I molini della Molinetta
La Fabbrica di candele dei f.lli Lanza
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Avviata nel 1834 a Porta Palazzo, e trasferita nel 1856 alla barriera di Nizza, la Fabbrica di candele e saponi dei f.lli Lanza sarà la sola, di fatto, a sfruttare il salto idraulico della Molinetta. Nel corso dell'Ottocento l'azienda diven-terà leader di settore ed una della maggiori iniziative imprenditoriali di Torino e d'Italia. Dalla fusione con la veneziana Mira nascerà la Mira-Lanza e la conversione nel campo dei saponi e dei detergenti, ma al successo commerciale della nuova impresa corrisponderà la perdita delle radici torinesi.
1. La fabbrica di porta Palazzo
1.1 UNA MODESTA CONCESSIONE D'ACQUA
Sotto il profilo della storia idraulica, la prima traccia della fabbrica di candele e tripperia dei fratelli Lanza risale alla supplica del 17 ottobre 1834, con la quale Domenico Agostino Lanza chiede alla Città di Torino l'uso dell'acqua degli scoli delle fontane di Santa Barbara (1.1) che ristagnano inutilizzate nel fosso laterale del viale omonimo. Con atto notarile del 29 gennaio 1835, egli ottiene in enfiteusi perpetua «l'uso di quella piccola vena d’acqua che, uscita dalle due vasche delle fontane situate lateralmente al passaggio di S. Barbara, scaricasi nel vicino fosso, e va così perduta senza la meno-
ma utilità». Sarà cura del concessionario realizzare un piccolo canale coperto in muratura per «procurare la maggior proprietà possibile nell'esercizio della di lui manifattura di candele di sevo e tripperia». Il documento recepisce le raccomandazioni dell’ingegnere municipale G. Barone, il quale ha certificato che il condotto non pregiudica gli interessi della Città sotto le seguenti condizioni: a) dovrà essere sufficientemente solido per sopportare il passaggio dei carri; b) ogni spesa sarà a carico del richiedente; c) questi non avrà alcuna «pretesa d'acqua di quantità o di tempo, e soltanto per quella che si scarica dalle vasche del servizio pubblico»; d) e, infine, non potrà pretendere alcunché qualora la concessione sia annullata dalla Città per destinare l’acqua ad altri scopi. La fabbrica non utilizza forza motrice idraulica. I volumi produttivi e la natura delle produzioni non richiedono energia meccanica, ma piuttosto abbondante lavoro manuale e combustibili quali torba e carbone per generare il vapore necessario per bollire e sciogliere i grassi animali. La vena d'acqua concessa è destinata perlopiù ai lavaggi e il canone, assai modesto, ammonta a sole L. 50 all’anno. (1.2)
Dal 1826 l'acqua delle fonti di S. Barbara sgorgava dalle canne poste sulla facciata dei magazzini municipali, poi caserma dei vigili del fuoco, che si affacciava sul viale di S. Barbara, oggi corso Regina Margherita.
Fonte: Bima, L'acqua a Torino, cit.
Il condotto sotterraneo concesso a Domenico Agostino Lanza percorreva la banchina del viale di S. Barbara, svoltava nella strada detta "di Bacco" insinuandosi tra le case «Sartoris» e «già Bertola», raggiungendo così la fabbrica di candele.
Fonte: ASCT, Atti Notarili 1835, vol. 25, p. 41
1. NOTE
1.1 - Le fontane di S. Barbara erano alimentate da una risorgiva naturale che sgorgava sulla sponda destra della Dora. La loro origine si perde in tempi remoti. Secondo un’antica tradizione risalente ai mitici tempi del Re Eridano sarebbero state consacrate alla dea Minerva, e in epoca cristiana dedicate a Santa Barbara prendendo il nome da una vicina cappella. Alle loro acque venivano riconosciute straordinarie proprietà taumaturgiche e ogni giorno accorrevano uomini e donne alle sorgenti in cerca di guarigione dalle più disparate malattie, o attratti dalla speranza di accaparrarsi buone scorte di salute per la vecchiaia. In epoca scientifica le proprietà terapeutiche di queste acque furono riconosciute da medici di fama e dall’Accademia, e la qualità e la loro purezza venne confermata da fondate analisi chimiche. Il catasto Gatti individua il luogo delle fonti immediatamente a valle della prima partita di ruote dei molini di Dora. Dal 1826 la loro acqua sgorgava dalle due fontane nella facciata dei magazzini municipali che si affacciavano sul viale S. Barbara, progettati dall’ingegner Gaetano Lombardi. Cfr. C. Bima, L’acqua Torino, Editrice Sagat, Torino 1961, pp. 18-24. Per lungo tempo esse sono rimaste asciutte, ma di recente sono state riattivate in occasione della trasformazione della ex-caserma dei Vigili del Fuoco di corso Regina Margherita 128 in studentato ed ostello per giovani.
1.2 - ASCT, Ragionerie 1835, vol. 40, p.147, p. 149, p. 151 e Atti Notarili 1835, vol. 25, p. - 41. Alla revoca del contratto, Domenico Agostino Lanza lamenterà che, a causa del diametro insufficiente, la tubazione era di frequente ostruita dagli scarichi dei lavatoi pubblici. Il flusso risultava quindi irregolare e venne abbandonato non appena lo stabilimento fu allacciato alle condotte dell’acqua potabile. Cfr. ASCT, Atti Notarili 1866, vol. 56, p. 470 e segg.
2.1 L'ACQUISTO DEL TERRENO E IL FABBRICATO
L'avventura imprenditoriale di una delle maggiori iniziative industriali italiane ottocentesche inizia il 5 maggio 1834 con l’autorizzazione rilasciata dalla municipalità torinese a Domenico Agostino Lanza «di far costrurre una fabbrica conforme al disegno del 27 aprile dello stesso anno, approvato dal Regio Consiglio degli Edili». (2.1) A tal fine egli aveva acquistato, con atto del 28 dicembre 1833, a nome proprio e non della ditta, un terreno a porta Palazzo, nel «cantone delle Fontane nell’isolato di San Demetrio», al prezzo di L. 3.000 nuove di Piemonte. La venditrice è la signora Elisabetta Camoletto, moglie del signor Alessandro Ballesio, la transazione riguarda «una piccola pezza di prato secco del quantitativo di sette ari e sessanta centiari, corrispondente a tavole 20 circa misura di Piemonte (pari a circa 760 mq) […] sotto le coerenze a levante e mezzogiorno della pezza e campo e fabbrica dei signori Bertola e Magnetti-Discalzo, ed a ponente e notte della strada pubblica» (2.2) Tale strada appartiene al reticolo viario attorno ai molini di Dora, e sulle mappe del tempo è indicata quale «nuova strada vicinale, denominata di Bacco, ossia dei molini»; in seguito diverrà vicolo San Giobbe e poi la carreggiata est di corso XI febbraio.
Il 21 novembre 1834 Domenico Agostino Lanza, su ordine del Regio Consiglio degli Edili, perfeziona l'acquisizione dei terreni necessari comprando dai signori Giuseppe Majat, Placido Galli, Domenico Deagostini e Pietro Fornari la proprietà comune di un muro per l’appoggio del casamento che sta costruendo, «onde evitare le abolite intercapedini» ed eventuali problemi di scolo delle acque piovane. La vendita include anche dieci tavole destinate a campo, confinanti con i terreni della fabbrica, scorporate da un appezzamento più grande, con l'ulte-riore esborso di 3.500 lire. Il muro co-
L'acquisizione della proprietà del muro su cui si appoggerà il casamento in costruzione, in comune con il fabbricato confinante, unitamente ad ulteriori dieci tavole di terreno, indicate dalla lettera B nella mappa, completano gli spazi su cui Domenico Agostino Lanza edificherà la sua fabbrica. (In giallo in mappa). Il disegno, allegato all'atto di vendita, peraltro derivante da un documento precedente, permette di inquadrarne ulteriormente la posizione.
Fonte: AST, v. nota 2.3.
mune è quello settentrionale dell'edificio detto "ex-casa Bertola" che si affaccia sul viale di Santa Barbara (oggi corso Regina Margherita), edificato sull'ampio appezzamento «già delle fortificazioni» venduto, nel 1818, dalla Città di Torino ai sigg. Giò Battista Sartoris e Domenico Bertola per ampliare la loro fonderia. Tuttavia tale attività è ormai cessata ed gli attuali proprietari hanno a loro volta acquistato solo pochi mesi prima la casa e il terreno da Anna Maria Discalzo e dagli eredi Bertola. (2.3)
Il terreno acquistato gode di un’ora settimanale d’acqua, erogata dalle nove alle dieci di sera del giovedì, che Domenico Agostino Lanza dovrà spartire con la sig.ra Camoletto. Il fosso attraversa le loro proprietà e termina nel canale dei Molassi, ma ha funzioni esclusivamente irrigue e non potrà smaltire gli scarichi industriali, per i quali il Lanza dovrà costruire un apposito condotto sotterraneo «a minor danno possibile, a di lui spese, e nel sito indicato dalla Venditrice», secondo le indicazioni fornite dall’architetto della stessa. Definita la servitù di passaggio attraverso il giardino della Camoletto, il 13 settembre 1834 l’imprenditore ottiene l’autorizzazione municipale per attraversare la strada che separa le due proprietà. Il nullaosta della Ragioneria è subordinato alle condizioni stabilite dall’ingegner Barone, tra cui che il volto dell’acquedotto «resti alla profondità d’oncie 12 sotto l’attuale suolo stradale e che sia in pietra da taglio lo sgriglione di sbocco nel canale dei mulini, rimanendo oncie 6 sotto il pelo ordinario dell’acqua». (2.4)
La fabbrica ha dimensioni modeste. Il progetto dell’architetto Francesco Susanna delinea un caseggiato senza particolari pretese architettoniche, modellato a L, che si estende su due piani fuori terra. I lati esterni, lunghi circa 27 metri ognuno, si affacciano sulla strada disegnando un ampio cortile interno. Lo scavo delle fondamenta cantiere richiede di spostare di una cinquantina di centimetri (12 oncie) il canale Noli, un condotto industriale sotterraneo che deriva da quello detto "delle Fontane", concesso a Antonio Noli per fornire forza motrice al proprio stabilimento. Per il trasporto del canale Domenico Agostino dovrà ottenere sia l’autorizzazione della Città, rilasciata il 12 giugno 1834, sia degli attuali proprietari dell'opificio, i F.lli Doris. (2.5)
La sovrapposizione della mappa del catasto Gatti (1820-1830) all'odierna ortofoto dell'area consente di collocare la fabbrica di Domenico Agostino Lanza all'angolo tra c.so XI Febbraio e via Fiochetto. Essa sorge sui terreni da poco liberati con l'abbattimento delle fortifica-zioni, dove la sola costruzione esistente all'epoca è la casa detta "Bertola", o "dell'aquila", tra terreno acquistato dal Lanza e il viale di S. Barbara.
