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I molini della Molinetta

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La Fabbrica di candele dei f.lli Lanza

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Avviata nel 1834 a Porta Palazzo, a Torino, e trasferita nel 1856 alla barriera di Nizza, la Fabbrica di candele e saponi dei fratelli Lanza rappresenta per molti versi un’eccezione nel panorama industriale subalpino e nazionale. La sua storia rispecchia però al contempo molte delle vicende dell'industria torinese e italiana: dai successi di fine Ottocento alla crisi seguita all’avvento dell’elettricità; dalla riconversione nella produzione di detergenti e saponi alla fusione con la veneziana Mira, dalle posizioni di vertice raggiunte nel se-condo dopoguerra all'acquisto della società da parte della Benkiser alla fine del Novecento. Al successo economico e commerciale, tuttavia, corrispose il progressivo indeboli-mento — fino alla perdita definitiva — delle radici torinesi. La fabbrica Lanza fu la sola iniziativa privata a utilizzare il salto idraulico della Molinetta.

P. Palazzo

1. A Porta Palazzo

      La lavorazione delle trippe e la fabbricazione delle candele di sevo (o sego) furono avviate a Torino dal capostipite della famiglia Francesco Lanza, che fin dal 1786 ne iniziò la produzione in borgo Po. (1.1) Dopo l’abbandono del sito in seguito alla creazione della piazza Vittorio Emanuele I, e un trasferimento provvisorio al n° 25 della contrada di Porta Nuova, l'impresa si stabilì in borgo Dora. (1.2) 

      La scelta non fu determinata, come spesso accadeva, dalla disponibilità di energia idraulica, ma dalla vicinanza ai macelli del borgo da cui provenivano le materie prime, alla gestione dei quali partecipava uno dei fratelli. Dai visceri degli erbivori si ricavava infatti il sego, alla base sia delle candele tradizionali sia della stearina dell’oleina per le steariche. (1.3) Trattando grandi quantità di grassi animali, il sito consentiva di ridurre i costi di trasporto e di limitare i problemi di conservazione di una sostanza tendente a irrancidire e produrre odori sgradevoli. (1.4)

Lanza

I Lanza

Francesco Lanza, fondatore della futura dinastia industriale, nacque il 17 novembre 1744 a Fobello (Vc), in Valsesia, e più tardi si stabilì a Torino. L’emigrazione dalla valle verso la capitale aveva una lunga tradizione, e già nel Seicento i “brendatori” valsesiani si contendevano con quelli di Viù l’intermediazione del commercio del vino in città. (a) A Torino il cognome subì una modifica involontaria: l’originario “Lancia”, pronunciato “Lansa” in dialetto, divenne “Lanza”, probabilmente per un’errata trascrizione dell’ufficiale dell’anagrafe. (b)

Francesco intraprese con successo varie attività commerciali e, in pochi decenni, accumulò una notevole ricchezza che garantì rispettabilità e stabilità economica alla famiglia. Le prime iniziative, probabilmente all’origine del suo trasferimento, si rivolsero al commercio degli animali, a cui sembra legato il primo investi-mento, l'acquisto del “deposito di vitelli” vicino ai macelli di Po (1782). Negli anni successivi diversificò gli affari, aprendo un’osteria (1783), una fabbrica di candele di sego con tripperia e una tintoria annessa, (1786), e infine alcune botteghe per la vendita al dettaglio, tra cui una macelleria (1796). Tutte le attività rimasero a conduzione familiare, radicate nel borgo di Po e accompagnate dall’acquisto degli immobili che le ospitavano. (c)

Tre matrimoni diedero a Francesco undici figli. Dal primo, con Teresa Rocco, nacquero Domenico Fortunato, Genoveffa e Giuseppe. Della seconda moglie si hanno poche notizie: non se ne conosce il cognome e morì forse di parto. Dal terzo, con la torinese Giacinta Nigra,vennero alla luce Antonia, Angela, Camilla, Paola, Carlo, Giovanni, Domenico Agostino e Vittorio. Saranno i maschi di questa unione gli artefici del futuro successo dei Lanza. (c)

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La contrada di Po era costituita da un agglomerato irregolare di casupole e viuzze che si estendeva sulle due sponde del fiume, in posizione defilata rispetto alla città e alla porta da cui prendeva nome. Alla fine del XVIII secolo contava circa 9.000 anime. La sua economia ruotava intorno al fiume e offriva lavoro in primo luogo a lavandai, seguiti da barcaioli, pescatori, cavatori di sabbia, facchini, cavallanti, e minute attività commerciali e di servizio. Il contrabbando del vino era tanto diffuso che, secondo G. Casalis, per arginarlo fu necessario insediarvi il quartiere delle dogane. Il ponte in pietra e legno, arretrato di poco rispetto a quello napoleonico, ne costituiva il fulcro. Gli stabili di Francesco Lanza si trovavano sulla riva destra, nei pressi alla chiesa dei SS. Marco e Leonardo (in rosso nella mappa), parrocchia del borgo fin dall’epoca medievale, demolita nel 1811 per la costruzione del nuovo ponte

FonteASTO, Sez. Corte, Carte topografiche e disegni, Carte Topografiche per A e B, Torino, Torino 16

Francesco Lanza morì a Torino nel 1800, all'età di cinquantasei anni, lasciando un patrimonio di 88.562 lire, per lo più costituito da immobili, titoli e crediti. Alla sua morte le attività furono portate avanti dalla vedova e dai figli maggiori, poiché gli altri erano ancora minorenni. Per disposizione testamentaria la divisione poté avvenire solo nel 1821, con la maggiore età di Vittorio, il più giovane dei maschi. Il patrimonio venne diviso in tre quote uguali di 23.460 lire ciascuna, poiché Carlo, il primogenito, era prematuramente scomparso nel 1804. A Giovanni spettarono il macello, gestito in società con altri a Porta Palazzo e i locali della tintoria, affittati a un fabbricante di cappelli; a Domenico Agostino andò la fabbrica di candele, in comproprietà paritaria con Giovanni; a Vittorio la casa di famiglia, con la macelleria, le botteghe e la scuderia; l'osteria invece non rientrava più tra i beni da spartire. (d)

Una svolta decisiva per gli affari della famiglia si ebbe nel 1830, con l’acquisto da parte delle Regie Finanze e della Città di case e terreni per «l’ingrandimento e l'abbellimento dell’IIllustrissima città di Torino dalla parte del Po» — e la formazione della piazza Vittorio Emanuele I (oggi Vittorio Veneto) — che concluse il processo avviato nel 1818, che tra ordinanze, patenti, perizie, proposte, deduzioni e controdeduzioni, espropri, ricorsi e contrattazioni, si protraeva da oltre un decennio. Dalla vendita degli immobili Giovanni Lanza ottenne 10.557,38 lire, Vittorio 10.612,49 lire, Domenico Fortunato 12.221,17 lire e Domenico Agostino 17.326,61 lire. (e)

 

Con il trasferimento a Porta Palazzo i Lanza si focalizzarono sulla fabbricazione delle candele, segnando l’inizio dell’avventura che avrebbe portato l'azienda ai vertici dell’imprenditoria italiana. I tre fratelli ebbero però ruoli diversi. Domenico Agostino curò l’acquisto dei terreni e le autorizzazioni, ma in seguito si tenne ai margini, prediligendo le produzioni tradizionali, pur mantenendo la proprietà degli immobili di Porta Palazzo. Giovanni affiancò per alcuni anni Vittorio, per poi dedicarsi alla conceria di Venaria Reale, acquistata nel 1849. (f) Tuttavia, le intuizioni e la scelta imprenditoriale decisiva di puntare senza indugi sulle candele steariche furono di Vittorio, che assunse la guida dell'azienda mantenendola saldamente fino alla morte. I fratellastri maggiori, nati dal primo matrimonio del padre, non ebbero ruoli rilevanti nelle attività imprenditoriali dei tre.

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La formazione della nuova grande piazza di fronte alla Porta di Po richiese l’acqui-sto di case e terreni da parte delle Regie Finanze e della Città di Torino. La vecchia contrada fu in gran parte smantellata e l’area superstite profondamente trasformata. Sulla sponda sinistra acquisti ed espropri riguardarono le aree più vicine al fiume mentre sulla sponda opposta interessarono quelle per la creazione della piazza davanti alla chiesa della Gran Madre di Dio e la sistemazione della zona circostante.

I Lanza rappresentarono un’eccezione nel panorama industriale, non solo sabaudo, distinguendosi per una vocazione imprenditoriale determinata e insolita nell'epoca della protoindustria italiana. Pur con diversa propensione personale al rischio, ebbero il coraggio di investire i capitali ricavati dalle vendite immobiliari in attività industriali — ben più rischiose di quanto appaiano nella percezione odierna — seguendo un modello opposto alla prassi prevalente, che vedeva i contemporanei reinvestire i profitti d’impresa nella sicurezza della rendita fondiaria o nell’acquisto di titoli nobiliari. (g)

Vittorio Lanza, in particolare, non fu un semplice imprenditore tra i tanti, ma un uomo intraprendente e lungimirante, quasi un capitalista “schumpeteriano” ante litteram. Egli seppe intuire le potenzialità delle nuove candele come vero e proprio "killer product", capace di rivoluzionare il mercato dell’illuminazione domestica e soppiantare prodotti radicati da secoli. Inoltre, in un contesto dominato dal mercato locale dei fattori produttivi e delle merci, insieme al fratello Giovanni, seppe guardare oltre tali confini, partecipando alle esposizioni industriali internazionali e volgendo lo sguardo verso mercati europei e americani. Queste doti imprenditoriali si trasmisero alle generazioni successive, in particolare al nipote Michele, pioniere dell'industria automobilistica italiana.

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L’albero genealogico semplificato della famiglia Lanza riporta soltanto la discendenza di Vittorio, escludendo i fratellastri del primo matrimonio del padre Francesco, il primogenito Carlo (morto nel 1804) e le linee di Giovanni e Domenico Agostino.

Fonte: G. Pansoya di Borio, I Lanza, cit. (modificato) 

________________________________

(a) Cfr. R. Cerri, L'emigrazione di mestiere da Fobello a Torino tra il XVI e il XVIII secolo, in: "de Valle Sicida", Società Valsesiana di Cultura, anno XXX, 2020, p. 67 e segg. — Nel XIX secolo la comunità fobellina di Torino era più numerosa e prospera che mai. Spirito imprenditoriale e solidi legami familiari e comunitari permisero a numerose famiglie di migliorare la posizione sociale: molti divennero osti e locandieri, poi ristoratori e albergatori, mentre altri si affermarono nel commercio e nelle professioni artigiane. Cfr. R. Cerri, F. Giacobino, Storie d'ingegno e d'eccellenza. L'emigrazione da Fobello e Cervatto nell'Ottocento. Due comunità alpine a Torino in Europa e Oltreoceano, Zeisciu, 2024, Milano, saggi vari.

(b) Questa ipotesi è stata avanzata da Donatella Biffignandi, curatrice del Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino. Anche Vincenzo Lancia, fondatore della celebre casa automobilistica, proveniva infatti da Fobello ed è plausibile che tra le due famiglie esistessero legami di parentela considerando che il paese contava meno di duemila abitanti. È comunque singolare che due pionieri dell’industria automobilistica italiana provenissero dallo stesso piccolo centro della Valsesia: fu infatti Michele Lanza, nipote di Vittorio, a fondare la prima fabbrica italiana di automobili.

(c) Secondo l’inventario del 4 maggio 1800, le proprietà immobiliari di Francesco Lanza comprendevano quattro edifici nella contrada di Po adibiti a residenza e ad attività commerciali. Il principale, la «Casa avanti la Chiesa Parochiale di S. Marco», a tre piani, ospitava al pianterreno un negozio di macelleria e tre botteghe affacciate sulla via verso il ponte di Po, con magazzini sul retro, mentre i piani superiori erano destinati ad abitazione. Vi confinavano due case: nella prima si trovava «l’osteria sotto l’Insegna dell’Angelo», la seconda per metà era adibita a «negozio di Tingeria» e per l’altra metà a «fabbrica delle candele»; tutte disponevano di magazzini, cantine e alloggi. Un altro edificio fungeva da «deposito per i vitelli». CfrASTO, Sez. Riunite, Ufficio di insinuazione di Torino, Atti pubblici, m. 4175, lib. 4, vol. 2, cc. 761r-762v (notaio. G. Alasonet) — Per quanto concerne la gestione famigliare delle attività, si veda anche la nota 1.1.

Cfr. Cfr. R. Cerri, F. Giacobino, Storie d'ingegno e d'eccellenza, cit. pp-76-79.

(d) Idem.

(e) ASCT, Atti Notarili, vol. 20 (1830), p. 338 e segg.

(f) La conceria di Venaria è rimasta per generazioni nelle mani degli eredi, fino alla cessazione avvenuta in anni relativamente recenti. L'edificio è tuttora esistente in via Quirino Mascia, oggi nel centro della città a pochi passi dalla Reggia.

(g) Secondo alcune fonti (Cfr. Venaria Oggi, I Lanza attraverso un secolo di storia, n° 67, ottobre 2012.), Francesco Lanza apparteneva a una famiglia di notai. Le numerose attività commerciali avviate in tempi significativamente brevi lasciano supporre la disponibilità di un capitale iniziale; d’altra parte, i mestieri svolti — macellaio, oste, tintore, trippaiolo e fabbricante di candele —appaiono poco compatibili con le professioni liberali. Anche in questo caso, però, l'eventuale passaggio all’impresa manifatturieara confermerebbe una spiccata propensione al rischio.

L'acquisto dei terreni e la costruzione dello stabilimento

    Le pratiche per il trasferimento della produzione di trippe e candele a Porta Palazzo iniziano con l’autorizzazione del 5 maggio 1834 rilasciata dalla municipalità torinese a Domenico Agostino Lanza per «far costrurre una fabbrica conforme al disegno del 27 aprile dello stesso anno, approvato dal Regio Consiglio degli Edili». (1.5) Il 28 dicembre 1833 viene perfezionato l’acquisto, a nome personale e non della ditta, di un terreno situato nel «cantone delle Fontane, isolato di San Demetrio» a Porta Palazzo, pagato 3.000 lire nuove di Piemonte. La proprietaria era la signora Elisabetta Camoletto, moglie del signor Alessandro Ballesio, e la transazione riguardava «una piccola pezza di prato secco del quantitativo di sette ari e sessanta centiari, corrispondente a tavole 20 circa misura di Piemonte (pari a circa 760 mq) […] sotto le coerenze a levante e mezzogiorno della pezza e campo e fabbrica dei signori Bertola e Magnetti-Discalzo, ed a ponente e notte della strada pubblica». (1.6) Tale strada apparteneva al reticolo viario attorno ai molini, che le mappe del tempo indicano come «nuova strada vicinale, denominata di Bacco, ossia dei molini». Successivamente, prese il nome di vicolo San Giobbe, divenendo poi la carreggiata est di corso XI Febbraio. 

