi progetti rimasti tali
La portata d’acqua del canale Michelotti era ragguardevole: i 6.800 l/sec erano comparabili a quelli dei maggiori canali cittadini e ben superiori alle necessità degli impianti della Madonna del Pilone. Le idee per sfruttare il potenziale dinamico non utilizzato nel corso del tempo non mancarono.
Come si è visto, nel 1817 l’ing. Michelotti non consigliava il prolungamento del canale nell'immediato, poiché seppure la buona caduta d’acqua complessiva ottenuta - 8 once, pari a circa 4 m – avesse potuto attrarre nuovi opifici, i ricavi dei canoni di concessione non avrebbero giustificato l’investimento. Diverso sarebbe stato però se il potenziale fosse andato a favore di «grandiosi ed utili stabilimenti»; la Regia Fabbrica delle Polveri, in particolare, avrebbe ritrovato lungo la sponda di Sassi quelle condizioni di sicurezza che borgo Dora, ormai troppo popolato, non offriva più. La proposta venne rilanciata concretamente nel 1839 dal Michelotti stesso per scongiurare il ventilato trasporto della Polveriera a Genova. (62) L'ipotesi fu considerata e valutata con attenzione dalle autorità civiche e militari, ma non ebbe seguito nemmeno dopo il noto incidente del 1852. Anche il cav. Pernigotti riteneva il canale sottoutilizzato in relazione al notevole investimento sostenuto dalla Città. Nell'indagine del 1844 egli si interrogava circa l’opportunità di prolungarlo ottenendo nuovi salti idraulici, cosicché l'Oltrepò potesse surrogare nello sviluppo manifatturiero l'area di porta Palazzo, ormai satura a causa del completo sfruttamento delle acque della Dora Riparia e del canale dei Molassi. (63)
Nella seconda metà del XIX secolo, la pressante domanda di forza motrice che giungeva dall'industria stimolò nuovi progetti per ottenere maggiore energia dal canale. Se ne riportano, quali esempi, due che sono illustrati nel 1865 dall’Annuario Scientifico ed Industriale della Rivista Annuale delle Scienze d'osservazione e delle loro applicazioni in Italia ed all'estero. (64)
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Il primo prevedeva l'ampliamento del canale, così da aumentarne la portata fino a 20 mc/sec, drenando completamente le acque del Po durante le magre del fiume, e da ottenere così alla Madonna del Pilone altri 550 cavalli di potenza, in aggiunta a quelli utilizzati dai molini. La spesa stimata per la realizzazione dell'opera era di L. 400.000, pari a L. 730 per cavallo.
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Il secondo progetto prolungava il canale sin oltre S. Mauro, dove un impianto per la compressione dell’aria, basato su macchine simili a quelle al lavoro nel traforo del Fréjus ed alimentato dal canale stesso, avrebbe fornito alle piccole imprese di Torino nuova forza motrice. Tale piano risultava però assai meno efficiente: a fronte di una potenza stimata di circa 750 cavalli, avrebbe richiesto un investimento di ben L. 2.250.000, con un costo per cavallo di L. 3.000 lire alle porte della città, che divenivano 4.300 al suo interno conteggiando i costi del trasporto dell'energia.
Le idee per un migliore impiego delle acque del canale Michelotti, dunque, non mancarono, ma nessuna giunse a buon fine. Alcune erano forse troppo avveniristiche ed ambiziose, e la fattibilità tecnica ed economica era talora incerta; spesso queste idee sottovalutavano il forte impatto che avrebbero prodotto sul fiume, sulle sue caratteristiche morfologiche e sulle attività economiche che gravitavano attorno ad esso. In ogni caso, tutta questa feconda progettualità venne superata dall'avvento dell’era elettrica ormai prossima. (65)
Il "rodone" del Meisino
La buona portata permise l’impiego irriguo delle acque del canale Michelotti. Si dovette però superare un ostacolo altimetrico, poiché il canale scorreva, complanare al Po, più in basso sul piano della campagna. Per sollevare l’acqua, furono utilizzati sistemi idraulici diversi e più volte rinnovati nel tempo.
Il primo, progettato dal Michelotti stesso già nel 1817, era ispirato alle “norie” mediorientali. Una grande ruota idraulica, fatta girare dal canale stesso, riempiva d'acqua, per immersione, le secchie (o brentelle) di cui era dotata; raggiunta la massima altezza, la vuotava in una vasca e quindi in un canale irrigatore che provvedeva a distribuirla in campi e prati. L’installazione fu decisa dalla Giunta Municipale
La grande noria di Hama (Siria)
il 13 maggio 1817 (contestualmente ai trenuovi motori idraulici aggiunti ai molini della Madonna del Pilone), motivando il rilevante investimento richiesto dalla ruota, circa 13.000 lire, con la «necessità assoluta di provvedere in perpetuo agli inconvenienti di una siccità, e il non dubbio profitto di ampi poteri resi più fecondi, e quello del nostro erario che troverebbe ampio compenso della spesa». La costruzione della struttura fu affidata al Machinista G. Barone. (66)
La rilevanza tecnica dell'opera ebbe una certa eco nel mondo scientifico e accademico torinese, poiché nei territori sabaudi esistevano pochi precedenti di simili "ingegni", capaci di sollevare a considerevoli altezze volumi d’acqua adeguati all’irrigazione di vasti spazi agricoli. La “ruota a brentelle” venne preferita ad altre soluzioni ritenute meno affidabili e, soprattutto, più costose, quali la Macchina di Marly e le pompe a vapore. L’impianto venne collocato a lato dei molini su un condotto dedicato che, derivato dalla bealera principale, si scaricava subito nel Po. La ruota misurava m 8,70 di diametro e poteva sollevare una cinquantina di litri scarsi d’acqua al minuto (0,95 brente) su un dislivello approssimativo di 6 m, compiendo circa
15 giri in cinque minuti con le secchie piene e la massima aper-tura delle serraglie Il peso di soli 922 rubbi - circa 850 kg, pari alla metà di un’equivalente ruota da mulino - fu ottenuto con una buona progettazione e l’accurata scelta dei “boscami”. Il collaudo venne effet-tuato il 16 dicembre 1817, e l'anno successivo, non appena completato il canale di distribuzione, vennero stipulati i primi contratti d’acqua biennali con i signori Bracco ed Henry per l’irrigazione di «quella parte del territorio, la quale giace ai piedi del Poggio, sopra cui è posta la chiesa di Sassi». (67)
La "Pianta ed alzata della ruota a secchie collocata in vicinanza dei molini della Madonna del Pilone", disegnata dall'ing. Ignazio Michelotti nel 1817, ne mostra il funzionamento. Il sistema era composto da due ruote complanari; le palette dell'una imprimevano il movimento, e le secchie dell'altra sollevavano l'acqua versandola nel canale del Meisino.
Fonte: ASCT, CS 2292
I primi contratti d'acqua del canale del Meisino
Diverse circostanze, tra cui alcune difficoltà nella realizzazione del fosso distributore e i dubbi dei possidenti nel distretto interessato, fecero sì che nel 1818 si firmassero due soli contratti irrigui. L’anno successivo, tuttavia, gli utenti erano saliti a quattro, per un totale di 133 ore delle 168 disponibili nel corso della settimana; in tale occasione si provvide a stabilire gli orari per la ripartizione dell’acqua e il regolamento del canale.
ORARIO
La distribuzione si regolerà come segue:
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Dalle ore 6 del mattino del lunedì si lascerà decorrere tutta l’acqua a beneficio del signor Bracco fino alle ore 4 del mattino del giovedì e così per ore 70.
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Dalle ore 4 di mattina del giovedì fino alle ore 10 del sabato l’acqua decorrerà a beneficio del sig. Henry e così per ore 50.
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Dalle ore 10 del sabato fino alle 8:00 della sera a beneficio del sig. Sartoris, e così per ore 10.
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Il sig. Avv.to Galvano dalle ore 3 alle ore 6 mattutina del lunedì.
Le rimanenti ore della settimana saranno distribuite agli utenti che le chiederanno tenendo sempre lo stesso ordine retrogrado. In caso che tali ore fossero tuttavia senza impiego la città farà cessare l’acqua per quel tempo. (68) Le 35 ore rimanenti saranno effettivamente assegnate nei mesi successivi.