La Planimetria dell’arch. Francesco Susanna «della casa proposta costruirsi dal signor Agostino Lanza al sobborgo di Dora, Regione delle Fontane» (1834) permette di individuarne con precisione la posizione: l’edificio, di due piani fuori terra, si affaccia sui vicoli circostanti i molini di Dora che declinano verso il fiume e precisamente sulla “Strada di Bacco, ossia dei Mulini”, che in seguito prenderà il nome di vicolo San Giobbe e in parte di via Fiochetto.
Fonte: ASCT, Progetti Edilizi 1834 n° 27.
La strada di Bacco/ vicolo San Giobbe, scomparirà, insieme alla parallela via Courgné, negli anni Trenta del Novecento, con l'apertura di corso XI febbraio, ottenuto dall'abbattimento dell'isolato compreso tra le due vie.
Fonte: Carta Touring Club 1914.
Lo stabilimento di porta Palazzo è prossimo al canale dei Molassi, il principale asse cittadino generatore di forza motrice idraulica. Tuttavia, non è l'energia dinamica del canale che motiva la localizzazione della fabbrica, quanto piuttosto la vicinanza ai macelli che forniscono la materia prima per la produzione delle trippe e delle candele. La contiguità dei due settori è evidente: è infatti dai i visceri degli erbivori che si ricava sia il sevo (o sego) per le candele tradizionali, sia la stearina e l’oleina alla base di quelle nuove. La fabbrica tratta grandi quantità di grassi animali e l’ubicazione vicino ai macelli riduce i costi di trasporto ed evita i problemi di stoccaggio e conservazione di una sostanza che tende ad irrancidire acquistando odore e sapore sgradevoli.
La fabbricazione delle candele tradizionali di sego avveniva secondo metodi artigianali che impiegavano manodopera e lavoro manuale piuttosto che strumenti meccanici e forza motrice.
Fonte: l mestiere e il sapere duecento anni fa. Tutte le tavole dell'Encyclopedie francaise,
a cura di J. Proust, Mondadori, 1983
2. NOTE
2.1 - ASCT, Ragionerie 1834 vol. 31, p. 751.
2.2 - AST, Sez. Riunite, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, Registro 1833, mazzo 6059, libro 12, corda 2028. 28 dicembre 1833 - Vendita di una pezza di prato sita sul territorio di Torino dalla signora Elisabetta Camoletto moglie del signor Alessandro Ballesio a favore del signor Agostino Domenico Lanza per lire 3.000. (r. Tallone) - A margine della questione, va rilevato che la pezza di terreno al momento della vendita è in affitto al sig. Domenico Fiorio, pellicciaio. Egli è forse il proprietario della futura e prestigiosa conceria di S. Donato specializzata nella produzione di guanti. Dal documento non è dato di sapere l'uso del terreno, ma sarebbe interessante se ulteriori ricerche confermassero che anche questa impresa è nata a porta Palazzo.
2.3 - AST, S. Riunite, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, Registro 1834, Libro 12, vol. 3, corda 893, corda 6171 - 21 novembre 1834. Vendita di stabili fatta dalli signori Giuseppe Majat, Placido Galli, Domenico Deagostini, e Pietro Fornari a favore del signor Agostino Domenico Lanza mediante lire 3.500. (r. Carlo Francesco Albasio).
2.4 - ASCT, Ragioneria 13 settembre 1834, n° 47 § 16 vol. 39, p. 298.
2.5 - ASCT, Ragionerie 1834 vol. 31, p. 751.
2. La famiglia Lanza
La genealogia della famiglia Lanza. In evidenza il ramo di Vittorio Lanza che prenderà in mano le redini della fabbrica di candele. Le notizie su Domenico Agostino non permettono di stabilirne con certezza il rango anagrafico; non è il solo dato incerto riguardo al ruolo svolto nell'avventura imprenditoriale della famiglia.
Fonte: G. Pansoya di Borio, I Lanza, cit.
La ricostruzione dell’avviamento dell'impresa famigliare vede Domenico Agostino acquistare a nome proprio, e non della ditta, i terreni necessari, con l’autorizzazione concessa dalla Città per l'esercizio di tripperia. (3) D’altro canto, la documentazione, già pochi mesi dopo, testimonia l’attività famigliare nel campo delle steariche e, nel 1835, presumibilmente l’anno di avvio delle produzioni, il contratto dei primi acquisti di «interiora grasse dei vitelli» presso i macelli della Città è siglato da Giovanni Lanza, testimoniandone così la partecipazione attiva nell'azienda. (4) Per contro, Domenico Agostino conserverà la proprietà dello stabile di Porta Palazzo anche dopo il trasferimento della fabbrica alla Molinetta, forse continuandovi una qualche produzione. In ogni caso, nel 1838, il primo dei numerosi premi vinti dalla fabbrica di candele viene assegnato ai Fratelli Giovanni e Vittorio Lanza e, nel 1843, i “Lanza Giovanni e Vittorio fratelli e Comp.” risultano ufficialmente tra i fabbricanti di candele steariche di Torino (5).
La fabbricazione delle steariche e l’attività della tripperia si integravano reciprocamente, consentendo di controllare i costi e ridurre i gli sprechi, e pare quindi plausibile l'ipotesi che Vittorio Lanza abbia portato dall’Inghilterra il know-how per la fabbricazione delle candele coinvolgendo i fratelli e utilizzando la tripperia ideata in proprio da Domenico Agostino per dare inizio alla produzione. I tre fratelli continuarono l’attività comune per qualche tempo, decidendo poi di dividere le loro fortune. Negli stessi anni acquistano una conceria a Venaria Reale ma, attorno al 1850, decidono di spartirsi le proprietà: a Giovanni tocca la conceria, a Vittorio la fabbrica di candele, mentre Domenico Agostino viene liquidato (6).
NOTE
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Secondo Donatella Biffignandi (curatrice del Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino) il cognome originario della famiglia era Lancia ma, pronunciato in dialetto (Lansa), fu trasformato dall’errata trascrizione all’anagrafe di Torino. A parere di Emilio (Mimillo) Lanza, ultimo discendente di Giovanni, invece, è il cognome Lancia a derivare da Lanza. Anche Vincenzo Lancia, il fondatore della celebre casa automobilistica, proveniva da Fobello, e fu un Lanza, Michele, a costituire la prima fabbrica italiana di automobili. Tra le due famiglie è possibile esistesse un legame di parentela, considerando che Fobello contava allora meno di duemila anime, ed è curioso che due importanti pionieri dell’industria automobilistica italiana provenissero da un paese tanto piccolo della provincia piemontese.
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G. Pansoya di Borio, I Lanza – Una famiglia di industriali tra Ottocento e Novecento, pubblicazione fuori commercio, Torino, 2021, p.6.
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Archivio di Stato di Torino (AST), Sez. Riunite, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, Registro 1833, mazzo 6059, libro 12, corda 2028. 28 dicembre 1833 - Vendita di una pezza di prato sita sul territorio di Torino dalla signora Elisabetta Camoletto moglie del signor Alessandro Ballesio a favore del signor Agostino Domenico Lanza per lire 3.000. (r. Tallone).
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Archivio storico della Città di Torino (ASCT), Scritture private 1835, Vol. 25, pag. 103.
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La manifattura risulta ubicata alla Porta d’Italia, corso S. Barbara, casa Grandi; il deposito generale alla contrada di Po accanto al numero 7. Cfr. Guida di Torino 1842, Tip. Cassone e Marzorati, Torino, 1842, p. 248.
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I fratelli Lanza decisero di dividersi le proprietà familiari formulando ognuno un’offerta in busta chiusa: alla più alta sarebbe andata la fabbrica di candele e alla seconda la conceria. Cfr. G. Pansoya di Borio, cit.
NOTE
7. - ASCT, Atti Notarili 1830, vol. 30, p. 338, Atto del 10 dicembre 1830. La vendita degli immobili frutta a Domenico L. 17.326.61, a Vittorio Lanza L. 16.612.49 e a Giovanni L. 10.557.38. A queste si aggiungono altre L. 12.221.17 incassate da tal Fortunato Lanza.