      Il 21 novembre 1834 Domenico Agostino Lanza, per ordine del Regio Consiglio degli Edili, integra l'acquis-izione rilevando dai signori Giuseppe Majat, Placido Galli, Domenico De Agostini e Pietro Fornari la proprietà comune di un muro destinato a supportare il «casamento» che sta cos-truendo, «onde evitare le abolite inter-capedini» e risolvere lo scolo delle ac-que piovane. L'acquisto include dieci tavole destinate a campo, confinanti con i terreni della fabbrica, scorporate da un appezzamento più grande, con l'ulteriore esborso di 3.500 lire. Il muro

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L'acquisto del muro su cui si appoggerà il casamento, in comune con il fabbricato confinante, insieme a ulteriori dieci tavole di terreno, contrassegnate dalla lettera B, completa l'area destinata alla fabbrica di Domenico Agostino (in giallo in mappa). Il disegno allegato all’atto di vendita, derivato da un documento precedente, ne consente la precisa collocazione.

Fonte: AST, v. nota 2.3. 

comune è quello settentrionale dell’edificio noto come «ex-casa Bertola», affacciato sul viale di Santa Barbara (oggi corso Regina Margherita). Edificato sull’appezzamento «già delle fortificazioni» e ceduto nel 1818 dalla Città di Torino ai sigg. Sartoris e Bertola per ampliare la loro fonderia, passò pochi mesi dopo agli attuali proprietari, i quali lo acquistarono da Anna Maria Discalzo e dagli eredi Bertola dopo la cessazione dell’attività produttiva. (1.7)

      Il terreno gode di un’ora settimanale d’acqua, erogata dalle nove alle dieci di sera del giovedì, che Domenico Agostino Lanza dovrà dividere con la sig.ra Camoletto. Il fosso attraversa le due proprietà e sfocia nel canale dei Molassi, ma ha funzioni esclusivamente irrigue e non potrà smaltire gli scarichi della fabbrica. A questo scopo, Domenico Agostino Lanza dovrà costruire uno specifico condotto sotterraneo, «a minor danno possibile, a di lui spese, e nel sito indicato dalla Venditrice», secondo le indicazioni dell’architetto della stessa. Definita la servitù di passaggio attraverso il giardino della Camoletto, il 13 settembre 1834 l’imprenditore ottiene dal Municipio l’autorizzazione per lo scarico che attraverserà la strada che separa le due proprietà. Il nullaosta è subordinato alle condizioni poste dall’ingegner municipale G. Barone, tra le quali che il volto dell’acquedotto «resti alla profondità d’oncie 12 sotto l’attuale suolo stradale e che sia in pietra da taglio lo sgriglione di sbocco nel canale dei mulini, rimanendo oncie 6 sotto il pelo ordinario dell’acqua». (1.8)

Il fabbricato

La fabbrica di Domenico Agostino Lanza ha dimensioni contenute. Il progetto dell’architetto Francesco Susanna prevede una costruzione semplice, senza particolari pretese architettoniche, disposta a L su due piani fuori terra. I lati esterni, lunghi circa 27 metri ciascuno, si affacciano sulla strada, mente sul lato opposto formano un ampio cortile. Lo scavo delle fondamenta ha richiesto lo spostamento di una cinquantina di centimetri (12 oncie) del canale Noli, un condotto sotterraneo derivato da quello detto «delle Fontane», concesso a Antonio Noli per il proprio stabilimento. L'autorizzazione al trasporto del canale è subordinata al nullaosta della Città — rilasciato il 12 giugno 1834 — e al consenso dei i f.lli Doris, attuali proprietari dell'opificio Noli.  (1.9)

La planimetria dell’architetto Francesco Susanna «della casa proposta costruirsi dal signor Agostino Lanza al sob-borgo di Dora, Regione delle Fontane», datata 1834, ne mostra la posizione esatta. L’edificio, a due piani fuori terra, si affaccia sui vicoli circostanti i molini di Dora, che declinano verso il fiume, precisamente sulla «Strada di Bacco, ossia dei Mulini», che in seguito prenderà il nome di vicolo San Giobbe e, in parte, di via Fiochetto.

Fonte: ASCT, Progetti Edilizi 1834 n° 27.

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La "Strada di Bacco", o vicolo San Giobbe, scomparve negli anni Trenta del Novecento, con la parallela via Courgné, in seguito all’apertura di corso XI Febbraio, ottenuto dall'abbattimento dell’isolato compreso tra le due vie.

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La sovrapposizione della mappa del catasto Gatti (1820-1830) con la ripre-sa aerea della zona colloca la fabbrica di Domenico Agostino Lanza all'an-golo tra corso XI Febbraio e via Fio-chetto. Essa sorgeva sui terreni libera-ti dopo l’abbattimento delle fortifica-zioni. L’unica altra costruzione esi-stente a quell'epoca era la casa cono-sciuta come «Bertola» o «dell'Aqui-la», situata tra il terreno acquistato dal Lanza e il viale di Santa Barbara.

Una modesta concessione d'acqua

Con l’atto del 29 gennaio 1835, la Città di Torino accoglie la supplica di Domenico Agostino Lanza del 17 ottobre 1834 per utilizzare gli scoli delle vicine fontane di Santa Barbara. (1.10) Egli ottiene quindi in enfiteusi perpetua «l'uso di quella piccola vena d’acqua che, uscita dalle due vasche delle fontane situate lateralmente al passaggio di S. Barbara, scaricasi nel vicino fosso, e va così perduta senza la menoma utilità».

La concessione recepisce il parere dell’in-gegnere idraulico del Comune, che ha cer-tificato che il piccolo canale, coperto e in muratura, per «procurare la maggior proprie-tà possibile nell'esercizio della manifattura di candele di sevo e tripperia» non pregiudichi gli interessi della municipalità, a condizione che sia sufficientemente solido per soppor-tare il passaggio dei carri e che tutte le spese ricadano sul richiedente. Quest’ultimo, per contro, non potrà avanzare alcuna «pretesa d'acqua di quantità o di tempo, e soltanto per quella che si scarica dalle vasche del servizio

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Il condotto coperto concesso a Domenico Agostino Lanza percorreva la banchina del viale di S. Barbara, svoltava nella strada detta "di Bacco", insinuandosi tra le case «Sartoris» e «già Bertola», e raggiungeva la fabbrica di candele.

Fonte: ASCT, Atti Notarili 1835, vol. 25, p. 41 

pubblico» né pretendere alcunché qualora la concessione fosse annullata dalla Città per destinare l’acqua ad altri scopi. (1.11

 

La fabbrica non utilizza forza motrice idraulica: i volumi e la natura delle produzioni richiedono piuttosto abbondante lavoro manuale e molto combustibile, come torba e carbone, per generare il vapore necessario per la bollitura e lo scioglimento dei grassi animali. La vena d'acqua è destinata infatti esclusivamente ai lavaggi e il canone annuo è di sole 50 lire. 

1. NOTE

1.1 - Il «Rilevamento dei Padroni con i propri Lavoranti e Garzoni» del 1792, redatto dalle Università di arti e mestieri della Capitale, tra gli undici “Fabbricatori di Candele di Sevo e Tripajuoli” registra Francesco Lanza, con la moglie Giacinta e i figli Domenico, Genoveffa, Antonia e Angela, la serva Domenica Mosso e il lavorante  Gioanni Fiocardo. Cfr.  ASTO, Sez. Corte, Materie economiche, Commercio, Magistrato del Consolato, cat. I, m. II di addizione, Volume Contenente Li Nomi, Cognomi, e Patria de’ Mastri, e Padroni, e de’ loro rispettivi Lavoranti, ed Apprendizzi delle Arti, e Mestieri stabilite nella Città di Torino secondo le rispettive note state rimesse dai Sindaci, e Mastri per un tal effetto chiamati, 1792.

1.2 - G. G. Reycend, L'Indicatore Torinese, F.lli Reycend, 1821, p. 24.

1.3 - Il sevo (detto anche sego, o cevo) era il grasso addominale o viscerale degli animali, che si otteneva bollendo i visceri in calderoni per separarlo dai residui di carne e membrane. Una volta fuso e schiumato, veniva raccolto in recipienti con poca acqua per mantenerlo fluido e poi lasciato solidificare in masse bianco-giallastre. In un primo momento inodore, irrancidiva rapidamente all’aria, emanando odori sgradevoli. Al fine di attenuarli, veniva additivato con sostanze profumate già durante la combustione.

1.4 - La vicinanza ai macelli di Po aveva orientato anche la scelta della sede del laboratorio, situato nella contrada omonima. L'integrazione tra la lavorazione delle trippe e la lavorazione delle candele di sego permetteva di contenere i costi e ridurre gli sprechi. Già nel 1727 la Tripperia di borgo Dora richiese e ottenne l’autorizzazione a costruire una «Fabrica delle candele» dotata di una ruota idraulica sul canale dei Molassi. ASCT, Scr. Private, vol. 6 (1727), p. 136 e segg.

1.5 - ASCT, Ragionerie 1834 vol. 31, p. 751.

1.6 - AST, Sez. Riunite, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, Registro 1833, mazzo 6059, libro 12, corda 2028. 28 dicembre 1833 - Vendita di una pezza di prato sita sul territorio di Torino dalla signora Elisabetta Camoletto moglie del signor Alessandro Ballesio a favore del signor Agostino Domenico Lanza per lire 3.000. (r. Tallone) - A margine della questione, va osservato che l'appezzamento era dato in affitto al sig. Domenico Fiorio, pellicciaio, forse orse lo stesso che in seguito divenne proprietario della prestigiosa conceria, specializzata nella produzione di guanti. Il documento non indica l'uso di quella pezza di terreno, ma sarebbe interessante se ulteriori ricerche confermassero che anche questa impresa fosse nata a Porta Palazzo.

1.7 - AST, S. Riunite, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, Registro 1834, Libro 12, vol. 3, corda 893, corda 6171 - 21 novembre 1834. Vendita di stabili fatta dalli signori Giuseppe Majat, Placido Galli, Domenico Deagostini, e Pietro Fornari a favore del signor Agostino Domenico Lanza mediante lire 3.500. (r. Carlo Francesco Albasio).

1.8 - ASCT, Ragioneria 13 settembre 1834, n° 47 § 16 vol. 39, p. 298.

1.9 - ASCT, Ragionerie 1834 vol. 31, p. 751.

​1.10 - Le fontane di Santa Barbara erano alimentate da polle naturali sulla sponda destra della Dora. Secondo la tradizione, in origine sarebbero state consacrate alla dea Minerva e, in epoca cristiana, a Santa Barbara, prendendo il nome da una vicina cappella. Queste acque erano considerate taumaturgiche e molto apprezzate dai torinesi. Il catasto Gatti le colloca nelle immediate adiacenze dei molini di Dora. Nel 1827 furono collegate a un impianto di sollevamento azionato da una ruota idraulica — situato nell’area della futura caserma dei Vigili del Fuoco, in corso Regina 128 — che pompava l’acqua fino a Palazzo Civico. Dieci anni più tardi, l'impianto fu dotato di due nuove pompe che alimentavano una fontana nel mercato della frutta di Porta Palazzo. Le fontane servivano anche i lavatoi pubblici della zona. A Domenico Agostino Lanza fu concessa l'acqua residua di questi impianti. Successivamente, sembra che l'acqua delle fontane fosse fatta sgorgare dalle teste di leone dei due bacini in pietra nella facciata dell’ex caserma, tuttora esistenti ma asciutti.

1.11 - ASCT, Ragionerie 1835, vol. 40, p.147, p. 149, p. 151 e Atti Notarili 1835, vol. 25, p. - 41 — Allo scioglimento del contratto, Domenico Agostino Lanza lamentava che, a causa del diametro insufficiente, la tubazione fosse spesso ostruita dagli scarichi dei lavatoi pubblici. A causa del flusso irregolare il condotto fu abbandonato non appena la fabbrica venne allacciato alle condotte dell’acqua potabile. ASCT, Atti Notarili 1866, vol. 56, p. 470 e segg.

i successi

2. I primi anni e i primi successi

Un quadro di settore

Sebbene già i Romani conoscessero l’uso del grasso animale per l’illuminazione, è nel Medioevo che le candele di sego diventano un bene di consumo comune, mentre la più pregiata cera d’api restava riservata a chiese, monasteri e dimore nobiliari. A Torino, una traccia della loro fabbricazione risale al XIV secolo, quando il Maggior Consiglio in un primo tempo vietava la fusione del sego e la produzione di candele, salvo autorizzarle pochi giorni dopo, ma «alla distanza di almeno un isolato dalla piazza del Mercato», raccomandando l’uso di un buon fornello. (Ordinati della Città di Torino, 12 novembre e 25 novembre 1386).

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Nei documenti dei primi anni della società compaiono i nomi di entrambi i fratelli, Giovanni e Vittorio Lanza. Nell'iim-magine, una lettera del 1840.

All’inizio del XIX secolo, pur rispondendo a un bisogno diffuso, negli Stati Sardi la fabbricazione di candele e sostanze oleose per uso illuminante non appare particolarmente prospera. Il fatturato è stimato attorno ai sette milioni di lire, e le 570 tonnellate annue di candele sono prodotte da 280 operai distribuiti in 202 laboratori, con una media di appena 1,4 addetti per unità, a conferma del carattere artigianale e della ridotta dimensione delle aziende. La produzione è definita «più estesa che perfetta» (2.1) e l’esempio straniero resta un riferimento obbligato, sia qualitativo che quantitativo. Le importazioni di candele sono considerevoli, e anche le materie prime e i semilavorati nazionali — dal sego grezzo alla cera gialla — non riescono a soddisfare la domanda interna. Gli acquisti sui mercati esteri risultano pertanto ingenti, a fronte di esportazioni trascurabili. (2.2) Nel 1815, L’Indicatore Torinese registra cinque Fabbricanti di candele di sevo, saliti a otto nel 1821, tra i quali compaiono anche i fratelli Lanza.

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La fabbricazione delle candele di sego seguiva metodi artigianali, fondati su materie prime, combustibili, attrezzi semplici e lavoro manuale, più che su macchinari e forza motrice.

Fonte: l mestiere e il sapere duecento anni fa. Tutte le tavole dell'Encyclopedie francaisea cura di J. Proust, Mondadori, 1983

Vittorio Lanza

Le circostanze in cui Vittorio Lanza, il più giovane dei tre fratelli, conobbe le candele steariche restano controverse. Secondo alcuni avrebbe appreso il mestiere in una fabbrica inglese, dove si sarebbe rifugiato dopo i moti del 1821. (2.3) Il suo nome, però, non compare negli elenchi ufficiali dei cospiratori (2.4): la fuga potrebbe essere stata solo una precauzione, oppure un viaggio mirato proprio ad acquisire le competenze necessarie. Un’esperienza all’estero appare comunque molto probabile, perché solo lì avrebbe potuto formarsi adeguatamente prima di passare alla loro produzione nel laboratorio torinese. 