Un documento di qualche anno successivo permette di sintetizzare i patti he regolavano l’affitto dell’acqua del canale del Meisino. (69)
Secondo il Regolamento:
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La quantità d'acqua concessa in distribuzione oraria nel periodo d'una settimana è fissata a 5 su 24 parti della misura della ruota d'acqua. (71 l/sec) Dovranno i Signori particolari utenti dell’acqua pagare alla Città l’annuo canone di lire sei per cadauna ora d’acqua del canale. Il pagamento dovrà farsi nelle mani del Tesoriere della Città, per metà al 31 luglio e per metà al 31 dicembre di ciascun anno.
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I signori utenti avranno l’uso dell’acqua, per il tempo a ciascuno di loro concesso, dal primo aprile a tutto ottobre di ogni anno.
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Dovrà la Città al primo aprile di ciascun anno consegnare il fosso di sua spettanza ben purgato, affinché l’acqua scorra liberamente; occorrendo purgazione accidentali dal 1 aprile a tutto ottobre saranno a carico degli utenti dell’acqua.
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Qualora non potessero li Signori utenti godere dell’acqua perché si dovesse divenire a qualche riparazione attorno al canale Michelotti, mulini, rodone, o canale adacquatorio, non si farà luogo a diminuzione del fitto, o a qualunque indennità, purché detta privazione non ecceda il tempo che si esige per un turno degli utenti, e non si moltiplichi tanto che gli utenti restino nel corso di quattro settimane privi per di più di un turno.
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Sarà posto un segnale in vicinanza dell’inizio del canale per assicurare gli utenti che l’acqua scorrerà, pendente il tempo delle concessioni, nel canale irrigatorio nella quantità di un quarto di ruota.
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Qualora la Città aumentasse il corpo d’acqua nel canale irrigatorio, si obbligano i Signori utenti di aumentare proporzionalmente l’anno canone.
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La tabella indicante il giorno ed ora assegnato a ciascuno dei Signori particolari per l’uso dell’acqua starà esposta nel molino della Madonna del Pilone.
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Per l’orario si prenderà la norma dall’orologio della Madonna del Pilone.
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Dette cose tutte le parti promettono di attendere ed inviolabilmente e osservare.
Torino, addì 6 marzo 1821
La direzione del nuovo canale è assegnata al sig. Decurione Moriondo, responsabile anche del canale Michelotti. Per la gestione e la manutenzione la Città nominerà un custode, pagato dagli utenti in ragione di una lira per ogni ora d’acqua goduta, almeno fin quando non si organizzeranno in Consorzio. Sarà del custode compito vigilare sul regolare livello del flusso, avvisando l’Economo della Città in caso di anomalia, ed occuparsi della diversione dell’acqua affinché ogni utente riceva quella che gli spetta nell’orario prestabilito. Egli dovrà inoltre occuparsi dei lavori di ordinaria manutenzione, per i quali sia sufficiente l’opera d’un solo uomo, e supervisionare quelli straordinari, tenendo conto della spesa. (70)
Non è semplice, al momento, individuare quando il progetto venga realizzato, tuttavia dobbiamo ipotizzare che avvenga solo molto più tardi, se, ancora nel 1841, così il prof. S. Berruti descriveva il “rodone” del Meisino: «In attiguità ai molini il canale fa girare una gran ruota a palette del diametro di piedi liprandi 19, sull'asse orizzontale della quale havvi un'altra ruota del diametro di piedi 18, alla cui periferia sonvi distribuite e fisse d'ambe le parti in totale n° 96 cassette di rame, caduna della capacità di pinte 9, le quali riempiendosi tutte successivamente sei a sei per volta versano l'acqua in un apposito recipiente situato all'altezza di piedi 12 misurati verticalmente, partendo dal punto più basso di questa ruota; dal qual recipiente l'acqua passa in un canale artifiziosamente costrutto e sostenuto in alto da opportuni pilastri ed archi sino a raggiungere il piano delle campagne intermedie tra il Po e la collina; le quali per la parte che restano comprese nelle regioni della Madonna del Pilone e del Meisino posteriormente ai suddetti molini vengono irrigate con quest'acqua così sollevata». (73)
L’esercizio dell’impianto non si dimostrò forse del tutto soddisfacente e comunque il sollevamento "a brentelle" non costituiva certo una tecnologia di avanguardia. Così, nella seduta del 29 aprile 1830, la Congregazione, laconicamente, autorizzava «la formazione di una ruota idraulica da collocarsi sul canale Michelotti per elevare un corpo d'acqua sufficiente ad irrigare i terreni situati tra il fiume Po e l'argine di difesa del canale», affidando l’esecuzione di calcoli e disegni all'ing. Barone. (71) Un disegno non datato, ma successivo al 1828, ne mostra le caratteristiche: il diametro è pari a sei once e sei piedi (3,30 m circa), monta ventiquattro “cassette” in rame, è alimentata “alle reni” attraverso un camminasso in legno e il suo costo stimato è di L. 264. (72) Essa sembra destinata a una struttura più moderna ed efficiente, in cui l’acqua non viene più sollevata da secchie immerse nel canale ma, verosimilmente, da una o più pompe idrauliche azionate dalla ruota stessa sfruttando un modesto salto, da ottenersi con l’abbassamento del fondo dello scaricatore.
Importanti lavori vennero effettuati dieci anni più tardi, nel contesto dell’ammodernamento dei molini e del prolungamento del canale. Risale al 6 giugno 1840 il contratto stipulato dalla Città con il capomastro Giovanni Battista Castelli che, oltre agli interventi ancora necessari sul canale Michelotti dopo la Madonna del Pilone, sugli scaricatori e sui fabbricati dei mulini, prevedeva il «collocamento del gran rodone per l’innalzamento dell’acqua destinata all’irrigazione dei beni nel distretto del Mejsino.» L'appalto riguardava gli scavi e i trasporti di terra per ottenere il salto e le murature dell'edifizio della ruota, nonché quelle del condotto adduttore ed altri interventi minori. Contestualmente, venivano demoliti «l’antico ponte canale vicino al caso da terra del molino» e il vecchio condotto che convogliava l’acqua nel fosso a lato della strada di Casale e quindi nel canale del Meisino. Il nuovo impianto distava circa 400 metri dai molini; il sito è individuabile oggi alla base della rampa che, da piazza A. Pasini e dal ponte di Sassi, scende verso il fiume. La nuova sede richiedeva, ovviamente, il rifacimento del tratto iniziale del canale distributore, edificato in muratura nei primi 19 m, con declivio di 390 mm, sezione di 0,635 m e sponde di 0, 50 m di altezza; l’incastro della paratoia era in pietra da taglio e murato sul fondo, in linea con le sponde, tenuto all’altezza di 23 cm. (74)
Il rinnovo dei contratti irrigui proseguì con cadenza più o meno regolare. Gli accordi degli anni successivi non differivano troppo da quelli già descritti. Tra le novità contenute nei patti siglati con scrittura privata del 7 marzo 1840, si segnalano: la durata novennale dei contratti; il prezzo aumentato a L. 12 per ciascuna delle 168 ore d'acqua settimanali assegnate; l'adozione di un modellatore in pietra di 0,685 m per 0,23 m per regolare il flusso immesso nel canale e l'obbligo per gli utenti di dotarsi di bocchetti standard per i prelievi. Ma, soprattutto, i proprietari avrebbero dovuto ora
associarsi inderogabilmente in un consorzio autonomo, che sarebbe stato responsabile diretto del pagamento del canone per l'intero monte ore d'acqua annuo del canale, pari a L. 2.016. Gli utenti quindi avrebbero risposto in solido di eventuali inadempienze, surrogando di tasca loro eventuali versamenti non effettuati, con evidente vantaggio per la Tesoreria municipale. La Città non avrebbe esercitato alcuna ingerenza nella determinazione della tabella settimanale di erogazione, delegando nella definizione all’accordo consensuale tra i consorti. Il convegno per la formazione del Consorzio degli utenti del canale del Mejsino fu convocato all'inizio del 1842, e il 21 febbraio vennero stipulati i contratti che recepirono il nuovo quadro giuridico. (75)
In origine, il "rodone" del Meisino, come mostra la prima planimetria risalente al 1818, era posto sullo scaricatore dei molini. Con un ponte-canale, il condotto irriguo superava il ramo scaricatore principale e, lambendo il «caso da terra», si immetteva nella strada di Casale. La nuova ruota era collocata invece più a valle, lungo lo scaricatore, poco prima dell'attuale ponte di Sassi. Qui, il canale venne allargato creando una struttura per aggirare e fermare la ruota.