8. - AST, Sez. Riunite, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, Registro 1833, mazzo 6059, libro 12, corda 2028. 28 dicembre 1833 - Vendita di una pezza di prato sita sul territorio di Torino dalla signora Elisabetta Camoletto moglie del signor Alessandro Ballesio a favore del signor Agostino Domenico Lanza per lire 3.000. (r. Tallone) Op. Già citata. - A margine della questione, va rilevato che la pezza di terreno al momento della vendita è in affitto al sig. Domenico Fiorio, pellicciaio. Egli parrebbe essere il proprietario della, futura, prestigiosa conceria di S. Donato, specializzata nella produzione di guanti. Dal documento non è dato di sapere l'uso che facesse del terreno, ma sarebbe interessante se ulteriori ricerche confermassero che anche questa impresa è nata a porta Palazzo.
9. - AST, S. Riunite, Uffici di Insinuazione, Tappa di Torino, Torino, Atti pubblici, Registro 1834, Libro 12, vol. 3, corda 893, corda 6171 - 21 novembre 1834. Vendita di stabili fatta dalli signori Giuseppe Majat, Placido Galli, Domenico Deagostini, e Pietro Fornari a favore del signor Agostino Domenico Lanza mediante lire 3.500. (r. Carlo Francesco Albasio).
10. - L’esistenza della fabbrica si ricava sia dal colonnario del catasto Gatti (art. 221) sia dalla concessione precaria di derivazione ed uso d'acqua accordata al Massola il 31 ottobre 1839, per i soli lavaggi inerenti l'esercizio della tripperia e dalla fabbricazione delle candele di sego, proibendone ogni altro impiego. ASCT, Scritture private 1839, Vol. 29, p.132.
11. - ASCT, Ragionerie 1834 vol. 31, p. 751.
12. - Ibidem.
13. - Le fontane di Santa Barbara erano delle risorgive naturali che sgorgavano in prossimità della sponda destra della Dora, a porta Palazzo. La loro origine perde in tempi remoti. Secondo un’antica tradizione sarebbero state consacrate alla dea Minerva ai mitici tempi del Re Eridano e in epoca cristiana dedicate a Santa Barbara, prendendo il nome da una vicina cappella. Nei secoli scorsi, alle loro acque venivano riconosciute straordinarie proprietà taumaturgiche e ogni giorno accorrevano uomini e donne alle sorgenti, fuori le mura della Città, in cerca di guarigione dalle più disparate malattie, o attratti dalla speranza di accaparrarsi buone scorte di salute per la vecchiaia. Le proprietà terapeutiche di queste acque furono peraltro riconosciute da medici di fama e dall’Accademia, e la qualità e la loro purezza venne confermata da fondate analisi chimiche. Il catasto Gatti individua il luogo delle fonti immediatamente a valle della prima partita di ruote dei molini di Dora. Nel 1826 la loro acqua fu messa a disposizione della popolazione torinese collocando due fontane nella facciata dei magazzini municipali sul viale S. Barbara, progettati dall’ingegner Gaetano Lombardi. I loro resti erano visibili all’ingresso della vecchia caserma dei Vigili del Fuoco, al n° 128 di corso Regina Margherita. C. Bima, L’acqua Torino, Editrice Sagat, Torino 1961, pp. 18-24.
14. - ASCT, Ragionerie 1835, vol. 40, p.147, p. 149, p. 151 e Atti Notarili 1835, vol. 25, p. 41.
15. - ASCT, Atti Notarili 1866, vol. 56, p. 470 e segg.
16. - ASCT, Ragioneria 13 settembre 1834, n° 47 § 16 vol. 39, p. 298.
Il sito
I Lanza costruiscono la loro fabbrica a Porta Palazzo, forse reinvestendo le 45.000 lire ricavate dalla vendita alla Città di alcuni stabili «per l’abbellimento della Porta di Po», avvenuta nel 1830. (7) Se il nesso tra le due operazioni fosse confermato, costituirebbe un caso di smobilizzo di capitale fondiario a favore dell’investimento manifatturiero; condotta questa contemplata dalla teoria economica, ma affatto frequente nel Piemonte protoindustriale, dove era assai più usuale che il profitto del ceto imprenditoriale rifuggisse il rischio d’impresa e sfociasse nella sicurezza della rendita fondiaria, e magari nell’acquisto di titoli nobiliari.
A margine della questione, vale la pena di rilevare la presenza nell'area di almeno un’altra iniziativa analoga a quella dei Lanza, che testimonianza dell’integrazione tra la fabbricazione delle candele e la lavorazione dei visceri animali. Si tratta della «fabbrica di candele di sego e tripperia» di Giovanni Massola, che si affaccia sul lato sinistro di via borgo Dora, poco prima della chiesa dei Santi Simone e Giuda, nell’isola della Madonna del Rosario, occupando una superficie di circa 350 m². L'iniziativa non pare avere un duraturo successo se dopo la partecipazione all’Esposizione dei prodotti dell'industria dei Regi Stati del 1838 se ne perderanno le tracce. (10)
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LE CANDELE STEARICHE
Le candele steariche rappresentano un’innovazione fondamentale nel campo dell’illuminazione dome-stica. Esse risultano ben più efficienti delle candele tradizionali di sego: non si deformano con il calore, hanno fiamma regolare e luminosa, durano più a lungo e bruciano senza emanare cattivi odori. Al contempo, costano meno delle più pregiate candele di cera, che con il tempo saranno derubricate alla fabbricazione artigianale, restringendone l'uso alle
La stearina, pur derivando dal grasso animale come il sego, è un prodotto dell'industria chimica. Essa ha rivoluzionato il mercato dell'illuminazione domestica.
funzioni religiose e all’illuminazione delle chiese. Per questi motivi, le steariche si affermano in breve quale prodotto illuminante di largo consumo, accessibile anche ai ceti popolari. Il Repertorio di Agricoltura e di scienze mediche ed industriali del medico Rocco Ragazzoni nel 1839 così le descrive: «Le candele steariche somigliano molto per candidezza e per ogni altra apparenza a quelle di bianco di balena o spermaceti, essendo solo alcun poco trasparenti; non vanno soggette a colare menomamente, né lasciare alcuna macchia comunque gocciassero; non danno il menomo fumo né odore, non producono alcun fungo, ne abbisognano quindi di essere smoccolate; ardono con bellissima luce, migliore forse che quella della cera più pura».
Pur derivando in ultima istanza dai grassi animali - principalmente bovini e ovini, al pari delle candele di sego e dell’olio per le lampade - le steariche sono un prodotto della chimica artificiale. La stearina discende dagli studi del chimico francese Michel Eugène Chevreul, che nel 1825 brevetta con Joseph Louis Gay-Lussac il procedimento per ottenere l’acido stearico. Sempre il Ragazzoni così descrive sinteticamente il processo seguito in uno stabilimento ginevrino: «Il grasso recentemente tolto all’animale si saponifica con calce viva, e l’ottenutone sapone di calce si decompone poscia con acido solforico; gli acidi grassi, oleico e stearico, raccolgonsi allora a caldo sulla superficie del liquido e rappigliasi per raffreddamento. La separazione, dell’un acido grasso dall’altro, si fa mediante forte pressio-
ne operata dal torchio idraulico, prima a freddo tra due forti lastre di zinco, poscia a caldo, cioè con soccorso del calore compartito da vapore acqueo, tra due lamine di ferro; così, dalla massa dei due acidi grassi, si spreme l’oleico che si impiega ad altri usi, e rimane lo stearico per la fabbricazione delle candele. Questo si lava con acqua acidula, quindi s’imbianca mediante bianco d’uovo sbattuto nell’acqua raccolto disgiuntamente dalle impu-
rità che depongonsi, vien fuso per opera del vapore acqueo, alfine di aggiungergli circa cinque per cento di cera bianca, e la materia è in allora del tutto pronta per essere versata nelle forme di stagno scaldate dal vapore e munite dello stoppino, sicché la candela stearica vengane prodotta».
Affiche pubblicitarie di candele steariche. Le industrie britanniche furono tra le prime a produrre questo tipo di candele.
Fonti: - Enciclopedia Treccani, voce "candela"
- Repertorio di Agricoltura e di scienze mediche ed industriali del medico Rocco Ragazzoni,
Tomo IX, Varallo, 1839, p. 141.
L'avvio delle produzioni e i primi successi
Negli Stati Sardi, all’inizio dell’Ottocen-to, la manifattura di candele e sostanze oleose per l’illuminazione non pare particolarmente prospera. Il fatturato di settore è stimato attorno ai sette milioni di lire, ma qualche dubbio può essere formulato circa i costi e la qualità del prodotto. (17) Nel 1822, stando ai dati di G. Casalis, la fabbricazione di candele di sego ha dimensioni squisitamente artigianali: le 570 tonnellate di candele sono annual-mente prodotte da 280 operai sparsi in
ben 202 fabbriche e, quindi, la dimensione media di ogni unità è di soli 1,4 addetti. Tale produzione è definita «più estesa che perfetta», l'esempio straniero rimane un costante riferimento, e le importazioni sono considerevoli (64.500 kg nel 1843). Anche le materie prime e i semilavorati nazionali (il sego grezzo e le altre sostanze grasse), ma anche la cera gialla da lavorare e i saponi, non riescono a soddisfare le richieste interne, e anche in questo caso gli acquisti sui mercati esteri sono ingenti, a fronte di esportazioni trascurabili. (18) In tale con-testo, le candele steariche rappresentano un prodotto nuovo, competitivo, dalla domanda profittevole e in rapida crescita, nel quale i Lanza si affermano con decisione, pur senza abbandonare le vecchie candele di sego.