Le vicende societarie dei primi anni meriterebbero ulteriori approfondimenti, ma l’atto del 24 ottobre 1839 sembra sancire il passaggio dalla conduzione familiare alla forma societaria. (2.5) Vi figurano come soci Giovanni e Vittorio Lanza, sotto la ragione sociale «F.lli Lanza», e il chimico Domenico Schiapparelli. (2.6) Il documento conferma l’oggetto sociale — «la fabbricazione di candele di sego di prima qualità e altre steariche a foggia di quelle di Milly» —, stabilisce una durata di cinque anni rinnovabili e specifica che la firma restava comune ai soli fratelli Lanza. Assai significativo è lo squilibrio dei conferimenti: i Lanza versarono 80.000 lire, mentre Schiapparelli apportò soltanto «la sua vigilanza e la sua industria nella detta sua qualità di chimico». La formula che lo definisce «solo interposto per la sua qualità e vigilanza» sottintende un peso societario marginale, pur segnalando un ruolo tecnico rilevante ma non specificato. Il coinvolgimento di un chimico appare comunque indicativo dell’importanza delle competenze tecnico-scientifiche per un’azienda e un settore in transizione dall’artigianato all’industria.

Steariche
steariche

LE CANDELE STEARICHE

Le candele steariche rappresentano un’innovazione fondamentale nel campo dell’illuminazione dome-stica. Esse risultano ben più efficienti delle candele tradizionali di sego: non si deformano con il calore, hanno fiamma regolare e luminosa, durano più a lungo e bruciano senza emanare cattivi odori. Al contempo, costano meno delle più pregiate candele di cera che con il tempo saranno derubricate alla fabbricazione artigianale, restringendone l'uso alle

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La stearina, pur derivando dal grasso animale come il sego, è un prodotto dell'industria chimica, che ha rivoluzionato il mercato degli strumenti illuminanti.

funzioni religiose e all’illuminazione delle chiese e delle dimore dei ceti abbienti. Per questi motivi, le steariche si affermano in breve quale prodotto di largo consumo, accessibile anche ai ceti popolari. Il Repertorio di Agricoltura e di scienze mediche ed industriali del medico Rocco Ragazzoni nel 1839 così le descrive: «Le candele steariche somigliano molto per candidezza e per ogni altra apparenza a quelle di bianco di balena o spermaceti, essendo solo alcun poco trasparenti; non vanno soggette a colare menomamente, né lasciare alcuna macchia comunque gocciassero; non danno il menomo fumo né odore, non producono alcun fungo, ne abbisognano quindi di essere smoccolate; ardono con bellissima luce, migliore forse che quella della cera più pura».

      Pur derivando in ultima istanza dai grassi animali - principalmente bovini e ovini, al pari delle candele di sego e dell’olio per le lampade - le steariche sono un prodotto della chimica artificiale. La stearina discende dagli studi del chimico francese Michel Eugène Chevreul, che nel 1825 brevetta con Joseph Louis Gay-Lussac il procedimento per ottenere l’acido stearico. Sempre il Ragazzoni così descrive sinteticamente il processo seguito in uno stabilimento ginevrino: «Il grasso recentemente tolto all’animale si saponifica con calce viva, e l’ottenutone sapone di calce si decompone poscia con acido solforico; gli acidi grassi, oleico e stearico, raccolgonsi allora a caldo sulla superficie del liquido e rappigliasi per raffreddamento. La separazione, dell’un acido grasso dall’altro, si fa mediante forte pressio-

ne operata dal torchio idraulico, prima a freddo tra due forti lastre di zinco, poscia a caldo, cioè con soccorso del calore compartito da vapore acqueo, tra due lamine di ferro; così, dalla massa dei due acidi grassi, si spreme l’oleico che si impiega ad altri usi, e rimane lo stearico per la fabbricazione delle candele. Questo si lava con acqua acidula, quindi s’imbianca mediante bianco d’uovo sbattuto nell’acqua raccolto disgiuntamente dalle impu-

 rità che depongonsi, vien fuso per opera del vapore acqueo, al fine di aggiungergli circa cin-que per cento di cera bianca, e la materia è in allora del tutto pronta per essere versata nelle forme di stagno scaldate dal vapore e munite dello stop-pino, sicché la candela stearica vengane prodotta».

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Affiche pubblicitarie di candele steariche. Le industrie britanniche furono tra le prime a produrre questo tipo di candele. 

Fonti: - Enciclopedia Treccani, voce "candela"

         - Repertorio di Agricoltura e di scienze mediche ed industriali del medico Rocco Ragazzoni,

           Tomo IX, Varallo, 1839, p. 141.

Alle Esposizioni industriali

I primi acquisti di materie prime attestano l'avvio della produzione nel 1835 e, appena tre anni dopo, i Lanza si presentano all'Espozizione industriale di Torino, la prima di una lunga serie. Favoriti forse anche dalle esperienze estere di Vittorio, parteciperanno alle maggiori manifestazioni europee e internazionali, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti. Tra il 1844 e il 1884, riceveranno 20 medaglie, di cui cinque d’oro a Parigi e Milano, e cinque d'argento a Vienna, Parigi e Calcutta. (2.7)

1838. Nel 1838 la Regia Camera di Agricoltura e di Commercio di Torino, in occasione dell’Esposizione dei prodotti dell’industria nei Regi Stati, conferisce una medaglia di bronzo al signor Agostino Gambaro di Genova per le candele fabbricate «a foggia di quelle dette di Milly» (2.8) reputate «di color bianco latteo, inodore, assai dure, semidiafane, con superficie liscia e lucida, colla forma e coll’aspetto di quelle che vengono di Francia. Ardono esse con bella fiamma tranquilla e sono dotate di potere illuminante molto considerevole, senza emanare alcuno spiacevole odore, e senza lasciar colare la materia liquefatta che alimenta la fiamma».

 

    Ai fratelli Vittorio e Giovanni Lanza, è riconosciuta una menzione onorevole «per le candele steariche esposte che imita-

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no fino ad un certo punto quelle di Milly». Sono considerate «sufficientemente bianche, quasi inodore ed assai dure, ma però né semidiafane, né così dure come quelle. Ardono con fiamma chiara, dotata di facoltà illuminante assai ragguardevole, e senza tramandare cattivo odore, ma la fiamma è un po’ tremola, e stanca perciò un po’ la vista di chi legge, il qual difetto dipende dalla stearina non abbastanza pura, ed anche dalla men buona qualità del cotone che forma il lucignolo». (2.9) Il riconoscimento non nasconde qualche osservazione critica, ma costituisce un ottimo risultato per fabbricazioni avviate da soli tre anni. 

    Alla mostra figurano anche cinque “candele di cevo” presentate dal torinese Giovanni Massola, realizzate nella «fabbrica di candele di sego e tripperia» di sua proprietà, situata in via Borgo Dora, nell’isola della Madonna del Rosario, poco prima della parrocchiale dei Santi Simone e Giuda, su una superficie di circa 350 m². Della fabbrica e del suo titolare non si avranno però più notizie, a conferma dell’aleatorietà e del rischio di molte iniziative industriali del tempo, anche di quelle che potevano sembrare più promettenti. (2.8)

1844. All’Esposizione del 1844, i Lanza ottengono la loro prima medaglia d’argento. Delle due fabbriche di steariche premiate all’esordio del 1838, è l’unica sopravvissuta. Essa «ha potuto mantenersi ed estendersi, grazie alla bontà de’ suoi prodotti, al loro buon prezzo, all’ordine e alla intelligenza con cui è condotta: essa fa ragguardevoli esportazioni, tuttoché i suoi prodotti non abbiano ancora fatto cessata l’importazione di steariche dalla Francia, dalla Lombardia e dalla Svizzera».

 

Le motivazioni del premio restituiscono l’immagine di un impianto moderno ben condotto e organizzato, dove alla produzione delle nuove steariche si affiancano le tradizionali candele di sego e i saponi. A giudizio della Camera di Agricoltura e Commercio «la fabbrica è per molti titoli ragguardevolissima: essa dà lavoro a cinquanta o sessanta persone, smaltisce annualmente più di dugento mila chilogrammi di sevo, che proviene per metà dai macelli del paese, per l’altra metà dall’estero, impiega notabili quantità di acido solforico, di calce, di soda, di cera ecc., e produce da centoventi a centotrentamila mazzi di steariche (di mezzo chilogramma (sic) ciascuno), e trentamila chilogrammi di sapone, parte bianco a uso di Marsiglia e parte bruno preparato con l'acido oleico residuo della preparazione delle steariche difficilmente smaltibile quale combustibile. I signori Lanza fabbricano ancora una grande quantità di candele di sevo con lucignolo intrecciato, le quali perciò non hanno bisogno di essere smoccolate; essi inoltre stanno per attuare eziandio la fabbricazione di quelle di spermaceti. L’importanza, l’ordine, il bello andamento di questa fabbrica, stabilita e condotta secondo i sani precetti della scienza, e ben provveduta di macchine e di strumenti; la massa e la qualità de’ suoi prodotti, e particolarmente delle candele steariche, non inferiori a quelle della fabbrica francese del sig. Milly; la ragguardevole esportazione che se ne fa in tutta Italia, in Sardegna ed al Brasile, rendono i signori fratelli Lanza (già onorevolmente menzionati nella esposizione del 1838) degni di un distinto premio. La Camera ha la soddisfazione di assegnar loro una medaglia d’argento». (2.10)

1850. All’Esposizione del 1850, la medaglia d’argento viene riconfermata. Le steariche dei Lanza si impongono su quelle fabbricate dai signori Genoud e Longue «in Ciamberì (sic), le quali se per bianchezza gareggiano con quelle dei F.lli Lanza, sembrano avere lo stoppino alquanto grosso ed ardono con fiamma voluminosa e rossiccia, non assai rischiarando. Sarà ad essi agevole perfezionare i loro prodotti già portati a condizione molto pregevole». Ai produttori d’oltralpe viene comunque conferita la medaglia di rame. (2.11)

ampliamento

L'ampliamento della fabbrica

      I F.lli Lanza si affermano dunque quale leader di mercato ed estendono la gamma delle produzioni: dalle candele steariche e da quelle di sevo a lucignolo intrecciato per l’illuminazione domestica, fino a candele per fanali di carrozze e per lanterne da mano e da tasca. Nel 1850, gli addetti raggiungono le 150 unità, e il conte di Cavour annovera «la grande fabrique des Frères Lanza» tra le industrie prioritarie del Piemonte. (2.12) Gli spazi produttivi diventano insufficienti e si procede all'ampliamento di superfici e fabbricati. Una prima estensione avviene nel 1853, quando, con atto notarile del 30 gennaio, i Lanza acquistano i terreni e gli stabili che i Ballesio-Camoletto ancora posseggono oltre la via di Bacco, comprendenti cinque fabbricati (due capannoni chiusi con ammezzato, un fabbricato di un piano fuori terra, due casi da terra), più i relativi cortili, al prezzo di L. 42.000. Si tratta di circa 1800 m² complessivi, che le mappe catastali registrano già destinate a uso di conceria e, quindi a funzione industriale. 2.13)

 

Due anni dopo, si procede a un secondo ampliamento. Con atto del 22 marzo 1855, Vittorio Lanza, a nome della ditta, acquista dal sig. Bernardino Ruella «un corpo di casa situato nel borgo di Dora […] composto di una grande camera al piano terreno ed una piccola con sotterraneo e tre altre superiori ed un’altra al di sopra del portone». Lo stabile confina a sud e a est con le proprietà rilevate due anni prima dai Ballesio-Camoletto, a nord con quelle del cavaliere De Sonnaz, e a occidente con il vicolo San Giobbe. L’acquisizione comprende un ampio cortile condiviso con i proprietari degli altri stabili e il diritto di accesso ad un «pozzo di acqua viva». Il prezzo pattuito è di 15.500 lire nuove di Piemonte. 2.14) 

 

Con queste operazioni la superficie dello stabilimento raggiunge i 2.250 m². Forse all'interno dei nuovi spazi, nel 1853 vengono costruite due tettoie e l'anno successivo ne viene sopraelevata una terza. 2.15) Il progetto relativo a quest'ultima mostra il passaggio di un piccolo canale nello stabilimento, adibito però ai soli lavaggi, confermando — sulla base di un attento esame della documentazione — che la fabbrica non abbia mai fatto ricorso energia idraulica.

 

Nel 1857 Domenico Agostino Lanza ampliò a sua volta un fabbricato. L’intervento è significativo, mentre le operazioni precedenti sono avvenute a nome dell’azienda, questa — come già l’acquisto iniziale dei terreni — è compiuta direttamente a suo nome, confermando come nello stesso spazio la produzione industriale delle steariche e dei saponi coesistesse con lavorazioni più tradizionali.  2.16)

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L’ampliamento della fabbrica avviene in due fasi, con l’acquisto di nuovi terreni a nord del nucleo originario, rispettivamente nel 1853 e nel 1855 . 

Fonte base: ASCT, Catasto Gatti 1820-1830,sez. Borgo Dora, tav. I 

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Il progetto della tettoia costruita nel lotto acquisito nel 1855 mostra un canaletto interno allo stabilimento (particella n°62, in alto a sinistra) destinato però unicamente ai lavaggi.

Fonte: ASCT, Progetti Edilizi 1854 n° 95. 

NOTE

2.1  C. I. Giulio, Giudizio della Regia Camera di agricoltura e di commercio di Torino e notizie sulla patria industria, Stamperia reale, Torino 1844, p. 129 e Camera di agricoltura e di commercio di Torino, Giudizio della Camera d'agricoltura e di commercio di Torino e notizie sulla patria industria, Tipografia degli Artisti A. Pons e C., Torino, 1851, p. 65.

2.2 - Nel decennio 1839-1849 furono importati in media ogni anno 40.700 kg di candele di sego, a fronte di 9.700 kg esportati; 30.220 kg di sego greggio, contro appena 1.400 kg esportati; 44.100 kg di altri grassi, rispetto a 22.209 kg; 165.200 kg di cera gialla da lavoro, a fronte di soli 2.700 kg esportati; infine, i saponi importati raggiunsero i 55.200 kg, mentre le esportazioni risultarono nulle. Cfr.  L. Bulferetti, R. Luraghi, Agricoltura, industria e commercio in Piemonte del 1814 al 1848, (vol. IV), Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Torino, 1966, p.229.

2.3 - Cfr. Venaria Oggi, I Lanza attraverso un secolo di storia, n° 67, ottobre 2012.

​2.4 - G. Marsengo, G. Parlato, Dizionario dei piemontesi compromessi nei moti del 1821, Torino, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1982, vol. II.

2.5 - ASTO, Sez. Riunite, Tribunali, Torino, Consolato di commercio di Torino (già Consolato di Torino), Atti di Società, m. 6, p. 343.