Fonte: ASCT, TD 18. 1. 3. (particolare) e TD rot. 2A (particolare)
Nel 1859 così ancora il prof S. Berruti descriveva il nuovo impianto di sollevamento: «inferiormente ai molini il canale fa girare una ruota motrice, la quale dà movimento a due gran corpi di trombe idrauliche a stantuffi orizzontali, mercé cui s'innalza un volume d'acqua sino all'altezza di metri 7,80, il quale, scaricandosi poi in apposito canale, serve allo inaffiamento di circa giornate 80 (30, 49 h) di terreni prativi tra la strada provinciale di Casale ed il Po nella regione detta il Meisino». (76) A. Covino, qualche anno più tardi, segnalava ai visitatori la pompa idraulica quale attrattiva di Torino, precisando che essa si giovava di una tromba (sistema Letestu) capace di sollevare 30 d’acqua al secondo. (77)
In occasione del rinnovo dei contratti in scadenza nel 1880, i coutenti del Meisino lamentavano la mancanza d’acqua patita nei primi sei mesi dell’anno precedente e chiedevano il rimborso del canone già versato. Il Comune, nel memoriale del 9 ottobre 1879 curato dall’ing. Pecco Capo dell’Ufficio Tecnico, ne riconobbe le ragioni, adducendo la questione alle straordinarie piene del Po che, da aprile a luglio, avevano impedito il funzionamento del motore idraulico di sollevamento, sia a causa del livello dell’acqua nel condotto di fuga, sia del rigurgito prodotto dall’abbondante melma depositata sul fondo. Tuttavia, l’acqua immessa nel canale del Meisino risultava quasi sempre inferiore a quella prevista dalla Concessione; si ammise che, al di là degli eventi contingenti, i malfunzionamenti erano dovuti principalmente alla “vetustà” del meccanismo, che la considerevole spesa della città per manutenzione e riparazioni (circa L. 1000 all’anno) non riusciva ad ovviare. Essendo ormai prossima la scadenza naturale dei patti, si propose che i coutenti acquisissero il salto d’acqua, il meccanismo, l’edificio e il casotto di incastro del canale, con un versamento forfettario una tantum; in alternativa, che provvedessero alla sostituzione dell’impianto per conto della Città con un nuovo congegno capace di sollevare acqua sufficiente a livello delle irrigazioni. (78)
L'impianto di sollevamento del Meisino nel 1933, poco prima della soppressione del canale. La fotografia (qui invertita di 180° rispetto alla pubblicazione originale) è scattata dal lato posteriore, dove il condotto della ruota e lo scaricatore si ricongiungono. A sinistra, sullo sfondo, si riconoscono la ruota e i relativi meccanismi di controllo, ed al centro l'edificio delle pompe. Oltre i mec-canismi idraulici, gli edifici comprendevano il casotto del custode del canale.
Fonte: C. Corino, in: Acque, ruote e mulini a Torino, cit.
L'impianto del Meisino lavorò, instancabile, ancora per una cinquantina d’anni. Quando, negli anni Trenta del Novecento, il canale Michelotti venne soppresso, il Consorzio irriguo dei proprietari agricoli dei comuni di San Mauro, Gassino e Sambuy era la sola ed ultima utenza rimasta. Il piccolo condotto contava ancora almeno una quindicina di allacciamenti e quindi sopravvisse al grande canale. La vecchia ruota venne sostituita da una moderna stazione di sollevamento alloggiata nella spalla del nuovo ponte di Sassi, le cui pompe elettriche aspiravano le acque del Po introducendole direttamente nel canale irriguo. (79) Dai verbali della Giunta Comunale del 24 maggio 1976, dedicata all'aggiornamento dei canoni di irrigazione ai costi di esercizio delle canalizzazioni municipali, si apprende che al tempo era ancora attivo un "canale del Meisino".
La fine del canale Michelotti
L’avvento dell’energia elettrica e il tramonto della forza motrice idraulica segnarono la fine del canale Michelotti. All'inizio degli anni Trenta del Novecento, alla vecchia derivazione restavano ben poche ragioni per esistere: non svolgeva più funzioni di rilievo e, come si è visto, la sola utenza rimasta era il Consorzio irriguo del Meisino. Il declino manifatturiero riguardò tutto l’Oltrepò, la cui fisionomia stava assumendo nuove caratteristiche, spiccatamente residenziali. Da tempo i consueti motivi di sicurezza, igiene e pubblico decoro richiedevano la copertura, o l’eliminazione, del canale Michelotti, considerato ormai un ostacolo alla costruzione di nuove case e alla sistemazione della sponda destra del Po, soprattutto nella seconda metà dell'Ottocento, in ragione del valore fondiario acquisito dai terreni che si affacciavano sul fiume dopo l’estensione dei Murazzi e l’abbattimento del borgo del Moschino. Anche il completamento del nuovo parco pubblico creato all’inizio del secolo tra i ponti della Gran Madre e di corso Regina Margherita imponeva una sistemazione del canale. (80)
Il canale e la città
Il canale Michelotti fu il solo a guadagnare un posto tra le immagini più celebri della città. La passeggiata che si snodava lungo le sue sponde nel corso dell’Ottocento era considerata una delle più amate dai torinesi, svolgendo così anche un’implicita funzione di loisir urbano. Le guide turistiche del tempo non mancavano di descrivere l’argine che separava il canale dal fiume quale uno dei luoghi più graziosi di Torino; un passeggio tranquillo, appartato e romantico, ben conosciuto e frequentato da chi cercava pace e frescura all’ombra dei suoi grandi alberi. (80bis)
Ciò tuttavia non valse a salvare il canale. Il maggiore quotidiano cittadino si trovò in prima linea nella campagna di stampa per la soppressione. La chiave fu proprio la contrapposizione tra sentimento e ragione, tra passatismo e romantico e moderna razionalità, tra femminile e fanciullesca tenerezza e maschio realismo.
A tal proposito è eloquente l’articolo pubblicato da La Stampa il 18 settembre 1931:
«I 3000 abitanti della Madonna del Pilone vivono da qualche tempo sotto un incubo che non lascia loro dormire, a piè della verde riposante collina, sonni tranquilli: sarà mantenuto o sarà abolito nel loro territorio, all’ombra romantica degli antichi platani canori di alati richiami, il percorso del canale Michelotti?
I casi, nei progetti degli ingegneri e dei tecnici, sono due: o rispettare la tradizione, la poesia infinitamente suggestiva del canale con a fianco la sua strada alberata e idilliaca, cara alle coppiette; o buttare in Po il corso d’acqua, gli alberi, gli scrupoli e la tradizione, soppiantare il tutto con una vasta zona di terreno da fabbricare. Le due tendenze si bilanciano, ciascuna armata dei suoi argomenti e dei suoi difensori. I filo-canalisti sono i vecchi, che godono, nei pomeriggi sereni, la lettura del giornale all’ombra frastagliata delle foglie, tra il fiume e il canale, tra il gorgogliare dell’acqua e il cinguettio dei passeri, tra lo sciabordare delle lavandaie e le nenie di un pescatore solitario. E i giovani d’ambo i sessi che studiano in riva al canale la coniugazione del verbo amare.
Gli anti-canalisti, dal canto loro, parlano dell’igiene, dell’umidità, della valorizzazione del territorio, del maggior respiro che, senza canale, si verrebbe a dare alla borgata. E mentre queste due correnti sono in contrasto, le altre due, invece, la corrente del Po e
quella del Michelotti, vanno d’accordo che è un amore, e si affrettano, avanzando parallele, alla musica del loro ritornello sempre nuovo e sempre uguale, verso il reciproco destino.
La questione del resto è scottante, malgrado si tratti d’acqua, e un giorno bisognerà pur che qualcuno ne estingua l’ardore».
Una romantica immagine del canale.