Alle Esposizioni industriali
Con un’accorta politica di mercato, i fratelli Lanza partecipano con regolarità alle maggiori esposizioni industriali, ottenendo premi e giudizi lusinghieri. Tra il 1844 e il 1884, essi riceveranno ben 20 medaglie, di cui cinque d’oro, a Parigi e a Milano, e cinque d'argento, a Vienna, Parigi e Calcutta. (19)
1838. Nel 1838 la Regia Camera di Agricoltura e di Commercio di Torino, in occasione dell’Esposizione dei prodotti dell’industria nei Regi Stati, conferisce una medaglia di bronzo al signor Agostino Gambaro di Genova per le candele fabbricate «a foggia di quelle dette di Milly, (20) le quali sono di color bianco latteo, inodore, assai dure, semidiafane, con superficie liscia e lucida, colla forma e coll’aspetto di quelle che vengono di Francia. Ardono esse con bella fiamma tranquilla e sono dotate di potere illuminante molto considerevole, senza emanare alcuno spiacevole odore, e senza lasciar colare la materia liquefatta che alimenta la fiamma». Ai fratelli Vittorio e Giovanni Lanza, è riconosciuta una menzione onorevole «per le candele steariche esposte che imitano sino ad un certo punto quelle di Milly … sono esse sufficientemente bia-
bianche, quasi inodore ed assai dure, ma però né semidiafane, né così dure come quelle. Ardono con fiamma chiara, dotata di facoltà illuminante assai ragguardevole, e senza tramandare cattivo odore, ma la fiamma è un po’ tremola, e stanca perciò un po’ la vista di chi legge, il qual difetto dipende dalla stearina non abbastanza pura, ed anche dalla men buona qualità del cotone che forma il lucignolo». (21) Il riconoscimento non nasconde, dunque, qualche difetto di fabbricazioni avviate solo da pochi anni.
1844. Già all’Esposizione del 1844, i Lanza conquistano una medaglia d’argento. Delle due fabbriche di steariche, entrambe esordienti, premiate nel 1838, solo la loro è sopravvissuta e «ha potuto mantenersi ed estendersi, grazie alla bontà de’ suoi prodotti, al loro buon prezzo, all’ordine e alla intelligenza con cui è condotta: essa fa ragguardevoli esportazioni, tuttoché i suoi prodotti non abbiano ancora fatto cessata l’importazione di steariche dalla Francia, dalla Lombardia e dalla Svizzera». Le motivazioni del premio forniscono interessanti notizie sull’attività della fabbrica. Ne emerge l’immagine di un impianto moderno, ben condotto e organizzato, che alla produzione delle steariche affianca quella delle tradizionali candele di sego e dei saponi. A giudizio della Camera di Agricoltura e Commercio «la loro fabbrica è per molti titoli ragguardevolissima: essa dà lavoro a cinquanta o sessanta persone, smaltisce annualmente più di dugento mila chilogrammi di sevo, che proviene per metà dai macelli del paese, per l’altra metà dall’estero, impiega notabili quantità di acido solforico, di calce, di soda, di cera ecc., e produce da centoventi a centotrentamila mazzi di steariche (di mezzo chilogramma (sic) ciascuno), e trentamila chilogrammi di sapone, parte bianco a uso di Marsiglia e parte bruno preparato con l'acido oleico residuo della preparazione delle steariche difficilmente smaltibile quale combustibile. I signori Lanza fabbricano ancora una grande quantità di candele di sevo con lucignolo intrecciato, le quali perciò non hanno bisogno di essere smoccolate; essi inoltre stanno per attuare eziandio la fabbricazione di quelle di spermaceti. L’importanza, l’ordine, il bello andamento di questa fabbrica, stabilita e condotta secondo i sani precetti della scienza, e ben provveduta di macchine e di strumenti; la massa e la qualità de’ suoi prodotti, e particolarmente delle candele steariche, non inferiori a quelle della fabbrica francese del sig. Milly; la ragguardevole esportazione che se ne fa in tutta Italia, in Sardegna ed al Brasile, rendono i signori fratelli Lanza (già onorevolmente menzionati nella esposizione del 1838) degni di un distinto premio. La Camera ha la soddisfazione di assegnar loro una medaglia d’argento». (22)
1850. All’Esposizione del 1850, la medaglia d’argento viene riconfermata. Le steariche dei Lanza si impongono su quelle fabbricate dai signori Genoud e Longue «in Ciamberì (sic), le quali se per bianchezza gareggiano con quelle dei F.lli Lanza, sembrano avere lo stoppino alquanto grosso ed ardono con fiamma voluminosa e rossiccia, non assai rischiarando. Sarà ad essi agevole perfezionare i loro prodotti già portati a condizione molto pregevole». Ai produttori d’oltralpe viene comunque conferita la medaglia di rame. (23)
L'ampliamento della fabbrica
I F.lli Lanza si affermano dunque quale leader di mercato ed estendono le produzioni agli ambiti più disparati: dalle candele steariche e da quelle di sevo a lucignolo intrecciato per l’illuminazione domestica, fino ai fanali delle carrozze e alle lanterne da mano e da tasca. Nel 1850, gli addetti raggiungono le 150 unità e il conte di Cavour annovera «la grande fabrique des Frères Lanza» tra le industrie prioritarie del Piemonte. (24) Gli spazi produttivi diventano insufficienti e si procede all'ampliamento di superfici e fabbricati. Una prima estensione delle superfici avviene nel 1853, quando, con atto notarile del 30 gennaio, i Lanza acquistano i terreni e gli stabili che i Ballesio-Camoletto ancora posseggono oltre la via di Bacco, comprendenti cinque fabbricati (due capannoni chiusi con ammezzato, un fabbricato di un piano fuori terra, due casi da terra), più i relativi cortili, al prezzo di L. 42.000. Si tratta di circa 1800 m² complessivi, che le mappe del catasto Gatti registrano già destinate a uso di conceria e, quindi, industriale. (25) Due anni dopo, si procede a un secondo ampliamento. Con atto del 22 marzo 1855, Vittorio Lanza, a nome della ditta, acquista dal sig. Bernardino Ruella «un corpo di casa situato nel borgo di Dora … composto di una grande camera al piano terreno ed una piccola con sotterraneo e tre altre superiori ed un’altra al di sopra del portone». Lo stabile confina a sud ed a est con le proprietà rilevate due anni prima dai Ballesio-Camoletto, a nord con quelle del cavaliere De Sonnaz, ed a occidente con il vicolo San Giobbe. L’acquisizione include un ampio cortile condiviso con i proprietari degli altri stabili che vi si affacciano, e il diritto di accesso ad un «pozzo di acqua viva». Il prezzo pattuito è di 15.500 lire nuove di Piemonte. (26) Tali operazioni portano la superficie dello stabilimento a circa 2.250 m². Per quanto concerne gli interventi sui fabbricati, forse all'interno dei nuovi spazi acquisiti, nel 1853 vengono aggiunte due tettoie e l'anno successivo ne viene sopraelevata una terza. (26bis) Il progetto relativo a quest'ultima mostra il passaggio di un piccolo canale nello stabilimento, adibito, però, ai lavaggi, confermando ulteriormente che, sulla scorta della documentazione consultata, pare di poter escludere che la fabbrica abbia mai utilizzato energia idraulica. Nel 1857 Domenico Agostino Lanza provvede, a proprio nome, all'ingrandimento di un fabbricato. (26ter)
L'ampliamento della fabbrica avviene in due tempi con l'acquisto di nuovi terreni a nord del nucleo originario, effettuati nel 1853 e 1855 .
Fonte base: ASCT, Catasto Gatti 1820-1830,sez. Borgo Dora, tav. I
La costruzione di una tettoia nel lotto acquisito nel 1855 mostra un canaletto interno allo stabilimento (particella n°62, in alto a sinistra) destinato però soltanto ai lavaggi.
Fonte: ASCT, Progetti Edilizi 1854 n° 95.
NOTE
17. - Nei resoconti della Esposizione di Torino del 1838, le candele steariche subalpine sono giudicate «prossime al limite della perfezione», si osserva tuttavia che esse «potranno gareggiare con i prodotti che ci vengono dall'estero, quand'egli si trovi in grado di soddisfare al bisogno dei consumatori con modicità di prezzo». Repertorio di Agricoltura e di scienze mediche ed industriali del medico Rocco Ragazzoni, Tomo IX, Varallo, 1839, p. 144.
18. - C. I. Giulio, Giudizio della Regia Camera di agricoltura e di commercio di Torino e notizie sulla patria industria, Stamperia reale, Torino 1844, p. 129 e Camera di agricoltura e di commercio di Torino, Giudizio della Camera d'agricoltura e di commercio di Torino e notizie sulla patria industria, Tipografia degli Artisti A. Pons e C., Torino, 1851, p. 65.
19. - Torino e l'Esposizione Italiana del 1884. Cronaca illustrata, Torino-Milano, Roux e Favale di f.lli Treves editori, p. 231.
20. - De Milly e Motard furono i primi a produrre candele steariche su scala industriale, nella fabbrica de l'Étoile a Parigi.
21. - Repertorio di agricoltura e di scienze mediche… cit. p. 145.
22. - C. I. Giulio, Giudizio della Regia Camera di agricoltura e di commercio… cit. p. 129-130 e 133-134.
23. - Giudizio della Camera d'Agricoltura e di Commercio Di Torino e notizie sulla Patria Industria, Tipografia degli Artisti A. Pons e C, Torino 1851, p. 73-74. La medaglia d'oro per i prodotti chimici viene assegnata alla fabbrica dei farmacisti Bernardo Alessio Rossi e Domenico Schiaparelli. All'Esposizione conquista una medaglia d'argento Giovanni Lanza per i prodotti conciari provenienti dalla fabbrica di Venaria.