2.6 - Nel 1848 Domenico Schiapparelli figurava tra i principali industriali del Piemonte per il ramo della chimica industriale (così come i Lanza per la cereria e la produzione di candele). (Cfr. L. Bulferetti, R. Luraghi, Agricoltura, industria e commercio in Piemonte del 1814 al 1848, vol. III, cit., p. 164) Imprenditoriale eclettico, si dedicò a diverse produzioni, tra cui anche le candele steariche (v. scheda sull’Esposizione del 1848). Nel 1847 entrò nella società dell’industriale e farmacista Bernardo Alessio Rossi, che produceva concimi artificiali economici al Lingotto. (Cfr. L. Bulferetti, R. Luraghi, Agricoltura, industria e commercio in Piemonte del 1848 al 1861, vol. IV, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Torino, 1967, p.229). Figlio di Clemente e nativo di Occhieppo Inferiore (Bi), era imparentato con il più celebre Giovanni Battista Schiapparelli, chimico-farmacista e pioniere della chimica italiana, fondatore di una delle maggiori industrie chimico-farmaceutiche italiane, quotata in Borsa e attiva fino alla fine del Novecento. L’origine comune e la partecipazione di Giovanni Battista al comitato promotore della società di Domenico confermano l’esistenza di un legame stretto di parentela, forse di fratellanza o di cuginanza.

2.7 - Cfr. Torino e l'Esposizione Italiana del 1884. Cronaca illustrata, Torino-Milano, Roux e Favale di f.lli Treves editori, p. 231.

2.8 - De Milly e Motard furono i primi a produrre candele steariche su scala industriale, nella fabbrica de l'Étoile a Parigi.

​2.9 - Citata in Repertorio di Agricoltura e di scienze mediche ed industriali del medico Rocco Ragazzoni, Tomo IX, Varallo, 1839, p. 145 — Nei resoconti della Esposizione, le candele steariche subalpine sono giudicate «prossime al limite della perfezione», si osserva tuttavia che esse «potranno gareggiare con i prodotti che ci vengono dall'estero, quand'egli si trovi in grado di soddisfare al bisogno dei consumatori con modicità di prezzo». Idem.

2.10 - Cfr. Catalogo dei prodotti dell'industria de' R. stati ammessi alla pubblica esposizione dell'anno 1838, Torino, Tipografia Chirio e Mina, p. 18 — Per l’ubicazione della fabbrica si veda ASCT, Catasto Gatti, colonnario art. 221, nonché la concessione di derivazione e uso d'acqua accordata a Massola il 31 ottobre 1839, destinata esclusivamente ai lavaggi connessi all’esercizio della tripperia e alla fabbricazione delle candele di sego, proibendone qualsiasi altro impiego (ASCT, Scritture private 1839, Vol. 29, p. 132).

2.11 - C. I. Giulio, Giudizio della Regia Camera di agricoltura e di commercio… cit. p. 129-130 e 133-134.

2.12 - Giudizio della Camera d'Agricoltura e di Commercio Di Torino e notizie sulla Patria Industria, Tipografia degli Artisti A. Pons e C, Torino 1851, p. 73-74. La medaglia d'oro per i prodotti chimici viene assegnata alla fabbrica dei farmacisti Bernardo Alessio Rossi e Domenico Schiaparelli. All'Esposizione conquista una medaglia d'argento Giovanni Lanza per i prodotti conciari della fabbrica di Venaria.

2.13 - I terreni sono ceduti da Alessandro Ballesio, marito di Elisabetta Camoletto (nel frattempo deceduta) e corrispondono ai n.ri di mappa 962, 963, 964 e da 967 a 973 del Catasto Gatti 1820-1830, sez. Borgo Dora, isola di S. Demetrio, Art. 127 (ASCT); per il passaggio di proprietà cfr. ASCT; Registro Mutazioni Territoriali n° 7304.

2.14 - AST, Sezioni Riunite, Notai della tappa di Torino, Secondo versamento, Cervini Giuseppe Luigi, Minutari, reg. 2584, carte (pag.) 126 e segg. – La transazione riguarda le particelle indicate con i n.ri 965 e 966 e per un terzo della n° 964 della mappa del catasto Gatti 1820-1830, sez. Borgo Dora - Art. 127.

2.15 - Torino Facile, EdificaTo, Cartellini Edilizi, maglia 1030A. vicolo S. Giobbe.

2.16 - Idem.

alla molinetta

3. Alla Molinetta

      Gli ingrandimenti di Porta Palazzo appaiono tardivi rispetto ai volumi produttivi raggiunti dall'azienda e forse formalizzano precedenti affitti. Al momento della stipula dell'ultimo atto — forse esaurite le possibilità di ulteriore espansione e di reperire forza motrice idraulica in loco — si delinea già il trasferimento alla barriera di Nizza. Un anno dopo, infatti, con atto notarile del 20 novembre 1856, la Ragion di Negozio F.lli Lanza e Compagnia — nella persona di Vittorio Lanza, ormai saldamente a capo dell’impresa — acquistava da Giò Paolo Gauthier i fabbricati industriali della Molinetta e 1,87 ettari di terreno, al prezzo di 95.000 lire. (3.1)

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La cinta daziaria torinese risale al 1851 ed è evidenziata in rosso. I Lanza spostano la loro fabbrica alla Molinetta, a sud della città, appena fuori la Barriera di Nizza. 

Non pagare dazio

      L’abbandono di un’area industriale consolidata per uno spazio semirurale e periferico rappresentò una nuova scelta innovativa, che anticipò una prassi destinata a diffondersi solo decenni più tardi. I benefici del nuovo sito sono evidenti: la cinta daziaria torinese, istituita nel 1853, seguiva in quel tratto l'attuale corso Bramante, e la località della Molinetta, poco distante da piazza Carducci, offriva un’opportunità favorevole per un’azienda in cerca di spazi per espandersi.

 

Fuori dalla città i terreni costavano meno ed erano liberi dalle restrizioni dei regolamenti urbani ed edilizi; l’esenzione tariffaria riduceva il prezzo dei beni di prima necessità, e quindi del costo della vita, con consentendo di contenere i salari operai. Sfuggire all’imposizione daziaria costituiva inoltre un vantaggio competitivo decisivo per un’impresa che trattava materiali pesanti, voluminosi e di basso valore unitario — come sostanze grasse e carbone — e immetteva sul mercato notevoli quantità di semilavorati e prodotti finiti.

 

È probabile che sulla scelta del sito abbia inciso anche il fattore trasporti, in particolare la vicinanza alla ferrovia di Genova, inaugurata solo pochi anni prima e naturale porta marittima dello stabilimento. Lo stabilimento, tuttavia, non ottenn mai l’allacciamento desiderato, come lamentava Michele Lanza nell'Inchiesta Industriale del 1870-74.

     A causa della scarsità di salti idraulici, lo stabilimento rimase l'unico di grandi dimensioni della zona, fatta l’eccezione per quello di concimi chimici artificiali economici di Bernardo Alessio Rossi, già trasferito da Porta Palazzo al Lingotto nel 1837, su un terreno in località Ostarietta attraversato dalla bealera di Grugliasco. (3.2) In seguito l'impianto fu partecipato da Domenico Schiapparelli, e vien da chiedersi se la frequentazione di questo imprenditore, socio in passato di Giovanni e Vittorio Lanza, non abbia influito sulla scelta, considerando che negli anni Trenta un altro Schiapparelli, certamente a lui vicino, aveva tentato di insediare una produzione industriale alla Molinetta. (3.3)

Nuova forza motrice idraulica

      Nella scelta del sito certamente un ruolo anche la disponibilità di energia idraulica, resa indispensabile dalle dimensioni raggiunte e dall’evoluzione tecnologica dei cicli produttivi, riservando alle sole funzioni non sostituibili il ben più costoso carbone. Il potenziale dinamico a disposizione dello stabilimento era modesto, ed è probabile che, sin dall'inizio si mirasse a quello degli opifici municipali della Molinetta, ormai obsoleti e prossimi alla dismissione.

 

     Contestualmente al passaggio di proprietà fu rinnovata la concessione d’acqua già accordata nel 1846 a Giò Paolo Gauthier del 1846 e scaduta il 31 dicembre 1855. (3.4) L'atto, approvato dal Comune il 6 dicembre 1856, riprendeva nella sostanza il piano dei lavori avviati e non conclusi dal Gauthier, stabiliva una durata di nove anni (1° ottobre 1856 - 31 settembre 1869) e un canone annuo di 300 lire, giustificato dalla estrema precarietà del flusso. La concessione prevedeva comunque l’uso dell'intero corpo d'acqua del canale della Molinetta, da restituire integralmente. Come di consueto, si ribadiva la preminenza dell’interesse pubblico: manutenzione e spurgo delle opere idrauliche restavano a carico del concessionario, poteva usufruire dell’acqua solo come forza motrice, con divieto di altri usi senza l’assenso della Civica Amministrazione. L'atto la limitava «puramente all’acqua che naturalmente fluisce e fluirà» nel canale, senza garanzie di continuità o di quantità minima, e senza diritto a riduzione del canone o a rimborso in caso di mancanza assoluta. Nessun indennizzo era dovuto nemmeno in caso di revoca unilaterale da parte della Città per garantire il buon funzionamento dei propri opifici. Restava invece obbligo del concessionario contribuire ad eventuali spese per il potenziamento del canale. (3.5)

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Il «Piano Regolare dei Molini della città, detti la Molinetta, e della vicina proprietà della Ditta F.lli Lanza, con indicazione della derivazione d’acqua che loro si concede dalla Città per attivazione dei motori idraulici», del 1856, mostra i lavori necessari per condurre l’acqua allo stabilimento. Essi prevedono lo scavo del canale A-A, con presa in B, dove convergono i due rami della bealera Cossola che alimentano il canale Molinetta, e restituzione nel punto C. Questo canale dovrà avere ampiezza, profondità e declivio sufficienti per contenere «comodamente tutta l’acqua, anche in tempo di lunghe e straordinarie piogge, convogliata dai due canali nel punto A». La bocca di presa dovrà essere in muratura con montanti in pietra, munita di saracinesca «maneggevole a vite o torno», così come l’imbocco del canale B, nel quale si uniscono le due bealere. La concessionaria non potrà per nessun motivo impedire il libero e completo deflusso dell’acqua, e si dovrà costruire un condotto D-D, anch’esso regolabile dall'esterno, per consentire lo scarico a valle della ruota della pesta e permetterne l’eventuale fermo. Il salto residuo tra l’angolo di sudest della fabbrica ed il fondo del canale della pesta da canapa risulta paria a 141 cm. Nel disegno si nota anche il fosso irriguo, concesso a suo tempo alla cascina Gallo, che attraversa lo stabilimento terminando nell’invaso dei molini. (3.6)

Fonte: ASCT, Scritture Private 1856, vol. 49

      I lavori per dotare lo stabilimento di forza motrice idraulica prevedevano lo scavo di un canale, come indicato nel disegno allegato all’atto di concessione. Il documento autorizzava l'uso delle «acque del canale della Molinetta, proprie della Città, scorrente nella regione del Lingotto, per dar movimento ad una o due ruote idrauliche da collegarsi nei siti propri della Dita e che esse crederà di maggior sua convenienza onde attivare la sua fabbrica di candele steariche, di sevo, di sapone che ivi intende stabilire». I dettagli erano demandati al progetto esecutivo, che l’Amministrazione si riservava di approvare dopo verifica di conformità. (3.7) 

 

     In breve, il piano redatto dall’ingegner Valerio e datato 2 febbraio 1857 fu sottoposto all'Ufficio d'arte della Città, e approvato il 27 febbraio, ritenendo che «le varianti introdotte in accordo con la concessione e non pregiudizievoli per il regime del canale e gli interessi municipali». Nella fattispecie furono autorizzati: (3.8) 

  • L’innalzamento di 21 cm alla bocca di presa del fondo del canale di nuova costruzione.

  • La variante d’opera per condurre l’acqua alla pesta da canapa, facendo si che quella uscita dallo stabilimento si riversasse nella doccia della pesta, scaricandosi nel canale principale — anziché, come previsto, a valle della ruota quando questa sarà ferma. La variante è approvata in quanto «felicemente ideata e soddisfacente le condizioni stabilite».

  • Per facilitare il transito dei carri, fu approvato anche l’allargamento del ponte gettato sul canale in prossimità dell’edificio di presa e la copertura dello stesso per una quindicina di metri davanti alla fabbrica.

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Il «Progetto della derivazione da operarsi a favore dell'Opificio da stabilirsi nel fabbricato detto la Molinetta» preparato dall'ing. Valerio dettaglia il piano dei lavori. Le variazioni introdotte sono accettate dall'Ufficio d'Arte della Città e riguardano soprattutto il deflusso delle acque reflue della fabbrica. In basso a destra il dettaglio del piano degli scarichi previsti in origine.

Fonti. In alto e a sinistra: ASCT, TD 13 3 48. A destra: ASCT, Scritture Private 1856, vol. 49, pag. 329 (particolare)

      Il Riassunto Statistico del movimento professionale avvenuto a Torino nel quadriennio 1858-61, confermava che in città, alle soglie dell'Unità, «la fabbricazione delle candele steariche non trova rivali ai signori Fratelli Lanza. Questa rinomatissima fabbrica fu la prima in Italia, e sempre accrebbe la propria fama. Vi si fabbricano candele steariche, candele vegetali, stearina in pani, sapone di oleina. Si adopera un turbine della forza di 20 cavalli e un motore idraulico di pari forza, e uno a vapore di 4 cavalli. Si impiegano 150 operai e si consumano annualmente 280.000 chilogrammi di torba. La produzione annua è di un milione circa di pacchi di candele steariche, di 800,000 chilogrammi di sapone, oltre alla produzione incipiente del sapone vegetale». (3.9)

3. NOTE

3.1 - ASCT, Registro delle Mutazioni n° 9700. Le parcelle oggetto della transazione sono identificate dai n.ri da 103 a 119, sez. 48, della mappa catastale.

3.2 - Vedi nota 2.6

3.3 - L. Gambino, Il Lingotto una volta. Voci e immagini di un sobborgo di Torino nei primi decenni del Novecento, Città di Torino, Circoscrizione 9, Nizza, Lingotto, Torino, 1998, p. 86 e segg. – Lo stabilimento si trovava all'angolo delle vie Genova e Passo Buole. Dopo diversi passaggi di proprietà, nel 1868, fu acquistato dall'industriale metallurgico Giovanni Battista Fornara, che lo adibì alla produzione di tele metalliche; venne demolito solo negli ultimi anni del Novecento. In realtà, anche il fabbricante di fiammiferi Luigi De Medici (Demedici) aveva trasferito il proprio stabilimento da borgo Dora alla barriera di Nizza, rimanendo però all’interno della cinta daziaria. 

3.4. - ASCT, Scritture Private 1856, vol. 49, p. 325.

3.5. - Ibidem.

3.6 - Ibidem.

3.7- Ibidem.

3.8 - ASCT, Scritture Private 1857, vol. 50, pag. 50.