La prosa pomposa ed umoristica non trae in inganno e non nasconde la retorica delle questioni: l’imperativo di sopprimere il canale fu propugnato tenacemente dal quotidiano, rivendicandone il merito raggiunto il risultato. (81)
L'Amministrazione municipale valutò sia la copertura sia la soppressione del canale. Per quanto fosse considerato una distruzione di ricchezza e comportasse il pagamento di un'indennità ai proprietari dei diritti del salto degli ex molini, nonché una soluzione alternativa per l'adacquamento del canale del Meisino, venne scelto l'interramento per una chiara ragione di costi, valutati, all'interno del solo parco Michelotti, pari a 20.000.000 di lire nel primo caso e 1.500.000 nel secondo; nel gennaio del 1935 la Consulta municipale espresse dunque parere favorevole alla Deliberazione Podestarile per la soppressione del canale. (81bis) I lavori si inscrissero nella campagna di investimenti pubblici promossi da Mussolini per contrastare la disoccupazione e la crisi economica degli anni Trenta; essi procedettero speditamente, utilizzando per colmare l’alveo del canale anche le macerie della demolizione di via Roma e dello Stadium della Crocetta. Nell'estate, il tratto a valle di piazza Borromini era già prosciugato e veniva gradatamente riempito. L’ipotesi ventilata in un primo tempo di conservare la parte iniziale del canale per abbellire il parco Michelotti non ebbe seguito. I cantieri vennero chiusi definitivamente entro la fine dell’anno successivo. Tornò così a disposizione della città un’area di circa 35.000 m², in larga parte utilizzata per il completamento del parco pubblico, solo in apparenza dedicato al celebre Ingegnere. (82) La strada urbana a scorrimento veloce, parallela a corso Casale, che si ipotizzò di tracciare sull'area liberata dal canale, fu uno dei progetti rimasti lettera morta. (83)
Come illustrato in figura, con la soppressione del canale Michelotti l'impianto a pompa azionato dalla vecchia ruota idraulica fu sostituito dalle pompe elettriche di una moderna stazione di pompaggio alloggiata nel ponte di Sassi che immetteva l'acqua del fiume direttamente nel canale irriguo del Meisino.
Fonte: ASCT, AA.LL.PP.
Canali ponti fognature 70/2
I numeri del canale e le tracce
Il profilo longitudinale del canale Michelotti, disponibile presso l'Archivio Storico del Comune di Torino redatto nel gennaio del 1934, fornisce il quadro dettagliato delle misure dell'opera poco prima della scomparsa. (84)
Il canale Michelotti in cifre
I dati in tabella sono riferiti al 1934. In evidenza, oltre ai due salti del canale, la modestissima pendenza a valle dei molini, che spiega sia la lunghezza dello scaricatore, sia il rischio di risalita a monte dell'acqua in caso di piena del Po. La profondità relativamente limitata spiega anche i frequenti straripamenti del canale davanti alla chiesa e gli allagamenti della stessa.
Fonte: ASCT, AA.LL.PP. Canali ponti fognature, 70/3.
La traversa
I disegni, non datati, risalgono verosimilmente agli ultimi anni del canale Michelotti. Nonostante la traversa sia stata nel tempo adeguata alle necessità fluviali, essi mostrano una tecnica costruttiva vecchia di secoli.
Fonte: ASCT, TD 12.3.29 tav. 2 e 3.
Il documento conferma le caratteristiche dell'opera: la forma arcuata, lo scaricatore e l'imbocco del canale posti sulla sinistra, e lo scivolo per l'eventuale passaggio delle barche sulla destra. Essa risulta formata da sei ordini di pali conficcati in profondità nel letto del fiume, intervallati da materiale di riempimento; è rinforzata inoltre da grossi massi collocati a ridosso della palizzata più esterna e dotata di copertura pietrosa. La traversa crea un innalzamento del pelo dell'acqua sufficiente per introdurre nel canale un volume d'acqua, controllato da cinque porte mobili collocate sull'imbocco. Completamente chiuse esse permettono il completo prosciugamento del canale. L'opportuna regolazione delle tre grandi paratoie mobili dello scaricatore consentono di mantenere costante l'altezza dell'acqua a monte della struttura.
Dopo la chiusura del canale Michelotti la diga mantenne, e mantiene tuttora, parte dei compiti e delle strutture originarie; nonostante le proposte via via formulate per trasferirla o sopprimerla, essa è divenuta parte di una delle vedute più classiche della città. La sua fisionomia è mutata con la trasformazione della vita fluviale; e se, al declino della navigazione, l’ampiezza del passaggio per le barche fu ridotta, la nascita dei circoli canottieri e l’avvento della navigazione turistica ne comportarono il rialzo del ciglio. Verso la fine dell’Ottocento, la traversa è stata rinforzata ed elevata (85), prima in via transitoria e poi definitiva. In occasione dell'Esposizione Internazionale del 1911 fu elevata di circa un metro con una struttura metallica a pannelli mobili, al fine di ottenere uno specchio d'acqua dedicato ai festeggiamenti, alle gare di canottaggio ed alla navigazione dei battelli a vapore. Risale ad allora la sostituzione delle vecchie paratoie della balconera con quelle prodotte dalle fonderie Fauser di Novara, conservatesi fin quasi ai giorni nostri. L’opera ha subito nel tempo frequenti interventi di manutenzione, conservazione e restauro; sia ordinari, resi necessari dai naturali fenomeni di usura e di erosione; sia straordinari, imposti dai periodici ingrossamenti del Po e dalle nuove attività fluviali. (86) I resoconti dettagliati di tali lavori sono custoditi negli archivi della Città. (87)
Diga e presa del canale Michelotti. Si notino le tre robuste paratoie che regolavano il il livello del fiume a monte. (Anni '30 circa).
Fonte: Fondazione Torino Musei, Fondo M. Gabinio
Il canale
Il canale Michelotti scorreva per l’intera lunghezza parallelo al Po; in origine misurava 2.750 m, divenuti 3.436 m dopo il prolungamento. Fino alla scomparsa, rimase tutto a cielo aperto, con l'eccezione dell’imbocco e di un breve tratto nei pressi della chiesa parrocchiale. La copertura dell’imbocco, in realtà poco più di un ponte, fu necessaria per accedere alle opere di presa percorrendo la rampa che scendeva dalla piazza della Gran Madre. Una cinquantina di metri di alveo furono coperti al piazzale della Madonna del Pilone, nel 1925, per facilitare l'inversione di marcia delle vetture tranviarie della nuova linea 21, che vi faceva capolinea dall'anno precedente. (87a) Del canale non rimane oggi pressoché traccia, ma l’antico alveo è facilmente intuibile nei grandi platani che, in buon numero, costellano la passeggiata che si snoda lungo l’argine del fiume.
Piano regolatore per l'ampliazione della città di Torino oltre il Po del 1891 ben mostra l'arco accen-tuato disegnato dalla diga, la presa coperta ed il tracciato del canale assai prossimo a corso Casale, il rivo S. Martino ancora sco-perto, il casotto del dazio, la limitata edifi-cazione del quartiere.
Fonte: RAPU
(particolare)
Alcune suggestive immagini del canale Michelotti. Si noti quanto il dislivello tra il piano del corso e quello del canale stesso
Fonte: Fond. Torino Musei,
Fondo M. Gabinio
Il primo tratto percorreva il terrazzo fluviale, mantenendosi a ridosso della scarpata che scendeva dai prati superiori, parecchio incassato sul piano circostante: di 8,95 m rispetto al pelo dell’acqua e 9,97 m al fondo. Tra l’argine sinistro e il fiume correva la strada alzaia; nello spazio che sarà poi del giardino zoologico, nell’Ottocento, si succedevano una serie di prati regolari e ben curati. È interessante notare come gli abbondanti detriti, che ancora oggi emergono lungo la riva del fiume, fossero già presenti nella cartografia ottocentesca. A 796 m dall’imbocco, in corrispondenza dell’odierno ponte di corso Regina Margherita, si diramava uno scaricatore, seguito subito dal ponte del rivo Tarino, o rivo S. Martino, il primo dei tre incrociati dal canale Michelotti. Scendendo dalla collina, questi corsi d’acqua lo impegnavano a un livello altimetrico maggiore, scavalcandolo su ponti-canale in muratura. Parecchi ponticelli, alcuni soltanto pedonali, ne costellavano poi l’intero tracciato.
Il ponte Eiffel
Con lettera del 10 marzo 1884 la società francese Eiffel Constructions Métalliques of-friva, tramite il suo rappre-sentante l’ing. Emilio Durup De Baleine, di costruire a proprie
spese un ponte metallico «portabile ed economico» sul canale Michelotti in occasione dell’Esposizione Generale di Torino ormai prossima.
I ponti di tale categoria erano formati da elementi metallici triangolari lunghi 6 m ciascuno, collegati tra loro con perni. La larghezza di 2,80 m era costante, mentre la lunghezza variava da 6 a 21 m. Avevano una notevole rigidità, potevano essere montati in tempi brevi e rappresentavano una soluzione efficiente ed economica sia per usi militari che civili.