24. - G. Pansoya, cit., p. 7.
25. - I terreni sono ceduti da Alessandro Ballesio, marito di Elisabetta Camoletto (nel frattempo deceduta) e corrispondono ai n.ri di mappa 962, 963, 964 e da 967 a 973 del Catasto Gatti 1820-1830, sez. Borgo Dora, isola di S. Demetrio, Art. 127 (ASCT); per il passaggio di proprietà cfr. ASCT; Registro Mutazioni Territoriali n° 7304.
26. - AST, Sezioni Riunite, Notai della tappa di Torino, Secondo versamento, Cervini Giuseppe Luigi, Minutari, reg. 2584, carte (pag.) 126 e segg. – La transazione riguarda le particelle indicate con i n.ri 965 e 966 e per un terzo della n° 964 della mappa del catasto Gatti 1820-1830, sez. Borgo Dora - Art. 127.
26bis. - Torino Facile, EdificaTo, Cartellini Edilizi, maglia 1030A. vicolo S. Giobbe,
26ter. - Idem.
L'antefatto: i primi tentativi manifatturieri alla Molinetta
Alla Molinetta
Gli ingrandimenti di Porta Palazzo paiono forse tardivi rispetto ai volumi di produzione raggiunti dall'azienda, ed è possibile che formalizzino precedenti affitti. In ogni caso alla sigla degli atti, forse frustrate le possibilità di ulteriori espansioni e di reperire in loco forza motrice idraulica, il trasferimento alla barriera di Nizza pare più che un’ipotesi. Infatti, un solo anno dopo l’ultimo ampliamento della vecchia sede, con atto notarile del 20 novembre 1856, la Ragion di Negozio F.lli Lanza Compagnia - nella figura di Vittorio Lanza, ormai saldamente a capo dell’azienda - acquista da Giò Paolo Gauthier i fabbricati industriali della Molinetta e 1,87 ettari di terreno circostanti, al prezzo di L. 95.000. (27)
La cinta daziaria torinese risale al 1851 (evidenziata in rosso). I Lanza spostano la loro fabbrica alla Molinetta, quindi a sud, appena fuori la Barriera di Nizza.
Non pagare dazio
L’abbandono dei vantaggi di un’area industriale consolidata in favore di uno spazio semirurale e periferico costituisce una scelta insolita, tuttavia i benefici della nuova localizzazione sono facilmente intuibili. La cinta daziaria torinese è istituita nel 1853, e nel tratto in questione segue l’asse, attuale, di corso Bramante. La Molinetta si trova appena al di fuori di piazza Carducci, e costituisce una buona opportunità per un’azienda che tratta grande quantità di materie prime, alla ricerca di maggiori spazi per espandersi. Extra muros, lontano dall’abitato, i terreni hanno prezzi minori e non vanno soggetti ai regolamenti urbani ed edilizi; l’esenzione tariffaria riduce, inoltre, il prezzo dei beni di prima necessità, quindi del costo della vita, e, in ultima istanza, i salari operai. Ma non di meno, sfuggire all’imposizione daziaria si traduce in un vantaggio competitivo e in un risparmio fondamentale per un’azienda che lavora ingenti quantità di materiali dall’elevato peso per unità di volume, quali le sostanze grasse e il carbone, e che manda ai mercati considerevoli volumi di semilavorati e di prodotti finiti. A tal proposito, è probabile che abbia influito favorevolmente sulla scelta del sito anche il fattore trasporto, e in particolare la vicinanza alla ferrovia di Genova, naturale porta marittima dello stabilimento, inaugurata solo qualche anno prima, alla quale peraltro i Lanza non riusciranno mai a ottenere il desiderato allacciamento. (Si veda a tal proposito l'intervista di Michele Lanza nell'ambito dell'Inchiesta Industriale del 1870-74).
Per quanto innovativa, la scelta non troverà molti imitatori, almeno prima che l’energia elettrica liberi le imprese dai vincoli dell’acqua. Infatti, a causa della scarsità di salti idraulici utili, per lungo tempo quello dei Lanza sarà il solo grande stabilimento a insediarsi nella zona, con l’eccezione del farmacista Bernardo Alessio Rossi, che già nel 1837 trasferisce al Lingotto, in località Ostarietta, su un terreno adiacente alla bealera di Grugliasco, la sua fabbrica chimica, anche in questo caso, proveniente da Porta Palazzo. (28) Sorgerebbe spontaneo chiedersi se i Lanza non siano in qualche modo influenzati dall'esperienza del concorrente, che sicuramente conoscono, poiché anch’esso industriale chimico e produttore, tra le altre cose, di candele steariche.
Nuova forza motrice idraulica
Nella scelta del sito, ha di certo contato anche la necessità di reperire energia idraulica. Le dimensioni produttive e l’evoluzione tecnologica dei cicli ne rendono ora ineludibile l’impiego, come pure l’imperativo di ridurre alle sole funzioni non fungibili l’uso del ben più costoso carbon fossile. Il potenziale dinamico della Molinetta, come si è ampiamente visto, è assai modesto, ed è probabile che, fin da subito, l’azienda miri all’intero potenziale dinamico sfruttato dagli opifici municipali. Innanzitutto, contestualmente al passaggio di proprietà, viene chiesto il rinnovo della concessione d’acqua di Giò Paolo Gauthier del 1846, scaduta il 31 dicembre 1855, che il Comune approva con atto del 6 dicembre 1856. (29) La concessione riprende nella sostanza il piano dei lavori avviati e non conclusi dal Gauthier. Ha durata di nove anni, dal 1° ottobre 1856 al 31 settembre 1869, e il modesto corrispettivo previsto, di sole 300 lire annue, è esplicitamente giustificato dalla precarietà del flusso. Essa prevede l’impiego di tutta l’acqua del canale della Molinetta, al quale dovrà integralmente essere restituita dopo l’uso. Per il resto, come di consueto, il documento afferma la preminenza dell’interesse pubblico su quello privato. Saranno a carico dell’azienda concessionaria la manutenzione e lo spurgo delle opere idrauliche da costruirsi, mentre l’impiego dell’acqua è strettamente vincolato alle funzioni di forza motrice indicate, con la proibizione di destinarla all’irrigazione o a qualunque altro uso senza esplicito assenso della Civica amministrazione. La concessione è «puramente limitata all’acqua che naturalmente fluisce e fluirà» nel canale della Molinetta, senza alcuna garanzia di continuità nel corso dell’anno, o di quantità minima prestabilita, e senza diritto a rimborso o riduzione del canone in caso di mancanza assoluta. Nessun indennizzo sarà dovuto, inoltre, se la Città decidesse revocare univocamente la concessione per tutelare il buon funzionamento dei propri opifici. La concessionaria dovrà peraltro concorrere al finanziamento di eventuali lavori volti ad assicurare maggiori volumi d’acqua al canale della Molinetta. (30)
Il “Piano Regolare dei Molini della città, detti la Molinetta, e della vicina proprietà della Ditta F.lli Lanza, con indicazione della derivazione d’acqua che loro si concede dalla Città per attivazione dei motori idraulici”, del 1856, mostra il piano dei lavori per condurre l’acqua allo stabilimento. Essi prevedono lo scavo del canale A-A, con presa in B, dove convergono i due rami della Cossola che alimentano il canale Molinetta, e restituzione nel punto C. Il canale dovrà avere ampiezza, profondità e declivio sufficienti per contenere «comodamente tutta l’acqua, anche in tempo di lunghe e straordinarie piogge, convogliata dai due canali nel punto A». La bocca di presa dovrà essere in muratura con montanti in pietra, munita di saracinesca «maneggevole a vite o torno», come pure l’imbocco del canale B nel quale si uniscono le due bealere. La concessionaria non potrà per nessun motivo impedire il libero e completo deflusso dell’acqua, e dovrà costruire un condotto D-D, anch’esso regolabile dall'esterno, per consentire lo scarico dell’acqua a valle della ruota della pesta e permetterne l’eventuale fermo. Il salto residuo tra l’angolo di sudest della fabbrica ed il fondo del canale della pesta da canapa risulta paria a 141 cm. Si noti nel disegno la sussistenza del fosso irriguo, concesso a suo tempo alla cascina Gallo, che attraversa lo stabilimento scaricandosi nell’invaso dei molini. (31)
Fonte: ASCT, Scritture Private 1856, vol. 49
I lavori per condurre l’acqua allo stabilimento prevedono lo scavo di un canale, come indicato nel disegno allegato all’atto di concessione. Il documento autorizza il generico uso delle «acque del canale della Molinetta, proprie della Città, scorrente nella regione del Lingotto, per dar movimento ad una o due ruote idrauliche da collegarsi nei siti propri della Dita e che esse crederà di maggior sua convenienza onde attivare la sua fabbrica di candele steariche, di sevo, di sapone che ivi intende stabilire», demandando i dettagli al progetto esecutivo, che l’Amministrazione si riserva di approvare previa verifica della conformità alla concessione. (32) In tempi rapidi, Vittorio Lanza sottopone il piano dei lavori all'Ufficio d'arte della Città, compilato dall’ingegner Valerio e datato 2 febbraio 1857. Dopo pochi giorni, il successivo 27 febbraio, il documento viene approvato, considerando «le varianti introdotte in accordo con la concessione e non pregiudizievoli per il regime del canale e gli interessi municipali».
Nella fattispecie vengono accettati: (33)
-
L’innalzamento di 21 cm alla bocca di presa del fondo del canale di nuova costruzione.