3.9 - Riassunto Statistico del movimento professionale avvenuto in Torino nel quadriennio 1858-61, Torino, 1863, Eredi Botta, p. 86.

nuovo inizio

4. Un nuovo inizio

     Il trasferimento della fabbrica e il giro di boa della metà del secolo segnano un momento importante per i Lanza e per la società. Con atto del 27 settembre 1862, alla «Ragion di Negozio corrente sotto la firma fratelli Lanza e Compagnia» subentrava la «Ragion di Negozio F.lli Lanza». La nuova ragione sociale lascia intendere il rafforzamento, e forse l’assunzione del totale controllo, della famiglia. (4.1) Divenuta Fornitore della Real Casa, la società prenderà il nome di «Premiata Reale Manifattura di saponi e candele steariche Fratelli Lanza». Intanto, nella conduzione degli affari si avvia il processo di ricambio generazionale: sebbene Vittorio Lanza rimanga al comando fino alla morte, avvenuta nel 1885, i figli Ottavio e Michele, insieme al nipote Camillo — figlio del fratello Giovanni — assumono ruoli sempre più rilevanti nella gestione dell'azienda. (4.2) La rilocalizzazione non rappresenta quindi un punto di arrivo, ma piuttosto una nuova partenza.

1858

L'ESPOSIZIONE DEL 1858

     L'Esposizione del 1858 testimonia i progressi compiuti negli ultimi anni dall’industria nel Regno. Crescono i partecipanti e le relazioni si arricchiscono di interessanti particolari. Le candele steariche hanno conquistato il mercato. Il Giudizio della Camera di Commercio le descrive «inodore, brillanti pel lustro che ricevono, abbaglianti di bianchezza, asciutte al tatto, sicché non si crederebbero mai composte di materie grasse, ardenti con fiamma bianca e luminosa, preparate con tal maniera di stoppino, che non mai si riecheggia per esse l’operazione uggiosa dello smoccolamento». Sono valutate pari alle pregiate candele di cera, e la Commissione quasi si meraviglia che derivino da un procedimento chimico-industriale e, in ultima analisi, dalla saponificazione. Inoltre, la ricerca e le sperimen-

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Candela stearica Lanza.

tazioni hanno aumentato le materie di base utilizzate, affiancando ai tradizionali «grassi greggi l’olio di palma, e specialmente i grassi verdi, cosiddetti, (graisses vertes) che si raccolgono da ogni maniera di residui delle cucine e simili». Le «antiche candele di sevo, delle quali l’uso si restrinse a coloro, che dalla modestia dei mezzi sono costretti a rinunciare ad una parte dei comodi della vita» e non reggono il confronto, tuttavia la loro fabbricazione continua nelle province e le importazioni dalla Francia rimangono consistenti. Si osserva infine che la produzione del sego lavorato, per quanto «caduta in basso nel favore con cui si accolsero le candele d’acido stearico», prosegue e che «le candele di sego non sarebbero venute in discredito, come vennero di fatto, se la loro preparazione non si fosse troppo trascurata da coloro che disperarono forse di far concorrenza ai rivali fabbricanti di candele steariche». 

     Le steariche compaiono nei cataloghi di diversi produttori, ma solo due di essi gareggiano all’Esposizione. (a) Ancora una volta i F.lli Lanza si affermano sulla coppia Genoud e Longue di Ciamberì e conquistano una nuova medaglia d’oro. Ai savoiardi viene conferita quella d’argento in virtù dell’ottima qualità dei prodotti; la preferenza riservata ai concorrenti piemontesi è giustificata soprattutto dal maggiore sforzo avvenuto nell’innovazione di processo. I prodotti esposti dai Lanza alla manifestazione illustrano le operazioni che dal grasso greggio degli animali conducono all’acido stearico e, quindi, alle candele. Queste ultime sono presenti «in molte svariate forme e dimensioni», con gli stampi e ai modelli di nuova foggia che velocizzato le colate. Sono proposti anche saggi di acido stearico, tra cui un busto del Re ottenuto con una gettata. Il Giurì considera di minore importanza, ma comunque degne di menzione, «le candele bianche, rosse e verdi, contorte a modo di spirale». Completano il quadro «diversi campioni di sapone di acido oleico, presentato in grossi pani, in masse, in sfere; sodo ben preparato per usi comuni, e di cui qualche saggio riceve nella preparazione la leggerezza della spugna (sapone a vapore, o galleggiante)».

   Gli organizzatori del concorso, visitando la fabbrica, ne lodano l’organizzazione, descrivendola «un luogo in cui tutto trovasi riunito che conferisca ad un regolare, ordinato e metodico lavoro, sopra una scala che può certamente dirsi grandiosa». Vengono poi delineati i tre processi di saponificazione praticati. Senza entrare nei dettagli, per i quali si rimanda al documento, il primo procedimento è quello tradizionale, basato sulla formazione di un sapone di calce sodo e friabile, macinato e poi scomposto con l’acido solforico. Il secondo, messo a punto dal Sig. Milly di Parigi, richiede soltanto piccole quantità di calce e di acido solforico, e la saponificazione è ottenuta in poche ore «sotto pressioni gagliarde di vapore», attraverso uno specifico apparecchio «ottimamente disposto

e costrutto». Il terzo metodo è quello impiegato dal sig. Wilson nell’officina Price di Londra e dal sig. Tribouillet di Parigi. Esso combina due diverse operazioni: la saponificazione con l’acido solforico (o con la distillazione degli acidi grassi ad alta temperatura) e il vapore surriscaldato. Si ottengono, inoltre, i migliori acidi grassi, anche partendo dall’olio di palma e da sostanze più impure, consentendo così di lavorare materie prime meno pregiate e meno costose anziché il solo grasso sodo (sego). I vantaggi che i Lanza traggono dalle relazioni con la vicina Europa, mai interrotte dai tempi della fuga di uno dei fratelli a Londra, e con l’industria e con i mercati dei paesi più avanzati, sono evidenti.

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      Di particolare interesse è il censimento dei macchinari della fabbrica, che conta sei possenti torchi idraulici, dei quali tre per la spremitura a freddo degli acidi, e tre per quella a caldo attraverso il vapore generato con una specifica apparecchiatura. La forza motrice deriva da una turbina idraulica, integrata da una macchina a vapore di 10 cavalli di potenza quando l’«acqua motrice scarseggia o vien meno». Il dettaglio lascia supporre l’avvio della produzione alla barriera di Nizza. Con l’ausilio di quattro generatori di vapore e macchinari specifici per il taglio delle candele, per la lisciatura e altre lavorazioni finali vengono trattati ogni giorno in media circa 2.500 kg di sego o di grasso e prodotti da 1500 a 1700 kg di acido stearico. I residui dell’acido oleico sono impiegati per confezionare 400.000 kg di sapone all'anno, di qualità definita "ottima". La fabbrica occupa un centinaio di lavoratori tra uomini e donne, queste ultime dedite alle fasi meno gravose, quali la colata dell’acido negli stampi, la lucidatura delle candele e la preparazione dei pacchi. La Commissione assegna un premio, tra quelli speciali destinati agli operai e ai direttori di stabilimento, anche «al signor Gilli Francesco, direttore nell’officina dei signori fratelli Lanza, con l’encomio per l’assiduità, l’onestà e l’intelligenza dimostrate». Ai Titolari viene riconosciuto il merito di aver creato, con ingenti spese e con costante lavoro, «una fabbrica  che merita i più sinceri elogi, e che onora l’industria piemontese». All’Esposizione viene aggiudicata una medaglia d’argento anche alla conceria di Giovanni Lanza, «alla Venaria Reale ed in Torino .... per i cuoi conciati per vari usi».

 (a) Alla manifestazione espongono le loro steariche anche i F.lli Sclopis, probabilmente i maggiori industriali chimici del Regno, e Domenico Schiapparelli, le cui candele non vengono però considerate perché la sua officina si vale di acido stearico prodotto da terzi. 

Fonte: Relazioni dei Giurati della Regia Camera di Agricoltura e Commercio sulla Esposizione Nazionale di Prodotti delle Industrie seguita nel 1858 in Torino, Stamperia dell'Unione Tipografico-Editrice, 1860, pag. 108 e segg.

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Le dismissioni a Porta Palazzo

    Dopo il trasferimento, alla Mol-inetta si procede all'ingrandimento delle superfici e alla costruzione di nuovi capannoni, che continueranno negli anni a venire, senza soluzione di continuità. Come pure gli acquisti fondiari in loco della famiglia, i cui possedimenti, all’alba del XX secolo, si estenderanno dalla cinta daziaria all’attuale via Santena. Ultimato il passaggio delle produzioni, iniziano  le alienazioni a Porta Palazzo, che riguarderanno i terreni e i fabbricati acquistati nel 1853-55, ma non il nucleo originario, rimasto proprietà di Domenico Agostino Lanza. Un primo

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Le cessioni di terreni e fabbricati della sede di Porta Palazzo avvengono nel corso di una decina d'anni, come indicato in figura. Il fabbricato originale rimarrà a Domenico Agostino Lanza. 

Elab. su base ASCT, Catasto Gatti, cit.

lotto, posto nell’area nordorientale, viene ceduto nel 1862 a Carlo Colombo, al prezzo di lire 18.000. (Istrumento del 29 settembre, r. Turvano). Nel 1864 sono dismessi l’intero caseggiato rilevato nel 1855 da Bernardino Ruella e parte dei siti acquisiti dal Ballesio nel 1853; il compratore è Francesco Romana, un negoziante di corami di Castellamonte, che paga il prezzo di lire 20.000. Le operazioni si concludono nel 1873 con la vendita alla sig.ra Francesca Ronco «della casa nel borgo Dora, e la parte di competenza del cortile adiacente, compresa fra le coerenze degli eredi Grandi a levante, di Francesco Romana a mezzogiorno, di una strada pubblica a ponente, del cavaliere Alfonso Gerbaix de Sonnaz e della ditta Lanza a mezzanotte». La cessione frutta  6.000 lire, e la Stearineria Lanza  abbandona così la vecchia sede. (4.3)

Alla Molinetta, dopo il trasferimento, nuovi spazi produttivi e nuovi fabbricati si aggiungono e la fabbrica di candele si espande ad ovest, verso la strada di Nizza. Nell'immagine la mappa del catasto Rabbini del 1866 sovrapposta all'attuale ortofoto Google Maps.

Fonte: AST, Sez. Riunite, Catasto Rabbini, Torino, fg. XXI.

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Domenico Agostino

Domenico Agostino Lanza

      Domenico Agostino è stato l'artefice della fabbrica di Porta Palazzo, ma — forse non convinto dalle steariche — non ha partecipato all'avventura intrapresa dai fratelli. Il suo nome non figurò nella ragione sociale della società, fin dall’inizio limitata ai soli Giovanni e Vittorio, né assunse cariche ufficiali, dedicandosi probabilmente alle sole candele di sego e alla tripperia. Non si allontanò però dalla famiglia e dagli affari, offrendo, se necessario, garanzie e fideiussioni. Gli stabili e i terreni di Porta Palazzo, acquistati a suo nome, non rientrarono nelle dismissioni societarie, ed egli stesso continuerà ad abitare in vicolo San Giobbe fino alla morte.

 

    La destinazione dei locali è rimasta però incerta. Alcune modifiche — la creazione di uno studio nel 1855 e l'aggiunta di una camera «mediante sopraelevazione» nel 1857 (4.4) — fanno pensare a un uso residenziale, forse con funzioni produttive residue limitate alla tripperia. A conferma, l’11 febbraio 1874 fu rinnovato il permesso «di lasciar sussistere un canale coperto attraversante il vicolo per dare sfogo nel canale dei molini alle acque delle dette tripperia e fabbrica di candele» risalente al 1834, nuovamente prorogato nel 1882 a favore di Vittorio Oddone Lanza, figlio di Domenico Agostino, per «il canale coperto per dare sfogo alle acque provenienti dalla casa di sua proprietà». Entrambi i permessi ebbero durata novennale, confermando le condizioni originarie e il canone annuo di 10 lire. (4.5) 

 

     Nel 1866 era stata annullata la concessione in enfiteusi perpetua per la canaletta sotterranea che convogliava l'acqua delle fontane di Santa Barbara, peraltro non più utilizzata da tempo. Domenico Agostino Lanza si spense il 27 luglio 1883, lasciando una cospicua eredità in beni mobili e immobili. Passate al figlio Vittorio Oddone, le proprietà di Porta Palazzo furono rapidamente alienate. (4.6)

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I dati catastali relativi agli immobili di Domenico Agostino Lanza a Porta Palazzo, passati al figlio Vittorio Oddone nel 1888, non riportano attività produttive. Tuttavia, il locale destinato ad esse era, presumibilmente, il più ampio (n° 1239), di circa 265 mq. Le superfici sono espresse in tavole (38 mq ca) piedi (1/12 di tavola) once (1/12 di piede).   

Fonte: ACST, Catasto Gatti 1820-1830, sez. Borgo Dora, Tavola I e colonnario art. 164bis (Lanza Domenico Agostino, fu Francesco) (particolare) 

enfiteusi

UN CONTRATTO D'ACQUA IN ENFITEUSI PERPETUA

     Nel 1865 Domenico Agostino Lanza intende rinunciare agli scoli delle fontane di Santa Barbara, da tempo inutilizzati, e perciò al condotto sotterraneo che li conduceva alla fabbrica di candele, chiedendo al Comune l’esonero dal pagamento del canone: questa rifiuta l’istanza, considerandola lesiva degli interessi cittadini, e si apre così una controversia che vale la pena di seguire.

     La Città sostiene che la concessione del 1835 è avvenuta in regime d’enfiteusi perpetua. Contrariamente a quelli precari, diventati in seguito usuali, questo tipo di contratto, per sua natura, non ha scadenza, non richiede rinnovo e obbliga le parti a tempo indefinito: il concessionario potrebbe essere sollevato del canone solo se non potesse più godere del bene o del servizio. Siccome ciò non è avvenuto, la Giunta Municipale del 1° marzo 1866 respinge la richiesta, ribadendo, a tutela del pubblico interesse, il diritto all’incasso del canone; lascia tuttavia al Lanza la possibilità di chiudere la questione con l’offerta di una congrua somma da versare una tantum a titolo di indennizzo.

       Con il memoriale del 20 marzo 1866, Domenico Agostino Lanza confuta tali tesi, sia sul piano giuridico che fattuale. Egli contesta la natura della concessione che, a suo dire, fu rilasciata a titolo d’enfiteusi, ma non perpetua, bensì di locazione per «temporario giovamento». Inoltre, ai termini dell’art. 1759 del Codice civile Albertino e dell’art. 1571 del Codice civile del Regno d’Italia, in vigore dall’anno precedente, la durata di qualunque locazione, anche se stipulata in regime perpetuo, non può oltrepassare i trent’anni, che nella fattispecie risultano scaduti il 28 gennaio 1865. In concreto, poi, osserva che l’uso del condotto è stato abbandonato da tempo, e che, anzi, egli si trova ora nell’incomodo di lasciar fluire nella sua proprietà l’acqua municipale. In virtù di ciò, propone di chiudere la questione pagando il solo canone lire 50 per l’anno in corso. L’offerta sarà poi raddoppiata, ma, valutata ancora insufficiente, verrà nuovamente respinta dalla municipalità. Considerando, però, l’utilità dell’acqua in oggetto per l’innaffiamento estivo dei corsi Santa

Barbara e San Massimo, la Civica Amministrazione si dichiara disposta ad ac-consentire a por fine alla lite «con indennizzo non inferiore a L. 150, corris-pondenti al canone di un triennio», oltre al paga-mento del semestre in corso e delle spese da par-te del concessionario, che accetta la proposta.