La struttura proposta è ad unica travata di 21 m di luce e 3 m di larghezza; le parti metalliche sono interamente in acciaio e l’impalcatura in assi di legno. La società costruttrice si fa integralmente carico dei lavori necessari alla costruzione dell’eventuale smontaggio del ponte. La collocazione, suggerita di fronte a via Ferrante Aporti, richiede 10 giorni dall'approvazione del progetto. Il ponte sarà dato a nolo alla Città di Torino per la durata di sei mesi, con canone mensile di L. 25. Scaduto tale termine sarà facoltà dell’Amministrazione acquistarlo al prezzo di L. 5.500; diversamente lo smontaggio e il ripristino del canale saranno a carico della ditta Eiffel.
Il ponte portatile venne realizzato dall’Impresa Industriale Italiana di Costruzioni Metalliche di Napoli, che aveva acquistato la privativa per l’Italia dei ponti "Sistema Eiffel". Il 24 aprile 1884 venne collaudato con successo con un carico di 12.000 chilogrammi ripartiti in modo uniforme; dopodiché fu smontato e trasportato nei padiglioni dell’Esposizione e venduto infine alla Società delle Ferrovie Alta Italia. L’Impresa italiana propose alla Municipalità di sostituirlo con un ponte analogo al prezzo scontato di L. 5.000, ma l’offerta non ebbe seguito.
Il ponte Eiffel sul canale Michelotti, davanti a via Ferrante Aporti.
Immagini di fonte Fb.
In alto a sinistra: il disegno del ponte.
Fonte: ebay
Sopra: Il collaudo del ponte portatile Eiffel.
Fonte: Torino sparita su Fb.
Fonti del testo: ASCT, AA.LL.PP. 1884 vol. 140 e Monitore Industriale Italiano, Anno IX, n°87, 11 settembre 1884, p. 2.
Il canale proseguiva all’ombra dei grandi platani piantati lungo le sponde, sfiorando il retro delle case che insistevano sulla strada di Casale, edificate tutte nella seconda metà dell’Ottocento. Allontanandosi dall’argine del fiume e guadagnando il margine dello stradone, raggiungeva il Santuario della Beata Vergine, lambendone il perimetro settentrionale. Davanti alla chiesa si trovava un primo ponticello, seguito da un secondo, dopo l’edificio; essi conducevano all’alzaia e al cimitero primitivo della Madonna del Pilone, entrambi sulla sponda sinistra del canale. (88) La strada che conduceva al secondo ponte esiste tuttora quale vicolo Cecco Angiolieri. Ormai abbassatosi rispetto all’argine del fiume, il canale raggiungeva rapidamente la propria destinazione entrando nel recinto dei molini della Madonna del Pilone, a 2.206 m dalla presa, scavalcato appena prima dell’ingresso dal rivo di Reaglie. Dopo la soppressione, dall’interramento del vecchio alveo, è stata ricavata la strada che oggi porta alle bocciofile; sull’area dei molini sorge la scuola primaria Altiero Spinelli.
Un tempo, ed oggi ancora, si affacciavano su c.so Casale numerose "piole", le celebri osterie popolari piemontesi. Alcune erano collegate direttamente al lungofiume da passerelle che scavalcavano il canale. A sinistra quella del ristorante I Goffi, in un dipinto di Felice Vellan (1936), oggi sostituita da una pizzeria; a destra, quella del ristorante Cucco.
Immagini di fonte Web.
Oltre i molini, lo scaricatore proseguiva lungo l’argine arborato del fiume. Come si è visto, a 425 m di distanza, dopo il prolungamento del canale stesso, venne ricollocata la ruota che pompava l’acqua nel condotto irriguo del Meisino, in precedenza posta ai molini. Mantenendosi sempre prossimo all’argine, il canale sfociava infine nel Po. In origine poco prima dello sbocco del rivo dei Sassi, o Mongreno; dopo il prolungamento ottocentesco, parecchie centinaia di metri più avanti. In seguito a tale intervento, a 208 m dall’impianto di sollevamento, il canale sottopassava il rivo di Sassi e, proseguendo per altri 595 m, terminava nel fiume oltre la confluenza della Dora Riparia e la cascina detta il Cascinotto, a 3436 m dalla presa.
Il ponte sul canale davanti alla chiesa
Fonte web.
Tempi recenti
Oggi, il corpo della traversa Michelotti è in conglomerato di calce idraulica con inerti grossolani rivestiti in conci di pietra sbozzata, profilo curvilineo e pendenza decrescente verso valle. Il tracciato planimetrico è curvilineo, con larghezza variabile tra m 8,50 e 10,50. Complessivamente ha uno sviluppo da sponda a sponda di circa m 180. In sponda destra, il corpo della traversa curva maggiormente, affiancandosi a uno scaricatore dotato di paratoia elettrica della larghezza di m 10,40; in sponda sinistra, è presente uno sfioratore con canale largo m 7,00. Il dislivello tra la soglia superiore e lo spigolo posteriore crea un salto variabile tra m 1,15 e m 1,30 (in quanto la soglia superiore decresce leggermente verso la sponda destra). (89) L'opera è stata oggetto di importanti lavori in anni relativamente recenti. Nel 1983 è stata rinforzata con colate di calcestruzzo. (90) Nel 2003 sono stati riparati i danni patiti dalle fondamenta durante l’alluvione del 2000; lo sbarramento è stato rinforzato per l’intera lunghezza con 308 colonne in cemento armato di 70 cm di diametro, piantate alla profondità di 5,5 m; un secondo allineamento di pilastri, collocati a 3 m di profondità, è stato poi anteposto al primo per ridurre la forza d’urto dell’acqua. Il costo complessivo è stato di 470 milioni di euro. L’ipotesi, allora ventilata, di estendere la navigabilità del fiume adeguandone l’alveo e costruendo una nuova diga a valle, è decaduta per gli eccessivi costi. (91)
Nel 2009 il vecchio sopralzo a paratoie metalliche è stato sosti-tuito, pur con caratteristiche geo-metriche e quote analoghe, con un nuovo dispositivo pneumatico gonfiabile a quattro moduli, costituito da tubolari in tessuto multistrato di nylon ad alta resistenza con rivestimento gom-mato, ancorati alla fondazione.
Le vecchie strutture metalliche di sopralzo della Traversa Michelotti
Fonte: Città di Torino
L'installazione è stata eseguita dalla ditta Puntel Capellari & Associati Ingegneria di Udine. (92)
Fonte: Citta di Torino
A sinistra l'attuale sara-cinesca di scarico della diga ed il locale di control-lo del sopralzo in gomma. A destra la scala per la risalita della fauna ittica.
La diga Michelotti oggi.
Risale agli stessi anni il progetto più ambizioso per adibire la traversa Michelotti alla produzione idroelettrica ed estendere la navigabilità del Po. Nel 2010 la Giunta Comunale approvava lo studio di fattibilità per la costruzione in loco di una piccola centrale elettrica, di una conca di navigazione per il passaggio delle imbarcazioni a motore sulla sponda destra, e su quella sinistra di uno scivolo per le canoe e le barche a remi. L’impianto, di tipo mini-idro, avrebbe prodotto 4,94 GW elettrici annui sfruttando la portata derivata massima del fiume di 50 m3/sec. su salto idraulico di 2,85 m. La conca e lo scivolo avrebbero finalmente esteso la navigabilità del Po oltre i limiti storici di piazza Vittorio. La spesa preventivata ammontava a 7.100.000 di euro. Nel 2016 la società che si era aggiudicata l'appalto ritirava l’offerta non considerando più remunerativa la costruzione dell’opera alla luce delle modifiche formulate al piano dell’opera per questioni ambientali. In seguito la Città, che pure aveva attivamente sostenuto e promosso il progetto, decise di abbandonarlo definitivamente. (93)
Il progetto non realizzato per la costruzione di una centrale idroelettrica ed una conca di navigazione alla diga Michelotti
Fonte: Città di Torino
Sulle tracce del canale
(cliccare sulle frecce per scorrere le immagini e cliccarle per ingrandirle)
NOTE
0. Cfr. Torino e le sue acque, Citta di Torino, Torino, Eredi Botta, 1895, p. 46.
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Cfr. P. Sereno, Il territorio e le vocazioni ambientali, in Storia di Torino, Dalla preistoria al Comune medievale, a cura di G. Sergi, Torino, Einaudi Editore, 1997, p. 26. Per la navigabilità del Po si veda l'ottimo saggio di G. Pellosio, Paroni di barche a Torino, la famiglia Clerico in Borgo Po, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2018 e A. Grammatica, Il fiume reale di Po e i suoi ammiragli, in Rivista Torino, n° 6, anno 1931, p. 44. Per quanto concerne il XIX secolo si veda anche: P. Pressenda, La navigazione interna tra utopia e progetto, in: Torino reti e trasporti: strade, veicoli e uomini dall'Antico regime all'Età contemporanea, a cura di P. Sereno, Torino, Archivio Storico della Città di Torino, 2009, p. 106. -- 1a. Per le feste fluviali della Corte sabauda cfr. A. Grammatica, Feste e regate sul Po, in Rivista Torino, n° 5, anno 1931, p. 76. Sulle diverse funzioni storiche del Po e della Dora, si veda anche: Augusto Sistri, L'uso storico dei fiumi e l'attuale assetto delle aree fluviali, in AA. VV., Politecnico di Torino, Dipartimento Casa-Città, Beni clturali ambientali nel Comune di Torino, Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, Torino, 1984, vol. I, pag. 743.