-
La variante d’opera per condurre l’acqua alla pesta da canapa, secondo cui quella uscita dallo stabilimento si riverserà nella doccia della pesta, scaricandosi nel canale principale - anziché, come previsto, a valle della ruota quando questa sarà ferma. La variante è approvata in quanto «felicemente ideata e soddisfacente le condizioni stabilite».
-
Per facilitare il transito dei carri, vengono approvati sia l’allargamento del ponte gettato sul canale in prossimità dell'edificio di presa, sia la copertura dello stesso per una quindicina di metri in fronte alla fabbrica.
Il “Progetto della derivazione da operarsi a favore dell'Opificio da stabilirsi nel fabbricato detto la Molinetta" siglato dall'ing. Valerio dettaglia il piano dei lavori. Le variazioni introdotte sono considerate conformi dall'Ufficio d'Arte della Città e riguardano innanzitutto il deflusso delle acque reflue della fabbrica. In basso a destra il dettaglio del piano degli scarichi previsti in origine. (nota 32)
Fonti. In alto e a sinistra: ASCT, TD 13 3 48. A destra: ASCT, Scritture Private 1856, vol. 49, pag. 329 (particolare)
Il Riassunto Statistico del movimento professionale avvenuto a Torino nel quadriennio 1858-61, e quindi alle soglie dell'Unità, confermano che in città «la fabbricazione delle candele steariche non trova rivali ai signori Fratelli Lanza. Questa rinomatissima fabbrica fu la prima in Italia, e sempre accrebbe la propria fama. Vi si fabbricano candele steariche, candele vegetali, stearina in pani, sapone di oleina. Si adopera un turbine della forza di 20 cavalli e un motore idraulico di pari forza, e uno avapore di 4 cavalli. Si impiegano 150 operai e si consumano annualmente 280.000 chilogrammi di torba. La produzione annua è di un milione circa di pacchi di candele steariche, di 800,000 chilogrammi di sapone, oltre alla produzione incipiente del sapone vegetale». (33a)
NOTE
27. - ASCT, Registro delle Mutazioni n° 9700. Le parcelle oggetto della transazione sono identificate dai n.ri da 103 a 119, sez. 48, della mappa catastale.
28. - L. Gambino, Il Lingotto una volta. Voci e immagini di un sobborgo di Torino nei primi decenni del Novecento, Città di Torino, Circoscrizione 9, Nizza, Lingotto, Torino, 1998, p. 86 e segg. – Lo stabilimento si trovava all'angolo delle vie Genova e Passo Buole. Dopo diversi passaggi di proprietà, nel 1868, fu acquistato dall'industriale metallurgico Giovanni Battista Fornara, che lo adibì alla produzione di tele metalliche; venne demolito solo negli ultimi anni del Novecento. In realtà, anche il fabbricante di fiammiferi Luigi De Medici (Demedici) trasferì il proprio stabilimento da borgo Dora alla barriera di Nizza, rimanendo però all’interno della cinta daziaria.
29. - ASCT, Scritture Private 1856, vol. 49, p. 325.
30. - Ibidem.
31. - Ibidem.
32. - Ibidem.
33. - ASCT, Scritture Private 1857, vol. 50, pag. 50.
33a. - Riassunto Statistico del movimento professionale avvenuto in Torino nel quadriennio 1858-61, Torino, 1863, Eredi Botta, p. 86.
Un nuovo inizio
Il trasferimento della fabbrica e il giro di boa del mezzo del secolo segnano un momento importante per i Lanza e per l’azienda. Con atto del 27 settembre 1862, alla «Ragion di Negozio corrente sotto la firma fratelli Lanza e Compagnia» subentra la «Ragion di Negozio F.lli Lanza». La nuova ragione sociale lascia intendere il rafforzamento, e forse l’assunzione del totale controllo, della famiglia sulla società. (34) Divenuta “Fornitore della Real Casa”, l’azienda prenderà poi il nome di “Premiata Reale Manifattura di saponi e candele steariche Fratelli Lanza”. Nella conduzione degli affari si avvia il ricambio generazionale, e per quanto Vittorio Lanza mantenga saldamente il comando fino alla sua scomparsa, o quasi, avvenuta nel 1885, i figli Ottavio e Michele e il nipote Camillo, figlio di Giovanni Lanza, assumono ruoli crescenti nella gestione della fabbrica. (35) La rilocalizzazione non rappresenta quindi un punto di arrivo, quanto piuttosto una seconda partenza.
L'ESPOSIZIONE DEL 1858
L'Esposizione del 1858 ben testimonia i progressi compiuti negli ultimi anni dall’industria nel Regno. Crescono i partecipanti e le relazioni si arricchiscono di interessanti particolari. Le candele steariche hanno conquistato il mercato. Il Giudizio della Camera di Commercio le descrive «inodore, brillanti pel lustro che ricevono, abbaglianti di bianchezza, asciutte al tatto, sicché non si crederebbero mai composte di materie grasse, ardenti con fiamma bianca e luminosa, preparate con tal maniera di stoppino, che non mai si riecheggia per esse l’operazione uggiosa dello smoccolamento». Sono valutate pari alle pregiate candele di cera, e la Commissione quasi si meraviglia che derivino da un procedimento chimico-industriale e, in ultima analisi, dalla sa-
Candela stearica Lanza.
ponificazione. Inoltre, la ricerca e le sperimentazioni hanno allargato il novero delle materie di base impiegate, affiancando ai tradizionali «grassi greggi l’olio di palma, e specialmente i grassi verdi, cosiddetti, (graisses vertes) che si raccolgono da ogni maniera di residui delle cucine e simili». Le «antiche candele di sevo, delle quali l’uso si restrinse a coloro, che dalla modestia dei mezzi sono costretti a rinunciare ad una parte dei comodi della vita» e non reggono il confronto, tuttavia la loro fabbricazione continua nelle province e le importazioni dalla Francia rimangono consistenti. Si osserva infine che la produzione del sego lavorato, per quanto «caduta in basso nel favore con cui si accolsero le candele d’acido stearico», prosegue e che «le candele di sego non sarebbero venute in discredito, come vennero di fatto, se la loro preparazione non si fosse troppo trascurata da coloro che disperarono forse di far concorrenza ai rivali fabbricanti di candele steariche».
Le steariche compaiono nei cataloghi di diversi produttori, ma solo due di essi gareggiano all’Esposizione. (36) Ancora una volta i F.lli Lanza si affermano sulla coppia Genoud e Longue di Ciamberì e conquistano una nuova medaglia d’oro. Ai savoiardi viene conferita quella d’argento in virtù dell’ottima qualità dei prodotti; la preferenza riservata ai concorrenti piemontesi è giustificata soprattutto dal maggiore sforzo avvenuto nell’innovazione di processo. I prodotti esposti dai Lanza alla manifestazione illustrano le operazioni che dal grasso greggio degli animali conducono all’acido stearico e, quindi, alle candele. Queste ultime sono presenti «in molte svariate forme e dimensioni», con gli stampi e ai modelli di nuova foggia che velocizzato le colate. Sono proposti anche saggi di acido stearico, tra cui un busto del Re ottenuto con una gettata. Il Giurì considera di minore importanza, ma comunque degne di menzione, «le candele bianche, rosse e verdi, contorte a modo di spirale». Completano il quadro «diversi campioni di sapone di acido oleico, presentato in grossi pani, in masse, in sfere; sodo ben preparato per usi comuni, e di cui qualche saggio riceve nella preparazione la leggerezza della spugna (sapone a vapore, o galleggiante)».
Gli organizzatori del concorso, visitando la fabbrica, ne lodano l’organizzazione, descrivendola «un luogo in cui tutto trovasi riunito che conferisca ad un regolare, ordinato e metodico lavoro, sopra una scala che può certamente dirsi grandiosa». Vengono poi delineati i tre processi di saponificazione praticati. Senza entrare nei dettagli, per i quali si rimanda al documento, il primo procedimento è quello tradizionale, basato sulla formazione di un sapone di calce sodo e friabile, macinato e poi scomposto con l’acido solforico. Il secondo, messo a punto dal Sig. Milly di Parigi, richiede soltanto piccole quantità di calce e di acido solforico, e la saponificazione è ottenuta in poche ore «sotto pressioni gagliarde di vapore», attraverso uno specifico apparecchio «ottimamente disposto
e costrutto». Il terzo metodo è quello impiegato dal sig. Wilson nell’officina Price di Londra e dal sig. Tribouillet di Parigi. Esso combina due diverse operazioni: la saponificazione con l’acido solforico (o con la distillazione degli acidi grassi ad alta temperatura) e il vapore surriscaldato. Si ottengono, inoltre, i migliori acidi grassi, anche partendo dall’olio di palma e da sostanze più impure, consentendo così di lavorare materie prime meno pregiate e meno costose anziché il solo grasso sodo (sego). I vantaggi che i Lanza traggono dalle relazioni con la vicina Europa, mai interrotte dai tempi della fuga di uno dei fratelli a Londra, e con l’industria e con i mercati dei paesi più avanzati, sono evidenti.