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Il condottino oggetto della controversia raccoglieva le acque  delle fontane di Santa Barbara che si scaricavano nel fosso a lato del viale per condurle alla fabbrica di candele.

Fonti: ASCT, AA.LL.PP. 1865 16/7 (richiesta del 6 agosto 1865 del sig. Domenico Agostino Lanza) e 1866 20/7 (G.M. Del 1 marzo 1866, Memoria del 20 marzo 1866, G.M. 2 maggio 1866 e comunicazione dell’ Ufficio LL.PP. del 26 maggio 1866.

municipali

L'acquisto degli opifici municipali 

     È facile supporre che, anche dopo i lavori del 1856-57, la fabbrica di candele non disponesse di tutta la forza motrice necessaria. Il deficit, da surrogare attraverso il carbone, era molto penalizzante, ed è probabile che Vittorio Lanza mirasse fin dall’inizio all’intero potenziale dinamico della Molinetta; potenziale non trascurabile, considerato il salto utile complessivo, pur scontando la ricorrente irregolarità del flusso. L’acquisizione degli impianti municipali richiederà parecchi anni e avverrà in due fasi, di cui si riporta qui una sintesi, rimandando, per i dettagli, ad altra pagina del sito.

       Le trattative per la pesta da canapa, intavolate fin dal 1860, vanno a buon fine soltanto otto anni dopo. Solo il 16 novembre 1868, infatti, il Consiglio Comunale accetta l’offerta d’acquisto di lire 6.000 formulata da Vittorio Lanza, subordinandola, come d’obbligo, a pubblico incanto. Il figlio Michele si aggiudica senza difficoltà l’asta del 31 luglio 1869 con il rialzo di prezzo simbolico di 40 lire. L’atto notarile del 21 agosto, siglato da Vittorio, formalizzerà l’acquisto del «maciullatoio da canapa, con caduta d’acqua e striscia di terreno annesso, in coerenza dei molini della Molinetta, mediante l’offerto prezzo di L. 6.040. (4.7)

       L’ acquisizione dei molini, più rilevante sotto il profilo dell’energia ricavabile, avverrà qualche anno dopo, in seguito a deliberazione del Consiglio Comunale del 12 giugno 1872. La base d’asta partirà ancora da una proposta della ditta Lanza, ma la contesa sarà ben più serrata, e Vittorio Lanza dovrà sborsare 24.200 lire, molto più delle 15.000 lire offerte in origine. L’atto del 12 dicembre 1872 sancirà il passaggio di proprietà: l’azienda si assicurerà l’intero potenziale dinamico del salto della Molinetta, e dopo oltre duecentocinquant’anni la Città si libererà dei molini (4.8).

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1872 - Lanza-Molinetta - PMT 1872 fg 732

Allegati agli atti di cessione della pesta da canapa e dei molini della Molinetta.

In alto: i bandi di convocazione delle aste pubbliche. Sotto: il piano degli opifici municipali della Molinetta. 

Fonte: AST, Atti notarili 1872, vol. 61,  pag. 732

NOTE

4.1 - L’atto notarile del 27 settembre 1862 che sancisce la trasformazione societaria fornisce anche il quadro completo delle proprietà della società sia in borgo Dora, sia alla barriera di Nizza. Tra le prime vi sono i fabbricati e gli edifizi identificati in mappa coi numeri: 962 963 964 967 a 973 inclusi. Tra le seconde quelli indicati nelle sez. 16 (n° 80 e parte di 87 ed 80 ½) e sez. 48 (parte del n° 102 e n.ri da 103 a 119) della mappa catastale. ASCT, Registro delle Mutazioni di Proprietà n° 13248.

4.2 - Vittorio Lanza (1802-1885) ha sposato Margherita Canonica (1811-1871), dalla quale ha cinque figli: Michele, Ottavio, Ferdinando, Giuseppe, Giacinta ed Ottavia. Solo i primi due, e in particolare Ottavio, assumono un ruolo in azienda, insieme al cugino Camillo Lanza, sposo di Giacinta, sorella di Ottavio. G. Pansoya, cit., p. 8 e ASCT, Registro delle Mutazioni di Proprietà n° 30471.

4.3 - Con istrumento 29 settembre 1862 (r. Turvano) vengono cedute le particelle n° 970,971,972 973 e parte della 969 della sez. catastale borgo Dora a Carlo Colombo per il prezzo di lire 18.000 (Registro delle Mutazioni di Proprietà n° 13249). Con istrumento del 23 luglio 1864 (r. Turvano) passano a Francesco Romana al prezzo di lire 20.000 le particelle n° 965,966,967,968 e parte delle 964 e 969 (Reg. Mutazioni n° 14502 e Ast, Sezioni Riunite, Notai della tappa di Torino, Secondo versamento, Turvano Giuseppe, Minutari, reg. 7560, cc. 371 e seguenti - Vendita di stabile per parte della Casa di commercio fratelli Lanza di Torino a favore del signor Francesco Romana per lire 20.000. Con istrumento del 19 giugno 1873 (r. Albasio) sono cedute a Francesca Ronco le particelle n° 962, 963 e parte della 964. (RPM 19921). È singolare che nel documento la vendita risulti effettuata dalla Ragion di negozio corrente in Torino sotto la firma Fratelli Lanza e Compagnia, rappresentata dal suo comprincipale cavalier Vittorio Lanza, nonostante il cambiamento della ragione sociale avvenuto, come si è visto, dieci anni prima. Vale la pena di ribadire che gli atti notarili di acquisto e di vendita di terreni e fabbricati non hanno evidenziato l'esistenza né di concessioni d’acqua a uso di forza motrice, né di ruote idrauliche nella fabbrica di Porta Palazzo.

4.4 - ASCT, Progetti edilizi 1855/26 e 1857/41.

4.5 - ASCT, Scritture Private 1874, vol. 82, p. 151 e Scritture Private 1882, vol. 95, p. 360.

4.6 - Con atto dell’11 ottobre 1870 (r. Sandretti in Crevacuore, registrato a Masserano) Agostino Domenico dona al figlio Vittorio Oddone la nuda proprietà dei locali originari della fabbrica di borgo Dora e di altri immobili acquisiti in seguito in loco, con riserva di usufrutto a favore proprio e della moglie Anna Clerico «pendente la loro vita». La donazione avviene con l’assenso delle cinque figlie del donatore (Angela, ved. Stefano Revelli, Emilia, ved. Pietro Cesareo, Paola, moglie di Luigi Goffi, Camilla, moglie di Angelo Burio, e Antonia, moglie di Giò Chiambretto). Ad ognuna di esse vengono assegnate L. 15.000 a tacitazione della legittima sull’eredità paterna e materna. Anna Clerico muore il 3 gennaio 1874 e Domenico Agostino il 27 luglio 1883, certamente in età molto avanzata. ASCT, Registro delle Mutazioni di Proprietà n° 32570. Si presume che il passaggio degli stabili ereditati a Vittorio Oddone sia immediato, tuttavia dal colonnario catastale tale passaggio risulta avvenuto solo nel 1888 (forse per controversie legali con il resto della famiglia?). In ogni caso, tutte le proprietà di Poreta Palazzo sono ceduta da Vittorio Oddone Lanza ai coniugi Gambone l’anno successivo (1889).

4.7 - ASCT, Atti Notarili 1869, Vol. 58. P.- La striscia di terra, di are 7 circa e corrispondente ai n.ri 120 e 122 della mappa sez. 48 del catasto Gatti, confina «con i molini della Molinetta a levante, la strada della Molinetta a giorno, la ditta F.lli Lanza a ponente e notte». La partecipazione all’asta di Michele Lanza, in vece del genitore, testimonia il suo coinvolgimento nella gestione dell’azienda.

4.8 - ASCT, Atti Notarili 1872, Vol. 61. p. 719.

belle epoque

5. La Belle Epoque e l'apice del successo

     Nell’ultimo quarto del secolo la società dei fratelli Lanza raggiunge l’apice del successo, prima che l’avvento dell’illuminazione elettrica imponga radicali trasforma-zioni produttive e societarie. I volumi delle produzioni - circa doppi rispetto al secondo fabbricante italiano di steariche, la veneziana Fabbrica di candele di Mira, storica concorrente fin dal 1831 - la pongono ai vertici del settore in campo nazionale ed europeo, almeno nel contesto meridionale del continente. La partecipazione alle manifestazioni industriali continua, con l'ottenimento di consensi e riconoscimenti. Oltre alle citate presenze di Torino (1844, 1850, 1858, 1868, 1871) si segnalano, tra le altre, quelle di Genova (1846, 1854), Londra (1851, 1862), New York (1853), Parigi (1855, 1867, 1878), Vienna (1873) e

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Affiche dell'Esposizione Generale Italiana di Torino del 1884.

Filadelfia (1876). (5.1) Proprio dai rapporti dell’Esposizione di Parigi del 1878, dell'Esposizione Generale Italiana di Torino del 1884 e dell’Esposizione Nazionale del 1898 si ricavano ulteriori informazioni sulla società e sulla fabbrica.

1878. I resoconti dell'Esposizione di Parigi del 1878 assegnano ai fratelli Lanza il primato tra i fabbricanti italiani di candele. La fabbrica occupa 200 operai e consuma ogni anno due milioni di chilogrammi di sego provenienti in massima parte «dal Rio della Plata»; la produzione ammonta a circa un milione di chili annui, circa il doppio del secondo fabbricante italiano. Inoltre, vengono immessi annualmente sul mercato circa settantacinquemila chilogrammi di acido solforico, che eccedono le necessità della fabbrica, insieme a sessantamila chilogrammi di glicerina a 28 gradi, esportata soprattutto in Francia e Germania, e a settantamila chilogrammi di solfato di ferro, ricavato dai barili nei quali il sego arriva dall'Argentina. (5.2)

1884. L’Esposizione Generale di Torino del 1884, per la città, è probabilmente la più importante del secolo. Le cronache, con la pomposa e magniloquente retorica del tempo, celebrano il successo dei Lanza e ne narrano l’epopea.

«La fabbrica dei fratelli Lanza data dal 1838. È nata in Torino, antesignana fra le tante del genere che vennero poi gareggiando con essa, senza però offuscarne mai la gloria meritatissima. Per attribuire alla fabbrica dei Lanza tutti gli applausi che si merita, bisogna riferirsi a quei tempi in cui ogni sorta di industrie fra noi era affatto bambina, doveva lottare contro mille difficoltà di ogni genere, attraversare le più aspre crisi economiche e politiche. Soprattutto poi riusciva difficile l’industria delle candele per Io stato di incertezza quasi empirica in cui si trovavano ancora le scienze chimiche e la meccanica. La concorrenza dell’estero era schiacciante; la produzione nazionale punto protetta [...] I Fratelli Lanza con un coraggio degno dell’esito da essi ottenuto si misero all’opera, cominciando dal poco e dal modesto, ma perseverando nell’attività del lavoro, nel miglioramento continuo delle loro macchine e dei loro prodotti, facendo sempre buon viso alle innovazioni che il progresso della chimica e della meccanica andavano porgendo, giunsero grado a grado a sollevare la loro industria a quel posto che ora meritatamente occupa fra le più importanti del nostro paese». Il panegirico si conclude osservando che la produzione dei Lanza è ritenuta tra le più considerevoli fra le industrie italiane e si sottolinea che «il modo con cui a più riprese la gelosa concorrenza ha tentato di falsificare la marca di fabbrica dei Lanza dimostra quanto sui mercati questa marca sia apprezzata». (5.3)

 

Più prosaicamente, dalle relazioni della manifestazione si apprende che la fabbrica della Molinetta impiega l’energia prodotta da una turbina idraulica e da potenti caldaie a vapore che consumano ogni anno oltre 2.500 tonnellate di carbone. La sede torinese, inoltre, ha generato uno spin off ed è ora affiancata dalla succursale toscana di Bagni di San Giuliano, presso Pisa. Sui fatturati pesa in misura crescente il “sapone Lanza”, composto essenzialmente di acido oleico ottenuto dalla trasformazione del grasso in acido stearico, e assai accreditato in commercio. (5.4)

1898. Al volgere del secolo, la fortuna dei Lanza tocca l’apice. Secondo i resoconti dell’Esposizione Nazionale di quell’anno, la fabbrica della Molinetta raggiunge ormai i 50.000 mq di superficie e sforna un milione e mezzo di chili di candele all’anno, a cui si aggiungono trecentomila chili dello stabilimento toscano, per un totale di un milione ed ottocentomila chili. A queste, si aggiungono due milioni di chili di saponi diversi, trecentomila chili di glicerina e un milione di chili di acido solforico: secondo la pubblicistica, nessuno stabilimento dell’Europa meridionale regge il confronto con queste cifre. (5.5) L’azienda è divenuta, inoltre, «fornitrice esclusiva di Sua Maestà il Re d'Italia per tutti i regi palazzi del Regno». Ma le candele torinesi illuminano i palazzi di parecchie altre Case Reali Europee, dopo che, almeno dal 1858, i Lanza si aggiudicano, quasi ogni anno, l'appalto delle candele consumate dalla Città di Torino. (5.6) 

      In quanto outsider di settore, la società partecipa ormai alle Esposizioni fuori concorso. Nel 1884 presenta un «colossale monumento di stearina, sapone e candele col quale lo stabilimento Lanza ha messo in mostra tutta la varietà dei suoi prodotti, chiamando con eguale interesse l’attenzione degli intelligenti e dei profani: questi ammirando l’ingegnosa e

 grandiosa costruzione che può chiamarsi il trionfo della stearina, quelli encomiando l’eccellenza dei prodotti della fabbrica per la quale è massima il far sempre meglio». Nel 1898 essa espone ben due saggi: «un primo gruppo monumentale, avente per base delle candele d'ogni grossezza ed enormi masse di sapone, che attira tutti gli sguardi», mentre il secondo, esposto nella Galleria degli “Italiani all'estero” «afferma una volta di più la importante parte che questa Casa prende nel l’esportazione dei suoi prodotti all'Estremo Oriente, ove questi sono da lungo tempo così giustamente apprezzati».

All’Esposizione compaiono le prime automobili, mentre l’elettricità ha già assunto un ruolo importante.