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Già nel 1047 i canonici del Duomo avevano mulini alla corte di Sassi. (A. Settia, Fisionomia urbanistica e inserimento nel territorio (secoli XI-XIII), in Storia di Torino, ibidem pag. 814). Impianti galleggianti erano ormeggiati presso il ponte ai piedi del Monte dei Cappuccini e in regione Mischie, nel territorio di S. Mauro. Si hanno notizie di altri molini lungo tutto il corso del Po, a Moncalieri (molini di Mayrano), Gassino, Castiglione Torinese e Sambuy. Cfr. A. Barghini, I mulini natanti sul Po, in Acque, ruote e mulini a Torino, a cura di G. Bracco, Torino, Archivio storico della città di Torino, 1988, vol. 1°, pp. 309-310.
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Per ulteriori dettagli sui diversi tipi di molini natanti e sulle loro caratteristiche costruttive, si veda il citato saggio di A. Barghini, pp. 301-309. Per l'"Inventario e testimoniali di stato dei mulini natanti del Po «quod est sub pontem Padi» (26 marzo 1520) cfr. Acque, ruote e mulini a Torino, a cura di G. Bracco, Torino, Archivio storico della città di Torino, 1988, vol. 2°, Appendice pp. 338.
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Per quanto concerne l'opposizione ai molini natanti, compreso quello delle catene, dei Capitani della navigazione sul Po, si veda il saggio di G. Pellosio Genta, Paroni di barche a Torino. La famiglia Clerico nel Settecento, in Studi Piemontesi, dicembre 2007, vol. XXXVI, fasc. 2. -- 4a. Cfr. Ordinati 25 ottobre 1490. -- 4b. Cfr. ASCT, CS 2469, Conto particolare e generale dei redditi dei mulini e degli edifici adiacenti 1770-1779. -- Cfr. 4c. ASCT, CS 2431. -- Cfr. 4d. ASCT. CS 1172.
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Cfr. A. Barghini, cit. pp. 314-315.
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Cfr. ASCT, Ordinati vol. 97, p. 55v, CS 2689 e CS 2690. - L’appellativo dato ai molini deriverebbe dalle grosse catene di ferro usate per ormeggiarli alla riva; ma il nome del costruttore, Baldassare Catena, lascerebbe supporre una seconda ipotesi. In ogni caso, l’una non esclude l’altra.
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Cfr. ASCT, CS 2703 - Per una ricostruzione dettagliata dell'intera vicenda dei molini natanti "delle catene" cfr. ASCT; CS pp. 2687-2703. -- 7a Cfr. ASCT, CS 2431, cit.
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Le narrazioni del miracolo sono innumerevoli, a testimonianza del suo radicamento nella tradizione popolare. Tra le tante pare particolarmente partecipe pare quella del Cibrario: «Nel 1644, vedevasi sulla riva destra del Po, lungo la collina al nordest di Torino, alla distanza d'un miglio, un mulino chiamato delle catene. Presso al medesimo rizzavasi un pilone o tabernacolo sul quale era dipinta la Vergine SS. Annunziata dall'Angelo. Nel dì 29 d'aprile di quell'anno moveasi a quella volta con un sacco di grano da macinare, una Margherita Molar moglie d'Alessandro, calzolaio, e con una sua figliastra d'undici anni e dello stesso nome. Giunta la madre innanzi al pilone, salutò con un'ardente giaculatoria la diva imagine. Entrata poi nel molino, e posto il gran nella macina, si fermò appoggiata col gomito al, recipiente della farina, mentre la figlia, spinta da pueril vaghezza, spinse una porticella , che s'apriva accanto alla ruota, e s'inoltrò sul ponte che d'una breve tavola si componeva, senza nissun parapetto. Ma sdrucciolando sull'umido legno cadde nel sottoposto vortice. Alzarono lamentevoli grida la madre e il mugnaio chiamando soccorso. Ma erasi l'infelice ragazza impegnata nella ruota, che tre volte l'alzò ed altrettante la rituffò nelle onde, in guisa che tutti la giudicarono stritolata e perduta. Non disperò la madre, e nel fallire d'ogni umano soccorso, si confidò del divino, e alla Vergine del Pilone prostrandosi le chiedette, con quel fervoroso entusiasmo che spira la fede, le restituisse la figlia. Frattanto v'era calca di gente, e chi cercava da un lato e chi dall'altro, e niuno trovava l'infelice sommersa nel fiume rapido e vorticoso, e per la stagione ingrossato. In queste ricerche erasi già consumato un'ora, e niuno più s'aspettava di rinvenir altro che un cadavere lacerato e deforme, quando alla madre parve di vedere una matrona di celesti sembianze, che, dispiccatasi dal pilone, e camminando sulle acque fino a mezzo del fiume, si chinasse in atto di stender la mano a persona che là naufragasse. Ed ecco in quell'istante alzarsi dal mezzo del fiume, a vista di tutti, la fortunata fanciulla, e starsi ferma come una statua in mezzo all'impeto delle acque che le fremean d'intorno, gridando le centinaia di spettatori raccolti sopra le sponde: miracolo, miracolo ! Le giunse intanto vicino una barchetta che la raccolse, e viva e sana la ricondusse alla riva. Questo prodigioso successo, cosi pubblico, così evidente, crebbe si fatta mente la divozione verso l'immagine dipinta su quel pilone, che subito colle offerte de' fedeli si costrusse una cappella, in cui fu racchiuso, e poco dopo si cambiò da cappella in Chiesa , abbondando singolarmente in doni Madama Reale Cristina di Francia , che fe' l'altar maggiore di fini marmi , ed arricchì di preziose suppellettili la Chiesa; il principe Maurizio di Savoia , Madama Reale Maria Giovanna Battista, e la regina Anna d'Orleans, la quale una o più volte la settimana solea recarsi a piedi, nel 1697 e 1698, al Santuario, implorando dal cielo, per intercession della Vergine, conforto di prole maschile, che poi le nacque in maggio del 1699 . Fervente nella divozione a questo Santuario era anche il celebre principe Tommaso, e più ancora Emmanuele Filiberto figliuolo di lui, che per molti anni, sino al fine della sua innocentissima vita, non lasciò quasi passar giorno, che solo od accompagnato dalla principessa Maria Catterina d'Este sua consorte, non andasse a prostrarsi a piè della Vergine propiziatrice». Cfr. L. Cibrario, Storia di Torino, vol. 2°, per Alessandro Fontana, Torino, 1846, p. 94.
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Cfr. ASCT, Ordinati 1758, Congregazione del 31-12-1758 e pagina I molini di Torino e CS 2460 - Il Barbariàto era una miscela di semi di grano e segale seminata direttamente nei campi. Erano detti marsaschi i cereali a semina primaverile quali, oltre al mais (o meliga), orzo, miglio, grano saraceno. A volte erano considerati tali anche le fave e i ceci.
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Cfr. ASCT, CS 1172.
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Dal Tipo dimostrante il molino della Città posto in attinenza al fiume Po denominato della Madonna del Pillone (sic) del 1781 (ASCT, TD 17. 1. 12.) risulta che, nel tratto di fiume di fronte al molino, il Capitolo di San Giovanni possedeva una struttura complessa di pesca denominata "la Naviglia". Per la gestazione del progetto si veda: V. Marchis, Acque, mulini e lavoro a Torino, in: Acque ruote e mulini, cit. Vol. 2°, p. 21 e segg.
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Cfr. ASCT, TD 17. 1. 12, TD 17. 1. 13, TD 17. 1. 14.