Di particolare interesse è il censimento dei macchinari della fabbrica, che conta sei possenti torchi idraulici, dei quali tre per la spremitura a freddo degli acidi, e tre per quella a caldo attraverso il vapore generato con una specifica apparecchiatura. La forza motrice deriva da una turbina idraulica, integrata da una macchina a vapore di 10 cavalli di potenza quando l’«acqua motrice scarseggia o vien meno». Il dettaglio lascia supporre l’avvio della produzione alla barriera di Nizza. Con l’ausilio di quattro generatori di vapore e macchinari specifici per il taglio delle candele, per la lisciatura e altre lavorazioni finali vengono trattati ogni giorno in media circa 2.500 kg di sego o di grasso e prodotti da 1500 a 1700 kg di acido stearico. I residui dell’acido oleico sono impiegati per confezionare 400.000 kg di sapone all'anno, di qualità definita "ottima". La fabbrica occupa un centinaio di lavoratori tra uomini e donne, queste ultime dedite alle fasi meno gravose, quali la colata dell’acido negli stampi, la lucidatura delle candele e la preparazione dei pacchi. La Commissione assegna un premio, tra quelli speciali destinati agli operai e ai direttori di stabilimento, anche «al signor Gilli Francesco, direttore nell’officina dei signori fratelli Lanza, con l’encomio per l’assiduità, l’onestà e l’intelligenza dimostrate». Ai Titolari viene riconosciuto il merito di aver creato, con ingenti spese e con costante lavoro, «una fabbrica che merita i più sinceri elogi, e che onora l’industria piemontese». All’Esposizione viene aggiudicata una medaglia d’argento anche alla conceria di Giovanni Lanza, «alla Venaria Reale ed in Torino .... per i cuoi conciati per vari usi».
Fonte: Relazioni dei Giurati della Regia Camera di Agricoltura e Commercio sulla Esposizione Nazionale di Prodotti delle Industrie seguita nel 1858 in Torino, Stamperia dell'Unione Tipografico-Editrice, 1860, pag. 108 e segg.
Le dismissioni a Porta Palazzo
Dopo il trasferimento, alla Mol-inetta si procede all'ingrandimento delle superfici e alla costruzione di nuovi capannoni, che continueranno negli anni a venire, senza soluzione di continuità. Come pure gli acquisti fondiari in loco della famiglia, i cui possedimenti, all’alba del XX secolo, si estenderanno dalla cinta daziaria all’attuale via Santena. Ultimato il passaggio delle produzioni, iniziano le alienazioni a Porta Palazzo, che riguarderanno i terreni e i fabbricati acquistati nel 1853-55, ma non il nucleo originario, rimasto proprietà di Domenico Agostino Lanza. Un primo
Le cessioni di terreni e fabbricati della sede di Porta Palazzo avvengono nel corso di una decina d'anni, come indicato in figura. Il fabbricato originale rimarrà a Domenico Agostino Lanza.
Elab. su base ASCT, Catasto Gatti, cit.
lotto, posto nell’area nordorientale, viene ceduto nel 1862 a Carlo Colombo, al prezzo di lire 18.000. (Istrumento del 29 settembre, r. Turvano). Nel 1864 sono dismessi l’intero caseggiato rilevato nel 1855 da Bernardino Ruella e parte dei siti acquisiti dal Ballesio nel 1853; il compratore è Francesco Romana, un negoziante di corami di Castellamonte, che paga il prezzo di lire 20.000. Le operazioni si concludono nel 1873 con la vendita alla sig.ra Francesca Ronco «della casa nel borgo Dora, e la parte di competenza del cortile adiacente, compresa fra le coerenze degli eredi Grandi a levante, di Francesco Romana a mezzogiorno, di una strada pubblica a ponente, del cavaliere Alfonso Gerbaix de Sonnaz e della ditta Lanza a mezzanotte». La cessione frutta 6.000 lire, e la Stearineria Lanza abbandona così la vecchia sede. (37)
Alla Molinetta, dopo il trasferimento, nuovi spazi produttivi e nuovi fabbricati si aggiungono e la fabbrica di candele si espande ad ovest, verso la strada di Nizza. Nell'immagine la mappa del catasto Rabbini del 1866 sovrapposta all'attuale ortofoto Google Maps.
Fonte: AST, Sez. Riunite, Catasto Rabbini, Torino, fg. XXI.
Agostino Domenico Lanza
Domenico Agostino costruisce l’edificio della fabbrica di Porta Palazzo e partecipa alla società di famiglia, ma ne esce dopo pochi anni, pur non allontanandosi dagli affari di famiglia, ad esempio offrendo garanzie e fideiussioni. Gli stabili originari, acquisiti a proprio nome da Domenico Agostino Lanza, come si è visto, non rientrano nel piano delle dismissioni, ed egli stesso continuerà a risiedere in via San Giobbe. La loro destinazione dei resta però incerta. Alcune modeste modifiche effettuate (la formazione di uno studio nel 1855 e, nel 1857, di una camera "mediante sopraelevazione") (38) lasciano pensare a un uso residenziale, ma al contempo si può ipotizzare che l’area conservi una qualche funzione produttiva, forse quella sola di tripperia. Si spiegherebbe così il rinnovo, avvenuto l’11 febbraio 1874 per ulteriori nove anni, della vecchia concessione del 1834 «di lasciar sussistere un canale coperto attraversante il vicolo per dare sfogo nel canale dei molini alle acque delle dette tripperia e fabbrica», confermando il canone annuo di Lire 10. La formulazione del documento lascia perplessi, poiché la fabbrica di candele è ormai trasferita da anni, ma di per sé non è dirimente, perché potrebbe trattarsi di una forma di svista, o inerzia, burocratica e il condotto potrebbe essere diventato un semplice scarico domestico. L’ulteriore rinnovo della concessione, effettuato nel 1882 da Vittorio Oddone Lanza, figlio di Agostino Domenico, è riferito infatti a «un canale coperto per dare sfogo alle acque provenienti dalla casa di sua proprietà». In ogni modo, il permesso viene rinnovato per altri nove anni alle identiche condizioni. (39) Nel 1866 viene invece annullata la concessione per il condotto proveniente dalle fontane di Santa Barbara. Il 27 luglio 1883 Domenico Agostino Lanza si spegne, lasciando una cospicua eredità in beni mobili ed immobili, a testimonianza del buon successo economico raggiunto. Le proprietà di Porta Palazzo passeranno al figlio Vittorio Oddone, il quale le alienerà in breve tempo. (40)
Proprietà di Domenico Agostino Lanza a Porta Palazzo, passata al figlio Vittorio Oddone nel 1888. Il colonnario catastale non indica la presenza di attività produttive. Il locale destinato alle produzioni era, presumibilmente, il più grande (1239), di circa 265 mq di superficie. Le misure sono espresse in tavole (38 mq ca) piedi (1/12 di tavola) oncie (1/12 di piede).
Fonte: ACST, Catasto Gatti 1820-1830, sez. Borgo Dora, Tavola I e colonnario art. 164bis (Lanza Domenico Agostino, fu Francesco) (particolare)
UN CONTRATTO D'ACQUA IN ENFITEUSI PERPETUA
Nel 1865 Domenico Agostino Lanza intende rinunciare agli scoli delle fontane di Santa Barbara, da tempo inutilizzati, e perciò al condotto sotterraneo che li conduceva alla fabbrica di candele, chiedendo al Comune l’esonero dal pagamento del canone: questa rifiuta l’istanza, considerandola lesiva degli interessi cittadini, e si apre così una controversia che vale la pena di seguire.
La Città sostiene che la concessione del 1835 è avvenuta in regime d’enfiteusi perpetua. Contrariamente a quelli precari, diventati in seguito usuali, questo tipo di contratto, per sua natura, non ha scadenza, non richiede rinnovo e obbliga le parti a tempo indefinito: il concessionario potrebbe essere sollevato del canone solo se non potesse più godere del bene o del servizio. Siccome ciò non è avvenuto, la Giunta Municipale del 1° marzo 1866 respinge la richiesta, ribadendo, a tutela del pubblico interesse, il diritto all’incasso del canone; lascia tuttavia al Lanza la possibilità di chiudere la questione con l’offerta di una congrua somma da versare una tantum a titolo di indennizzo.
Con il memoriale del 20 marzo 1866, Domenico Agostino Lanza confuta tali tesi, sia sul piano giuridico che fattuale. Egli contesta la natura della concessione che, a suo dire, fu rilasciata a titolo d’enfiteusi, ma non perpetua, bensì di locazione per «temporario giovamento». Inoltre, ai termini dell’art. 1759 del Codice civile Albertino e dell’art. 1571 del Codice civile del Regno d’Italia, in vigore dall’anno precedente, la durata di qualunque locazione, anche se stipulata in regime perpetuo, non può oltrepassare i trent’anni, che nella fattispecie risultano scaduti il 28 gennaio 1865. In concreto, poi, osserva che l’uso del condotto è stato abbandonato da tempo, e che, anzi, egli si trova ora nell’incomodo di lasciar fluire nella sua proprietà l’acqua municipale. In virtù di ciò, propone di chiudere la questione pagando il solo canone lire 50 per l’anno in corso. L’offerta sarà poi raddoppiata, ma, valutata ancora insufficiente, verrà nuovamente respinta dalla municipalità. Considerando, però, l’utilità dell’acqua in oggetto per l’innaffiamento estivo dei corsi Santa
Barbara e San Massimo, la Civica Amministrazione si dichiara disposta ad ac-consentire a por fine alla lite «con indennizzo non inferiore a L. 150, corris-pondenti al canone di un triennio», oltre al paga-mento del semestre in corso e delle spese da par-te del concessionario, che accetta la proposta.
Il condottino oggetto della controversia raccoglieva le acque delle fontane di Santa Barbara che si scaricavano nel fosso a lato del viale per condurle alla fabbrica di candele.
Fonti: ASCT, AA.LL.PP. 1865 16/7 (richiesta del 6 agosto 1865 del sig. Domenico Agostino Lanza) e 1866 20/7 (G.M. Del 1 marzo 1866, Memoria del 20 marzo 1866, G.M. 2 maggio 1866 e comunicazione dell’ Ufficio LL.PP. del 26 maggio 1866.