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Esposizione Nazionale del 1898, Galleria delle industrie estrattive e chimiche. Mostra della Ditta Fratelli Lanza, Torino.

competitività

Tra il 1870 e il 1874, il Parlamento italiano promuove un’inchiesta sulle condizioni dell’industria nazionale focalizzata sugli effetti della legislazione daziaria e dei dazi al consumo, sull’efficienza del servizio ferroviario e sulla condizione operaia. L’indagine coinvolge le maggiori imprese italiane fornendo un’interessante survey delle condizioni operative dell’industria nazionale. Per la Fabbrica di candele steariche e saponi dei F.lli Lanza viene intervistato Michele Lanza, figlio di Vittorio. Lo scenario che emerge è ben diverso da quello celebrativo delle Esposizioni industriali, e in esso non mancano le criticità. Dalle

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parole dell'industriale emerge un interessante spaccato del contesto organizzativo, produttivo e commerciale in cui opera al tempo un’impresa italiana di primo piano caparbiamente impegnata sui mercati mondiali.

Altri importanti passaggi generazionali. 

      Con la scomparsa di Vittorio Lanza, avvenuta nel 1885 all’età di 83 anni, l’azienda affronta un’altra importante svolta. Le redini, e la proprietà, passano al cinquantatreenne Ottavio Lanza, il terzo figlio di Vittorio, coadiuvato nella gestione dal cugino Camillo Lanza, figlio dello zio Giovanni di Venaria e marito di Giacinta, sorella di Ottavio. (5.7)  Il 25 ottobre 1892 Ottavio Lanza muore prematuramente, a Rivoli, a soli 61 anni, lasciando un’eredità stimata pari a circa 830.000 lire. Per esplicita disposizione testamentaria del 28 aprile 1890, egli nomina i due figli Giovanni e Michele eredi universali, stabilendo «che la fabbrica cammini unita con i quattro suoi eredi Giovanni, Michele, Vittoria ed Annetta, e per esse i loro mariti». Dispone «che essi facciano una società dividendo gli utili in ragione di cinque parti, inclusa la moglie Marianna Nasi. Quelli tra gli eredi che prenderanno parte attiva nell’andamento della fabbrica avranno uno stipendio annuo di L. 10.000. Se qualcuno non volesse far parte della società avrà diritto a metà dei terreni e delle proprietà fuori la fabbrica». (5.8) Una serie di atti regolarizzano le posizioni e alla fine Michele Lanza, appena ventiquattrenne, si trova alla guida dell’azienda, affiancato dal cognato Vittorio Gamna, marito della sorella Vittoria. (5.9)

territorio

La fabbrica ed il territorio

      Dopo il trasferimento alla barriera di Nizza, i Lanza continuano ad ampliare i possedimenti attorno alla fabbrica con un’accorta politica di acquisizioni fondiarie. (5.10)  All’inizio del Novecento tali proprietà comprenderanno buona parte dei terreni compresi tra la cinta daziaria (corso Bramante), il nascente corso Galileo Galilei che costeggia il fiume (corso Unità d’Italia), via Santena e via Demonte (via Genova) appena tracciata, per il disegno della quale è stata espropriata una striscia di terreno occupata dalla fabbrica di candele. All’alba del XX secolo lo stabilimento ha raggiunto dimensioni ragguardevoli e un gran numero di edifici e capannoni si sono aggiunti al nucleo originario. La famiglia si radica nel territorio e sostiene la vita del borgo con iniziative filantropiche, quali la creazione dell’asilo e della scuola elementare e, secondo una consolidata tradizione ottocentesca, la casa padronale confina con la fabbrica. L’insediamento di altre manifatture - come lo stabilimento Chenet, che produce tele cerate per carri e vagoni, avvenuto nel 1875 - favorisce a sua volta  l’arrivo di nuovi abitanti, e con il fiorire di attività artigianali e terziarie determina la formazione, attorno alla stearineria, di un classico insediamento operaio di “barriera”. (5.11)

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La mappa del Catasto Italiano mostra l'assetto della barriera di Nizza alla fine dell'Ottocento. L'espansione della fabbrica di candele e saponi dei Lanza ha raggiunto la cinta daziaria; una borgata si sta formando lungo la via Nizza, mentre la futura via Genova è appena abbozzata; il canale della Molinetta è completamente coperto, salvo il ramo della bealera Cossola che percorre via Tepice. Gli edifici dei vecchi molini municipali hanno subito profonde modifiche ed è probabile che svolgano altre funzioni.   

Fonte: Catasto Italiano, Torino, fg. CXXII

5. NOTE

5.1 - Imprenditori piemontesi: progetto per un repertorio, Archivio storico AMMA; a cura di Pier Luigi Bassignana, Torino, U. Allemandi, 1994, p. 201.

5.2. - L'Esposizione di Parigi del 1878 Illustrata, Volume I, Milano, 1878, Edoardo Sonzogno Editore, p.750.

5.3 - Torino e l'Esposizione Italiana del 1884, cit., p. 231.

5.4 - Op. cit. p. 231.

5.5 - 1898, L’Esposizione Nazionale, Editori Roux Frassati e C., Torino, p. 305.

5.6 - ASCT, Scritture Private 1857, vol. 50, 30 dicembre 1857. Fideiussore e solidario della ditta F.lli Lanza verso la Città di Torino è Domenico Agostino Lanza, dimorante e negoziante, abitante in casa propria, vicolo San Giobbe n°3. In qualche modo egli risulta quindi ancora partecipe alla vita dell'azienda di famiglia. Contratti simili di fornitura verranno siglati negli anni successivi. Il prezzo offerto in asta dall’azienda nel 1857 è pari a lire 3.15 per chilo.

5.7 - ASCT, Registro delle Mutazioni di proprietà n° 36493 e 36494.

5.8 e 5.9 - Con atto pubblico del 12 marzo 1895 (r. Torretta) gli immobili della Molinetta vengono spartiti tra Giovanni Lanza e la madre Marianna, a cui vanno due ampi lotti (lotto I e II) di fabbricati e terreni per il valore di L. 272.000 (ASCT, Reg. Mutazioni n° 38120), mentre il quarto lotto, del valore di L. 53.000, va alla sorella Annetta (Reg. Mutazioni n° 32121); a Michele e Vittoria tocca il terzo lotto, il maggiore, del valore di L. 429.000, che include la fabbrica, la casa padronale e altri immobili (Reg. Mutazioni n° 38122). I diritti d’acqua acquisiti a suo tempo con gli opifici municipali, e gli alvei delle bealere Cossola e Pissoira vengono assegnati ai lotti II e III. (Reg. Mutazioni n° 38123).

5.10 - Pochi mesi dopo l’acquisizione dello stabilimento, la Ditta F.lli Lanza acquisterà altri 2 ettari di terreno confinanti con la proprietà (per interposta persona, nella figura di Giuseppe Giacomo Camerano – Reg. Mutazioni n° 9887) raddoppiando i possedimenti della Molinetta verso la cinta daziaria. Importanti acquisti fondiari avverranno ancora nel 1873 (Reg. Mutazioni n° 19993), nel 1883 (Reg. Mutazioni n° 27115) e dopo ancora.

5.11 - Stefano Garzaro, Angelo Nascimbene, Barriera di Nizza-Millefonti: dalle Molinette a Italia 61 e al Lingotto, Torino, Graphot, 2010, p. 24 e segg.

fusioni

5. La stagione delle fusioni societarie

     La diffusione delle lampade a incandescenza nelle abitazioni, ovviamente, infligge un colpo mortale al mercato delle candele e dei dispositivi illuminanti tradizionali; tuttavia i tempi relativamente lunghi della transizione consentirono ai produttori di reagire con  politiche di fusioni aziendali volte a ridurre i costi e ed avviare la riconversione verso la produzione di saponi domestici, prodotti per l’igiene personale e detergenti industriali, dove peraltro la concorrenza estera era molto forte. 

     Nel 1906 la Premiata Reale Manifattura di saponi e candele steariche fratelli Lanza, acquisisce l’Oleificio lombardo-piemontese T. Ovazza & C. di Rogoredo, specia-

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Una bella affiche della Unione Stearinerie Lanza ben esprime lo spirito del tempo.

lizzato nella produzione dei saponi, dando vita allaalla Società Anonima Stearinerie ed Oleifici Lanza. La sede rimane a Torino e, allo stabilimento di della barriere di Nizza (via Circonvallazione 864), si aggiunge quello di via Aosta 37. (5.1) Già due anni dopo, nel 1907, la società si fonde con le Stearinerie italiane di Rivarolo (Ge) dell’industriale Erasmo Piaggio. Dalle due nasce l’Unione Stearinerie Lanza, che controlla ben sette impianti: un colatoio a Venezia, un oleificio a Rogoredo, portato in dote dalla Ovazza, e cinque stabilimenti a Torino, Rivarolo Ligure, San Giuliano e due a Roma.  (5.2) Nasce così un grande gruppo, ma benché la Società anonima mantenga la sede legale a Torino, con Michele Lanza presidente e Giuseppe Piaggio vicepresidente, l’operazione indebolisce la leadership subalpina; il baricentro aziendale si sposta verso il capoluogo ligure e lo stabilimento di Rivarolo diviene il più importante, grazie alla vicinanza al porto di Genova che favorisce le esportazioni. (5.3)  Nel 1924, sotto l’egida di Giuseppe Piaggio, figlio di Erasmo, l’Unione Stearinerie Lanza si unisce alla Fabbrica di candele di Mira, la storica concorrente veneziana, dando vita alla Mira Lanza – Fabbrica di candele e saponi Spa. Ne deriva un indiscusso leader nazionale di settore orientato verso il mercato dei detergenti, con sede amministrativa a Genova e legale a Milano, che dà lavoro a circa 1.200 operai e 158 impiegati negli stabilimenti di Torino, Rivarolo, Mira, Roma, Napoli e Cornigliano. Michele Lanza resterà nel consiglio d’amministrazione, ma il controllo della società passerà ai Piaggio. La Mira Lanza, e i suoi marchi, raggiungeranno la massima notorietà negli anni del Boom economico, diventandone uno dei simboli, anche in virtù di campagne pubblicitarie e di marketing particolarmente fortunate. Alla fine degli anni Novanta, la società sarà assorbita dalla tedesca Benckiser. (5.4)

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Carta intestata, assai evocativa, della nuova società.

Il nuovo stabilimento torinese

     Il progetto di un nuovo stabilimento torinese matura del nuovo secolo, nel contesto delle dinamiche del gruppo e dei programmi urbanistici del Comune di Torino. Convergono verso lo smantellamento dell'impianto della Molinetta sia la decisione di concentrare la produzione delle steariche a Rivarolo, sia le difficoltà sollevate dalla Municipalità nel conservare l'esercizio dell'industria nella vecchia sede dopo l'approvazione del Piano Regolatore esterno all'ex Barriera di Nizza, anche nella prospettiva della costruzione del nuovo ospedale. Si opta quindi per la rilocalizzazione. La nuova fabbrica, destinata esclusivamente ai saponi è situata in regione Millefonti, tra le vie Genova, Cortemilia e Ventimiglia, su un'area di proprietà dell'azienda stessa, in uno spazio ancora ampiamente dominato dalle attività rurali. (5.5) Il progetto, integrato da diversi piani d’ampliamento negli anni immediatamente successivi, è affidato all’ingegner Camogli e porta la data del 21 settembre 1916 ed è approvato il 2 novembre successivo. (5.6)  La scelta del sito segue questa volta un modello classico di geografia industriale, secondo cui il nuovo stabilimento si colloca in posizione periferica rispetto al vecchio, ma lungo la stessa direttrice, cosicché si possano reperire i terreni a prezzi minori, pur mantenendo parte delle economie esterne e dei vantaggi localizzativi precedenti. Sempre in accordo con tale modello, è probabile che il trasferimento sia stato finanziato in larga misura dalla cessione dei terreni per il progettato ospeda-le. (5.7) L'impianto di via Cortemilia occupa una superfice

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La crisi delle candele orienta la società verso la produzione di saponi e detergenti...

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... non senza tentare altre strade.

Fonte: Archivio Centrale dello Stato.

minore di quello che va a sostituire ed a regime dà lavoro a circa 250 addetti. Data la specializzazione nei saponi, pare avere buone prospettive, tuttavia chiuderà i battenti alla fine degli anni Quaranta, in seguito alla difficoltà di reperire le materie prime durante guerra e danneggiato dai bombardamenti, segnando così  il definitivo abbandono della Mira Lanza del capoluogo piemontese.   

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Sopra: Progetto dell'ing. Camogli per il nuovo stabilimento Lanza. (del 21 settembre 1916) Sotto: L'affaccio su via Genova

Fonte: ASCT, Progetti Edilizi, 1916, prat. 252

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L'affaccio su via Genova.                 

Fonti: Google Maps e S.Garzaro, A.Nascimbene, Barriera di Nizza-Millefonti, op. cit.

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Fonte: L. Gambino, Il Lingotto di una volta, op cit.

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La nuova fabbrica di saponi Lanza a Millefonti.

L'alta ciminiera del nuovo stabilimento Lanza, edificato su terreni di proprietà dell'azienda nel perimetro definito dalle vie Genova, Cortemilia e Ventimiglia. campeggia sullo sfondo della Fiat Lingotto e di un un'area ancora largamente rurale. L'ingresso è all'angolo delle vie Genova e Garessio. 

     Fusioni e accorpamenti rafforzano le strutture aziendali, superando l’ambito famigliare, conferendo nuovi capitali e allargando gli orizzonti operativi in ambito nazionale e internazionale, ma - come spesso è accaduto a Torino, anche in un passato assai recente – hanno indebolito il radicamento e i legami territoriali dell’impresa. Nella nuova società l’incidenza 

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Due anni dopo la creazione la Mira Lanza viene quotata in Borsa. La sede della nuova società è traferita in Veneto.

della famiglia Lanza è per forza di cose ridimensionata, e lo stabilimento di Torino diviene uno soltanto tra i molti del gruppo. D’altra parte, i Piaggio sono a capo di un impero industriale di primissimo piano, vasto e articolato, forte e potente sotto il profilo produttivo e finanziario; Michele Lanza è un imprenditore diverso, creativo e visionario, che pur senza trascurare il business dell’azienda, nutre una grande passione per il nascente mondo dei motori, nel quale ha un ruolo fondamentale, per quanto sconosciuto ai più: nel 1895, discende infatti da un suo progetto, e dal lavoro di un gruppo di operai specializzati e di tecnici torinesi, la prima vera automobile italiana. (5.8)

5. NOTE

5.1. - L'azienda di Rogoredo, società in accomandita per azioni con capitale di lire 400.000, viene sciolta il 12 aprile 1906 e ceduta alla nuova società per azioni Stearineria Oleifici Lanza di Torino; la direzione viene assunta da Teodoro Ovazza, gerente della disciolta società. La nuova società ha sede in via Carlo Alberto 36 e il capitale sottoscritto è di L. 5.000.000. Cfr. L'Industria, rivista tecnica ed economica illustrata, Volume XX, n° 17 del 29 aprile 1906, p. 271 e G. Pansoya, cit., p. 12.

5.2 -  Rivista delle Società Commerciali, 28 febbraio 1914, cit.