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Cfr. ASCT, CS 2292, Relazione dell'ing. Ignazio Michelotti del 27 dicembre 1817.
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Cfr. G. L. A. Grossi, Guida alle ville e vigne del territorio di Torino, e contorni … con Supplemento alla descrizione di detta città, e variazioni occorse, vol. 1°, Ed. Guibert ed Orgeas, 1790, Torino, p. 65.
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Cfr. G. L. A. Grossi, Guida alle ville e vigne del territorio di Torino, e contorni … con Supplemento alla descrizione di detta città, e variazioni occorse, vol. 2°, Ed. Guibert ed Orgeas, 1791, Torino, p. 138. Un progetto analogo fu redatto dall’architetto idraulico Giorgio Antonio Faldella, e prevedeva una nuova derivazione che, dalla chiusa dei molini della Rocca ai piedi del monte dei Cappuccini, passando sotto l’arcata destra del ponte, raggiungesse la Madonna del Pilone. Cfr. ASCT, CS 2292, Relazione ... cit.
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Ignazio Maria Lorenzo Michelotti era fratello di Teresio, membro dell'Accademia delle Scienze e anch'esso noto ingegnere idraulico; entrambi erano figli di Francesco Domenico Michelotti, ingegnere topografo e idraulico, professore di Matematica e celebre ideatore dell'Edificio degli Esperimenti Idraulici della Parella.
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Ossia il ponte in pietra voluto da Napoleone stesso e terminato nel 1813, in seguito dedicato a Vittorio Emanuele I, tutt'ora esistente tra p.za Vittorio Veneto e la Gran Madre. La nuova diga difendeva dall'erosione della corrente le fondamenta del ponte.
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Cfr. ASCT, CS 2292 - 20 gennaio 1816 - Istruzione del sig. Ing. Michelotti per l'esecuzione della diga, del canale e di tutte le opere accessorie e calcolo di previsione di spesa.
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Cfr. ASCT, Scritture Private 1816, vol. 2, p. 263, e soprattutto la monumentale documentazione della contesa legale raccolta nel faldone CS 2292.
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La questione era ben nota da quando i molini erano stati trasferiti sulla terraferma. Così dichiaravano i "navaroli" torinesi: "… Derivandosi dal fiume Po sotto del ponte del Borgo in vicinanza della casa dei bagni un acquedotto di dodeci ruote d'acqua da molino, sarebbe pregiudicata di impedita la navigazione… Soprattutto nei tempi di siccità, ma anche nel tempo ordinario dove è difficile rimontare con le barche.". Cfr. ASCT, CS 2707, citato in G. Pellosio, Paroni di barche a Torino, cit. p. 137. Sul tema, si veda anche P. Pressenda, La navigazione interna tra utopia e progetto, cit.
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Cfr. ASCT, CS 2292, Relazione dell'ing. Ignazio Michelotti del 27 dicembre 1817.
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Cfr. ASCT CS 2292, Relazione dell'ing. Ignazio Michelotti del 27 dicembre 1817.
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Cfr. Ragionerie 1832, vol. 35, p. 317.
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Ivi.
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Cfr. ASCT; Ragionerie 1834, vol. 31, p. 500 e p. 723.
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A tal fine, viene consultato il capitano V. Bordino, appena tornato da un viaggio in Francia, Svizzera e Inghilterra, per sapere se, a suo avviso e sulla scorta delle più recenti notizie raccolte, in quei paesi “sovra li movimenti dei più utili a darsi ai molini”, reputerebbe possibile duplicare le ruote della Madonna del Pilone evitando il prolungamento del canale. (Cfr. ASCT, Ragioneria 1834, vol. 31, p. 716) Altre ipotesi circa il prolungamento sono riportate nelle Ragionerie 1836, vol. 43 e 1837, vol. 45.
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Cfr. ASCT, Scritture Private 1842, vol, 33, p. 134.
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Cfr. ASCT, Scritture Private 1842, vol, 33, p. 131 e Ragionerie 1844, vo qui l. 58 e 1845, vol. 60.
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Cfr. Letture di Famiglia, Giornale settimanale di educazione morale, civile e religiosa, 26 settembre 1846, p. 307.
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Cfr. G.B. Baruffi, Passeggiate nei dintorni di Torino, Torino, Stamperia Reale, 1855. Quarta passeggiata, p. 68.
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Cfr. ASCT, Ordinati 13 maggio 1817 e la relazione dell’ing. Michelotti del 27 dicembre 1817, cit.
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Cfr. G. Casalis, Dizionario Geografico Storico Statistico Commerciale degli Stati di S.M. Re di Sardegna, Vol. IV, Torino, 1837, p. 705.
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Cfr. ASCT, Scritture Private 1839. vol. 29, pp. 24, 26 e segg.
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Cfr. ASCT, Scritture Private 1839. vol. 29, p. 95.
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Cfr. CS 4691/gi, CS 4691/gk e CS 5678.
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Cfr. ASCT, CS 2292, 12 dicembre 1840 - Disegni relativi alle opere costrutte per l'amplificazione del molino della B.V. del Pilone deliberate (o appaltate?) al sig. Castelli...
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Cfr. ASCT, Scritture Private 1841, vol. 31, p. 50.
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L’ing. Roy è legalmente rappresentato dal signor Richard, della Dortù Richard & C. di Torino. (Cfr. ASCT, Scritture Private 1844, vol. 36, 5 aprile 1844 – Convention entre l‘Administration de la Ville de Turin et le Sieur Benjamin Roy, Ingenieur meccanicien. pp. 32 e segg.) Si tratta di uno dei due imprenditori elvetici che nel 1844 hanno fondato la fabbrica delle maioliche erede dalla settecentesca manifattura dei torinesi f.lli Rossetti.
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Cfr, Scritture Private 1844, Convention... cit. - Per quanto concerne la turbina: ASCT, TD 19.1.6 e TD 19.1.17.
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Cfr, Scritture Private 1844, Convention... cit.
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Cfr. ASCT, TD 19.1.1. - Ragionerie 1843, vol. 57, p. 1558 e Ragionerie 1846, vol. 63, p. 185.
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Cfr. ASCT, Verbale G.M. del 27 agosto 1979, §°30, p. 60.
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Cfr. ASCT, Atti Notarili 1872, vol. 61.
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Ivi. - Seguendo tale procedura, vengono accese una dopo l'altra tre candele della durata di circa un minuto ciascuna; se la terza si estingue senza ulteriori offerte, l'asta è dichiarata ufficialmente deserta. Se invece, nell'ardere di una delle tre candele, vengono formulate delle offerte, si dovranno accendere una quarta candela, una quinta e così via, fintanto che l’ultima, accesa successivamente alle prime tre, si estinguerà senza ulteriori rilanci. Chi avrà presentato l'ultima offerta sarà dichiarato aggiudicatario dell’incanto. Le offerte vengono formulate verbalmente al Presidente, e l’uso delle candele non è che un espediente per abbreviare i tempi.
-
Cfr. ASCT, Atti Notarili 1872, vol. 61.
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Ivi.
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Cfr. ASCT, AA.LL.PP. 1888 169/9.
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Cfr. ASCT, AA.LL.PP. 170/5.
- Cfr. ASCT, AA.LL.PP. 1888 169/9.
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Cfr. Cfr. ASCT, Registro delle Mutazioni 38580. Registrato presso il Catasto in data 31-01-1896.
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ASCT, AA.LL.PP. 1904 292/13.
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Cfr. ASCT, AA.LL.PP. 1909 – 308/14.
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Cfr. B. Gera, G. Levi, Un borgo, una società: la barriera di Casale, Assessorato alla cultura della Regione Piemonte, Cooperativa di consumo e mutua assistenza Borgo Po e Decoratori, Torino, 1985, p. 22.
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Cfr. V. Rotunno, 1907-2007, UN SECOLO DI ENERGIA - Dall’Azienda Elettrica Municipale ad Iride, Iride, Torino, 2007, p. 96. Per quanto concerne il progetto del 1946 cfr. ASCT, AA.LL.PP. Canali ponti fognature 70/3.
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Cfr. G. Daprà, L’industria nell’Oltrepò torinese, in: A. Magnaghi, M. Monge, L. Re, Guida all’architettura moderna di Torino, Torino, Lindau, 1995. Secondo l’autore, nel XVIII secolo, con poco meno di 100 fornelletti per la trattura della seta e 250 addetti, l’Oltrepò costituiva una delle maggiori concentrazioni seriche del Piemonte. Sul tema cfr. anche L. Palmucci Quaglino, Condotte d’acqua a vantaggio dell’industria, in Torino Energia, a cura di V. Ferrone, Archivio Storico della Città di Torino, Torino, 2007 p. 82.
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La Diatto occupava una superficie di circa 6000 m, dei quali 1800 coperti ad uso officina, disponeva di una motrice a vapore di 15 cavalli e impiegava giornalmente circa 100 persone. Disponeva, inoltre, di due cubilotti e di due gru, fornendo pezzi fusi a parecchi stabilimenti meccanici nazionali. Cfr. Relazione della Commissione per le industrie meccaniche e navali, Roma, Tip. e Lit. del Genio Civile, 1885, p. 79. - La fonderia Polla, classificata sotto la voce "fonderia, macchine, caloriferi", nel 1858-61 occupava 50 operai, fatturava circa 250.000 lire annue consumando circa 200 t di combustibile fossile, patre del quale per alimentare un motore a vapore di meno di 4 cavalli di potenza. Solo in seguito utilizzerà anche la forza idraulica del rivo di Valsalice. Cfr. Riassunto Statistico del movimento professionale avvenuto in Torino nel quadriennio 1858-61, Torino, 1863, Eredi Botta, p.63.
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Cfr. G. Daprà, cit.
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Ivi.
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I documenti consultati riguardano soprattutto le concessioni per una ruota idraulica posta all’imbocco del canale, verso la metà dell’Ottocento utilizzata da una falegnameria e passata più volte di mano. All’inizio del secolo successivo, una tintoria utilizzava sicuramente le acque del canale per la lavatura dei filati di seta e cotone.
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Cfr. ASCT, AA.LL.PP. 1904 292/13.
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Ivi.
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Cfr. ASCT, CS 2292 cit. - Il Michelotti, riprendendo un’idea formulata già dall’Amministrazione francese, ipotizzava di adibire il fabbricato abbandonato dalla Polveriera a produzioni «dell’Artiglieria», e segnatamente alla fabbricazione delle canne da fucile e di armi leggere, a sussidio quindi dello stabilimento militare di Valdocco. La proposta testimonia sia la lungimiranza del Michelotti, poiché, dopo lo scoppio del 1852, alla Polveriera subentrò effettivamente una sezione dell’Arsenale, sia il ruolo e la considerazione delle produzioni belliche nella Torino Capitale preunitaria.
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Cfr. Progetto per la ripartizione delle acque del fiume Dora Riparia, Tipografia Chirio e Mina, Torino, 1851. Di fatto, però, tale funzione venne assunta dalla zona nord di Porta Palazzo e dal borgo Vanchiglia, di là dal fiume, dopo la costruzione del canale Ceronda.
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Cfr. Annuario scientifico ed industriale della Rivista annuale delle scienze d'osservazione e delle loro applicazioni in Italia ed all'estero - Anno secondo, 1865, Milano, Editori della biblioteca utile, 1866, pp. 602-603.
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Un progetto particolarmente ambizioso venne approvato dal Consiglio Comunale del 20 aprile 1888. Esso prevedeva la realizzazione di un impianto idraulico di sollevamento presso il ponte sul Po di corso Regina Margherita per prelevare almeno di 2 m³ d’acqua dal Po a sussidio dei canali Ceronda e Pellerina. Il 1 maggio fu approvato il piano esecutivo, presentato dalla Società Anonima Ausiliare di Torino e dalla Casa Wiss di Zurigo. L’opera avrebbe segnato la fine dei molini della Madonna del Pilone e del canale Michelotti, ma venne abbandonata probabilmente per motivi di costo e, soprattutto, di obsolescenza tecnologica dovuta all’arrivo dell’energia idroelettrica. Cfr. Monitore delle Strade Ferrate, 4 maggio 1889, Anno XXII, n° 18 e La Stampa 8 aprile 1888.
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Cfr. ASCT, Ordinati 13 maggio 1817.
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Cfr. ASCT, CS 2292, Relazione Michelotti 1817, cit.
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Cfr. ASCT, Ragionerie 1819, Vol. 8, p. 199 e segg.
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Cfr. ASCT; CS 2292, Scrittura d'affitto al sig. Luigi Trucchi di ore 15 per tutto l'anno 1822 dell'acqua del canale Michelotti, che si deriverà col rodone a brentelle per l'irrigazione della sua campagna.
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Cfr. Ragionerie 1819, Vol. 8, cit.
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Cfr. ASCT, Ordinati 29 aprile 1830.
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Cfr. ASCT, CS 2292, Disegno senza data contenuto nel faldone.
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Cfr. S. Berruti, Idrologia torinese del professore Secondo Berruti, Cassone e Marzorati, s.l. [1841?] (estratto dal Giornale delle Scienze Mediche, numero del luglio 1841).
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Cfr. Scritture Private 1840, cit.
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Stessa fonte. - Il convegno per la formazione del Consorzio si terrà nel 1842. Cfr. ASCT, Ragionerie 1842, vol. 55, p. 4 e 25.
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Cfr. S. Berruti, Idrologia torinese del cavalier professore Secondo Berruti, n° 16 - 31 agosto 1859, in Giornale della Regia A Accademia Medico-Chirurgica di Torino, Torino, Tipografia G. Favale, 1859, p. 438.
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Cfr. A. Covino, Il panorama delle Alpi e i contorni di Torino, Torino, Luigi Beuf, 1874, p. 132.
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Cfr. ASCT, AA.LL.PP. 1880, 98/7.
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Cfr. ASCT, AA.LL.PP. Canali, ponti, fognature 70/2.
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L’idea di trasformare in un grande parco pubblico l’area compresa tra la strada di Casale, il Po, il ponte della Gran Madre e il ponte Regina Margherita venne formulata già nel 1882, ma non ebbe seguito poiché, non essendo possibile coprire il canale, sarebbe stato necessario spostarne la presa una sessantina di metri a valle del nuovo ponte (Progetto Soldati). (Cfr. La Stampa 09-06-1934). -- 80bis: L’agiografia cittadina, ed il gossip più recente, vogliono che tale passeggio fosse noto e caro anche a Friedrich Nietzsche, dove il filosofo trovava un rifugio appartato di quiete e solitudine per dialogare con il suo Zaratustra, ma anche, forse, per incontrare segretamente la duchessa Laetitia Bonaparte. Cfr. La Stampa, 1 aprile 2000.
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Cfr. La Stampa 10 gennaio 1928: Il canale Michelotti e la riva destra del Po - Un'opera che ha fatto il suo tempo, p.6; 27 settembre 1932: Un angolo trascurato di Torino - La necessità di coprire il canale Michelotti, p.2; 9 giugno 1934: Il canale Michelotti verrà soppresso - Un'opera richiesta da La Stampa fino dal 1928, p. 8; 20 agosto 1935: Importanti iniziative podestarili - Una nuova grande arteria ove ora scorre il canale Michelotti, p.7; 17 aprile 1936: La sistemazione del canale Michelotti, p.2; 30 aprile 1936: Il parco Michelotti ampliato dalla totale soppressione del canale, p. 4. -- 81a. ASCT, AA.LL.PP. 1928 610/1.
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Il parco Michelotti è in realtà dedicato a madre Giovanna Francesca della Visitazione, al secolo suor Anna Michelotti, fondatrice della congregazione delle Piccole Serve del Sacro Cuore di Gesù per gli Ammalati Poveri, proclamata beata da papa Paolo VI. (Cfr. Wikipedia)
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Cfr. La Stampa 20 agosto 1935, cit.
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Cfr. ASCT, AA.LL.PP. Canali ponti fognature, 70/3.
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A solo titolo di esempio, si possono citare gli interventi deliberati nel 1858 (cfr. ASCT, Scritture Private 1858, vol. 52, pp. 358-368. Nel 1867 venne ristretto il callone per la navigazione (cfr. ASCT, AA.LL.PP. 1867, 25/16) e altri lavori vennero effettuati nel 1878 e nel 1881; questi ultimi comportarono il pressoché completo rifacimento della traversa. (cfr. ASCT, AA.LL.PP. 1882, 119/9). A tal proposito si veda anche: Politecnico di Torino. Dipartimento Casa Città, Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, Vol. 1, Società degli ingegneri e degli architetti in Torino, Torino 1984 , p. 626.
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A tal proposito cfr. P. Sereno, Il territorio e le vocazioni ambientali, cit.
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Cfr. ASCT, AA.LL.PP. 1882, 119/9. --