5.3 - Giocò a favore dell'anima genovese anche il grave incendio che nei primi anni ‘10 distrusse completamente il reparto autoclavi e presse dello stabilimento di Rivarolo. Rapidamente ricostruito con tecnologie e criteri organizzativi d'avanguardia, il nuovo impianto concentrò nel genovese la produzione di stearina, destinando quello torinese alla saponeria. Cfr. Rivista delle Società Commerciali, 28 febbraio 1914, Supplemento al fasc. XII - 1913, p. 1361.

5.4 - Per informazioni più dettagliate sulla storia della Mira Lanza si veda il blog Scriptomarket.

5.5 - La superficie del nuovo stabilimento, desunta in modo approssimativo attraverso la misurazione cartografica, si aggira attorno ai 10.000 mq, che, confrontati con i 50.000 del vecchio, desunti dalla citata menzione nei resoconti dell’Esposizione di Torino del 1898, suggerisce un forte ridimensionamento. È pure vero però che il confronto considera processi produttivi e livelli tecnologici differenti, e che a pieno regime la nuova fabbrica impiegherà un numero paragonabile a quelli della vecchia.

5.6 - ASCT, Progetti Edilizi 1916, prat. n° 252 e altre negli anni immediatamente seguenti.

5.7 - G. Dematteis et al, Geografia dell’economia mondiale, Utet Università, Torino, 2010.

5.8 - La vettura ideata da Michele Lanza nel 1895 era una wagonette a sei posti, con motore a due cilindri orizzontali e paralleli di 8 CV e cambio a due velocità. Nel 1898 l'imprenditore fondò una propria fabbrica di automobili, dando vita nello stesso anno, insieme a Roberto Biscaretti e Goria Gatti, l’Automobile Club Italiano e la rivista “L’Automobile”, primo periodico automobilistico in Italia. In seguito, brevettò un nuovo tipo di carburatore e altri apparati innovativi. (Cfr. Donatella Biffignandi, cit.). Michele Lanza apparteneva a quel novero di borghesi, finanzieri e aristocratici che gettarono le basi dell'industria automobilistica italiana. Narra S. Garzaro (Cfr. S. Garzaro, A. Nascimbene, Barriera di Nizza-Millefonti, op cit.) che egli rinunciò all'ultimo a partecipare alla costituzione della Fiat, cedendo la propria partecipazione a Giovanni Agnelli, per lealtà e solidarietà verso l'amico Giovanni Battista Ceirano, escluso dalla nascente società in quanto semplice "tecnico". La fabbrica di automobili di Michele Lanza fu in realtà una sorta di laboratorio che produsse meno di una decina di vetture, forse nessuna delle quali fu consegnata al pubblico. L’imprenditore morirà nel 1947, all’età di 79 anni, e solo nel 1995 la città di Torino ne riconoscerà i meriti dedicandogli il sottopasso automobilistico tra corso Massimo d'Azeglio e corso Unità d'Italia. Cfr. anche G. Pansoya, cit., pp. 18-33 .

ospedale

7. Il declino e la fine dell'esperienza torinese

L'ospedale delle Molinette

     La gestazione della struttura destinata a sostituire la storica sede di via Giolitti dell’Ospedale San Giovanni Battista e della Città di Torino si snoda lungo i primi tre decenni del Novecento: se l’istituzione di una Commissione incaricata dal Consiglio municipale di formulare nuove proposte per l’ospedalizzazione dei malati acuti risale al 1904, l’inaugurazione del nosocomio avverrà solo nel novembre del 1935. Di tali vicende verranno si considereranno soltanto quelle in cui la famiglia e la società dei Lanza hanno avuto un ruolo. (6.1)  

La scelta del sito

     La scelta del sito rappresenta un articolato punto di caduta, capace di ottemperare a un gran numero di fattori, di poteri e di interessi politici, territoriali e fondiari, che coinvolgono l’Università, la Municipalità, nonché la filantropia e l’impresa privata. L’ipotesi delle Molinette si affermò su altre (tra cui le zone di Lucento, di Mirafiori, e di corso Lepanto) scartate per motivi di accessibilità, di vicinanza (o di distanza) 

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La costruzione dell'ospedale "Molinette" ha quasi del tutto spianato le asperità del terreno, ma rimane evidente parte del ripido declivio verso il Po sfruttato dagli opifici idraulici.

ad altri ospedali e istituti scientifici e per vincoli dei piani edilizi. Tuttavia, anche l’opzione dell’area delimitata da corso Bramante, corso Spezia, il Po e via Cherasco viene assai discussa. I vantaggi sono riconducibili alla prossimità ai maggiori poli cittadini della scienza e alla facoltà di Medicina, le cui cliniche sarebbero inglobate nell’ospedale, nonché ai collegamenti con il centro della città, affidati a parecchie linee tranviarie. Le caratteristiche ecologiche del luogo raccolgono pareri diversi. Alcuni ne sottolineano l’amenità ambientale, gli ampi spazi aperti e luminosi che, grazie al naturale isolamento assicurato dalla collina e dal Po, non rischiano di essere soffocati dalla crescita urbana, come nel caso della sede di via Giolitti. Per altri, l’umidità, le nebbie del fiume e la conformazione irregolare e accidentata dei suoli non sono pienamente confacenti alla costruzione di una struttura sanitaria. In particolare, preoccupano il ripido declivio verso il Po e i profondi avvallamenti naturali di Millefonti, soprattutto quello occupato un tempo dai mulini e un altro all’estremità sud dell’area, in prossimità delle case popolari di corso Spezia. L’Amministrazione municipale non considera però la morfologia del luogo un ostacolo insuperabile: accertato che la natura geologica del terreno di risorgiva consente di scavare in sicurezza le fondazioni degli edifici, le irregolarità sarebbero facilmente spianate e le depressioni riempite. Inoltre, il progetto sarebbe compatibile con la natura dei terreni, poiché non prevede la completa fabbricazione dell’area, ma la costruzione di padiglioni indipendenti intervallati da spazi verdi. La fascia litoranea - più impervia e depressa e meno utilizzabile – sarebbe destinata al prolungamento di corso Galileo Galilei (oggi corso Unità d’Italia). (6.2)

ruolo

Le cessioni dei Lanza

      Senza entrare nei dettagli, occorre ricordare che, dovendo reperire aree di grandi dimensioni, trattare con un numero limitato di proprietari costituisce un indubbio vantaggio, e l’area destinata al nuovo ospedale corrisponde in linea di massima a quella occupata dalle Stearinerie Lanza e da altre poche proprietà. La Città procede all’acquisto dei terreni in due tranche. Le trattative riguardano in un primo tempo i circa 55.000 m² della fabbrica di candele compresi tra corso Bramante e via della Molinetta. Tuttavia, i due milioni e mezzo di lire chiesti dall’azienda, sui quali non pare esserci margine di trattativa, vengono considerati eccessivi. Si ripiega allora sui terreni adiacenti, appartenenti a Giovanni Lanza, fratello di Michele, posti tra le vie Molinette e Santena, quindi a sud della fabbrica. La somma di lire 687.017,75 per i 79.160 m² dell’area è ritenuta equa e vantaggiosa dal Consiglio municipale, considerata anche la riduzione di 85.000 lire scontate sulla richiesta iniziale. La vicinanza alla fabbrica di candele non è ritenuto un problema perché si reputa che essa sarà chiusa, o spostata, o fusa con quella di Rivarolo Ligure. La seduta consigliare del 23 aprile 1913 ne approva l’acquisto, formalizzato dall’atto pubblico del successivo 4 ottobre. (6.3) Nelle sedute del 4 e del 27 febbraio 1914, il Consiglio approva gli acquisti dai signori Felice Barile e Camillo Gilli della cascina San Giovanni, insistente su via Alassio, e dell'ampia fascia di terreno tra la fabbrica di candele e il fiume, portando a oltre 104.000 m² la superficie a disposizione della Città.  (6.4)  Tuttavia, la progettazione del nosocomio (che include le cliniche mediche e chirurgiche, l’Ospedale per la maternità e la Clinica ginecologica) richiede ulteriori spazi, individuati gioco forza i terreni della fabbrica e della residenza della famiglia Lanza. L’opposizione denuncia quali incauti i precedenti acquisti fondiari, che rafforzano il potere contrattuale dei venditori. È pur vero, però, che l’azienda sta progettando il trasferimento delle produzioni nella nuova sede di via Cortemilia e che la Giunta, forte dei nuovi piani di edificazione e sviluppo urbanistico, ha già dato mandato di avviare la procedura di esproprio forzato dell’area per pubblica utilità. Le trattative riprendono e si giunge a un accordo amichevole che include: lo stabile con giardino con fronte su corso Bramante, abitato dal cavalier Michele Lanza e dalla sorella Vittoria Gamna (15.635 m²), spazi e fabbricati della Unione Stearinerie Lanza, inclusa la palazzina uffici all’angolo di corso Bramante e via Demonte (34.178 m²), nonché di alcuni immobili minori lungo le vie Cherasco, Molinette e Centallo (8.522 m²) appartenenti ad altri proprietari. Le acquisizioni dalla famiglia Lanza e dall’Unione Stearinerie, per complessivi 49.813 m², comportano l’esborso di 1.235.000 lire per le casse municipali. Probabilmente i Lanza mitigano le loro richieste, sia perché non intendono intraprendere una lunga controversia legale con la Città in una posizione giuridica di svantaggio, sia perché i proventi della cessione sono necessari per finanziare il trasferimento dell’impianto. Le vendite sono formalizzate dal Consiglio municipale del 29 ottobre 1915 (6.5) e, per quanto concerne i Lanza, da atto notarile del 29 febbraio 1916. (6.6)   

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Il Piano redatto dalla Città di Torino nel 1916 ben sintetizza gli acquisti dei terreni nell'area delle Molinette per la costruzione del nuovo ospedale municipale. Le prime cessioni, effettuate da Giovanni Lanza e Camillo Gilli, sono delimitate in verde, mentre le successive acquisizioni dalla Stearinerie ed Oleifici Lanza sono indicate in giallo e della casa padronale Lanza in azzurro. A fianco la sovrapposizione della mappa all'attuale ortofoto di Google Maps.

Fonte: ASCT, Atti Notarili 1916, vol. 93, p.53.

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        La Città entra così in possesso dell’intera area delimitata dai corsi Bramante e Galileo Galilei (Unità d’Italia) e dalle vie Santena, Cherasco, Molinette e Demonte (Genova). In Consiglio l’operazione suscita vivaci polemiche dell’opposizione che ne considera eccessivi i costi. Il Sindaco e la Giunta difendono la scelta reputando i prezzi al metro quadro in linea con quelli di mercato, ricordano che l’accordo evita i tempi lunghi e incerti dell’esproprio, consentendo  il rapido avvio dei cantieri, indispensabile visto lo stato della vecchia struttura ospedaliera di via Giolitti. (6.7)  Si ipotizza addirittura l’inizio dei lavori già nel 1916, ma varie vicende, belliche e postbelliche, procrastinano di molto l’edificazione dell’Ospedale “delle Molinette”, inaugurato soltanto nel 1935 nel contesto dei piani di lavori pubblici promossi dal Regime.

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L'area della Molinetta, presumibilmente, negli anni Venti del Novecento. Sono già iniziate le demolizioni per l'edificazione dei padiglioni del nuovo ospedale.

6. NOTE

6.1 Si vedano a tal proposito: ASCT, Atti municipali 1915, C.C. dell'8 marzo 1915 e T.M. Caffaratto, L'Ospedale maggiore di San Giovanni Battista e della Città di Torino, Scuola Grafica Salesiana, Torino, 1980.

6.2 - ASCT, Atti municipali 1915, C.C. dell'8 marzo 1915, cit.

6.3 - ASCT, Atti municipali 1913, C.C. del 23 aprile 1913 e Registro delle Mutazioni di Proprietà n° 58004 e Atti Notarili 1913, vol. 89, pag. 206. - Con atto pubblico del 4 ottobre 1913 (r. Costa) Giovanni fu cav. Ottavio Lanza e la madre Marianna fu Giovanni Nasi ved. del cav. Ottavio Lanza hanno venduto alla Città di Torino per L. 687.017,75 i seguenti lotti di stabili e terreni:

1° - Ettari 7 64 30 tra fabbricati e terreni a varia coltura presso la soppressa Barriera di Nizza, fraz. Molinette, via Molinette n° 37 e 56, via Alassio n.ri 58 e 60, via Centallo n° 27, distinte nel mappa catastale con i n.ri 10, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 211/2, e con parte dei n.ri 4, 6, 9, 11, 19, 20, 21, 241/2, 25, 26, 27, 28, 154 della sez. 16. Nonché dei n.ri 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, e parte dei n.ri 120, 121, 122, 132 ed in parte privo di n.ro della sez. 48. (oltre a ad are 11.69 dell’alveo di canale delle bealere Cossola e Pissoira, in comunione con i germani Michele e Vittoria Lanza) fra le coerenze della Società Stearinerie ed Oleifici Lanza e del Cav. Camillo Gilli a notte, dell’asse di via Santena a giorno, di via Demonte, di via Molinette a ponente, del fiume Po a levante. 

 2° - Are 27.30 di terreno nella stessa località distinta con parte del n° 7 della sez. 16 della mappa, fra le coerenze sull’asse di via Cherasco a levante, dell’asse di via Alassio a giorno, di via Demonte a ponente, dei coniugi Forno e della città di Torino a notte. 

Nella vendita sono compresi il diritto di 2 ore d’acqua derivate dalla bealera Cossola e Colleasca. (sic!)

6.4 - ASCT, Atti Municipali 1914, C.C. del 4 e del 27 febbraio 1914.

6.5 - ASCT, Atti Municipali, C.C del 20 ottobre 1915 – Allegato D.

6.6. - ASCT, Atti Notarili 1916, vol. 93, pag. 53 - Vendita di stabili alla Città di Torino dalla Società Anonima sotto la denominazione Unione Stearinerie Lanza per L. 975.000; dai Signori Marianna Nasi e Cavalier Michele Madre e figlio Lanza per L. 150.000; e dai Signori Marianna Nasi e Vittoria Gamna Madre e figlia Lanza per L. 110.000. Più nel dettaglio, la Società cede le particelle distinte in mappa con i numeri da 105 a 119 e parte dei n.ri 102, 103, 104, 120, 121, 122, della sez. 48; si aggiungono inoltre, per la parte di sua competenza, gli alvei dei canali Pissoira, Cossola e della Molinetta, che servono la fabbrica stessa, tutti privi di numero, appartenenti alle sez. 16 e 48 della mappa. I sigg. Lanza fratello, sorella e madre, vendono le porzioni di terreno distinto in mappa con parte del n° 102, inclusi i diritti e le servitù d'acqua dei suddetti canali. Una parte delle alienazioni è destinata all'ampliamento di via Demonte (oggi Genova), secondo quanto previsto dal Piano Edilizio Regolatore.

6.7. - ASCT, Atti Municipali, C.C del 20 ottobre 1915, cit.

Online dal: 21/09/2021

Ultimo aggiornamento: 24/10/2025

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