L'acquisto degli opifici municipali
È facile supporre che, anche dopo i lavori del 1856-57, la fabbrica di candele non disponesse di tutta la forza motrice necessaria. Il deficit, da surrogare attraverso il carbone, era molto penalizzante, ed è probabile che Vittorio Lanza mirasse fin dall’inizio all’intero potenziale dinamico della Molinetta; potenziale non trascurabile, considerato il salto utile complessivo, pur scontando la ricorrente irregolarità del flusso. L’acquisizione degli impianti municipali richiederà parecchi anni e avverrà in due fasi, di cui si riporta qui una sintesi, rimandando, per i dettagli, ad altra pagina del sito.
Le trattative per la pesta da canapa, intavolate fin dal 1860, vanno a buon fine soltanto otto anni dopo. Solo il 16 novembre 1868, infatti, il Consiglio Comunale accetta l’offerta d’acquisto di lire 6.000 formulata da Vittorio Lanza, subordinandola, come d’obbligo, a pubblico incanto. Il figlio Michele si aggiudica senza difficoltà l’asta del 31 luglio 1869 con il rialzo di prezzo simbolico di 40 lire. L’atto notarile del 21 agosto, siglato da Vittorio, formalizzerà l’acquisto del «maciullatoio da canapa, con caduta d’acqua e striscia di terreno annesso, in coerenza dei molini della Molinetta, mediante l’offerto prezzo di L. 6.040. (41)
L’ acquisizione dei molini, più rilevante sotto il profilo dell’energia ricavabile, avverrà qualche anno dopo, in seguito a deliberazione del Consiglio Comunale del 12 giugno 1872. La base d’asta partirà ancora da una proposta della ditta Lanza, ma la contesa sarà ben più serrata, e Vittorio Lanza dovrà sborsare 24.200 lire, molto più delle 15.000 lire offerte in origine. L’atto del 12 dicembre 1872 sancirà il passaggio di proprietà: l’azienda si assicurerà l’intero potenziale dinamico del salto della Molinetta, e dopo oltre duecentocinquant’anni la Città si libererà dei molini (42).
Allegati agli atti di cessione della pesta da canapa e dei molini della Molinetta.
In alto: i bandi di convocazione delle aste pubbliche. Sotto: il piano degli opifici municipali della Molinetta.
Fonte: AST, Atti notarili 1872, vol. 61, pag. 732
NOTE
34. - L’atto notarile del 27 settembre 1862 che sancisce la trasformazione societaria fornisce anche il quadro completo delle proprietà della società sia in borgo Dora, sia alla barriera di Nizza. Tra le prime vi sono i fabbricati e gli edifizi identificati in mappa coi numeri: 962 963 964 967 a 973 inclusi. Tra le seconde quelli indicati nelle sez. 16 (n° 80 e parte di 87 ed 80 ½) e sez. 48 (parte del n° 102 e n.ri da 103 a 119) della mappa catastale. ASCT, Registro delle Mutazioni di Proprietà n° 13248.
35. - Vittorio Lanza (1802-1885) ha sposato Margherita Canonica (1811-1871), dalla quale ha cinque figli: Michele, Ottavio, Ferdinando, Giuseppe, Giacinta ed Ottavia. Solo i primi due, e in particolare Ottavio, assumono un ruolo in azienda, insieme al cugino Camillo Lanza, sposo di Giacinta, sorella di Ottavio. G. Pansoya, cit., p. 8 e ASCT, Registro delle Mutazioni di Proprietà n° 30471.
36. - Alla manifestazione espongono le loro steariche anche i F.lli Sclopis, probabilmente i maggiori industriali chimici del Regno, e Domenico Schiapparelli, le cui candele non vengono però considerate perché la sua officina si vale di acido stearico prodotto da terzi. Relazioni dei Giurati della Regia Camera di Agricoltura e Commercio sulla Esposizione Nazionale di Prodotti delle Industrie seguita nel 1858 in Torino, Stamperia dell'Unione Tipografico-Editrice, 1860, pag. 108 e segg.
37. - Con istrumento 29 settembre 1862 (r. Turvano) vengono cedute le particelle n° 970,971,972 973 e parte della 969 della sez. catastale borgo Dora a Carlo Colombo per il prezzo di lire 18.000 (Registro delle Mutazioni di Proprietà n° 13249). Con istrumento del 23 luglio 1864 (r. Turvano) passano a Francesco Romana al prezzo di lire 20.000 le particelle n° 965,966,967,968 e parte delle 964 e 969 (Reg. Mutazioni n° 14502 e Ast, Sezioni Riunite, Notai della tappa di Torino, Secondo versamento, Turvano Giuseppe, Minutari, reg. 7560, cc. 371 e seguenti - Vendita di stabile per parte della Casa di commercio fratelli Lanza di Torino a favore del signor Francesco Romana per lire 20.000. Con istrumento del 19 giugno 1873 (r. Albasio) sono cedute a Francesca Ronco le particelle n° 962, 963 e parte della 964. (RPM 19921). È singolare che nel documento la vendita risulti effettuata dalla Ragion di negozio corrente in Torino sotto la firma Fratelli Lanza e Compagnia, rappresentata dal suo comprincipale cavalier Vittorio Lanza, nonostante il cambiamento della ragione sociale avvenuto, come si è visto, dieci anni prima. Vale la pena di ribadire che gli atti notarili di acquisto e di vendita di terreni e fabbricati non hanno evidenziato l'esistenza né di concessioni d’acqua a uso di forza motrice, né di ruote idrauliche nella fabbrica di Porta Palazzo.
38. - ASCT, Progetti edilizi 1855/26 e 1857/41.
39. - ASCT, Scritture Private 1874, vol. 82, p. 151 e Scritture Private 1882, vol. 95, p. 360.
40. - Con atto dell’11 ottobre 1870 (r. Sandretti in Crevacuore, registrato a Masserano) Agostino Domenico dona al figlio Vittorio Oddone la nuda proprietà dei locali originari della fabbrica di borgo Dora e di altri immobili acquisiti in seguito in loco, con riserva di usufrutto a favore proprio e della moglie Anna Clerico «pendente la loro vita». La donazione avviene con l’assenso delle cinque figlie del donatore (Angela, ved. Stefano Revelli, Emilia, ved. Pietro Cesareo, Paola, moglie di Luigi Goffi, Camilla, moglie di Angelo Burio, e Antonia, moglie di Giò Chiambretto). Ad ognuna di esse vengono assegnate L. 15.000 a tacitazione della legittima sull’eredità paterna e materna. Anna Clerico muore il 3 gennaio 1874 e Domenico Agostino il 27 luglio 1883, certamente in età molto avanzata. ASCT, Registro delle Mutazioni di Proprietà n° 32570. Si presume che il passaggio degli stabili ereditati a Vittorio Oddone sia immediato, tuttavia dal colonnario catastale tale passaggio risulta avvenuto solo nel 1888 (forse per controversie legali con il resto della famiglia?). In ogni caso, tutte le proprietà di Poreta Palazzo sono ceduta da Vittorio Oddone Lanza ai coniugi Gambone l’anno successivo (1889).
41. - ASCT, Atti Notarili 1869, Vol. 58. P.- La striscia di terra, di are 7 circa e corrispondente ai n.ri 120 e 122 della mappa sez. 48 del catasto Gatti, confina «con i molini della Molinetta a levante, la strada della Molinetta a giorno, la ditta F.lli Lanza a ponente e notte». La partecipazione all’asta di Michele Lanza, in vece del genitore, testimonia il suo coinvolgimento nella gestione dell’azienda.
42. - ASCT, Atti Notarili 1872, Vol. 61. p. 719.
La Belle Epoque e l'apice del successo
Nell’ultimo quarto del secolo la società dei fratelli Lanza raggiunge l’apice del successo, prima che l’avvento dell’illuminazione elettrica imponga radicali trasforma-zioni produttive e societarie. I volumi delle produzioni - circa doppi rispetto al secondo fabbricante italiano di steariche, la veneziana Fabbrica di candele di Mira, storica concorrente fin dal 1831 - la pongono ai vertici del settore in campo nazionale ed europeo, almeno nel contesto meridionale del continente. La partecipazione alle manifestazioni industriali continua, con l'ottenimento di consensi e riconoscimenti. Oltre alle citate presenze di Torino (1844, 1850, 1858, 1868, 1871) si segnalano, tra le altre, quelle di Genova (1846, 1854), Londra (1851, 1862), New York (1853), Parigi (1855, 1867, 1878), Vienna (1873) e
Affiche dell'Esposizione Generale Italiana di Torino del 1884.
Filadelfia (1876). (43) Proprio dai rapporti dell’Esposizione di Parigi del 1878, dell'Esposizione Generale Italiana di Torino del 1884 e dell’Esposizione Nazionale del 1898 si ricavano ulteriori informazioni sulla società e sulla fabbrica.
1878. I resoconti dell'Esposizione di Parigi del 1878 assegnano ai fratelli Lanza il primato tra i fabbricanti italiani di candele. La fabbrica occupa 200 operai e consuma ogni anno due milioni di chilogrammi di sego provenienti in massima parte «dal Rio della Plata»; la produzione ammonta a circa un milione di chili annui, circa il doppio del secondo fabbricante italiano. Inoltre, vengono immessi annualmente sul mercato circa settantacinquemila chilogrammi di acido solforico, che eccedono le necessità della fabbrica, insieme a sessantamila chilogrammi di glicerina a 28 gradi, esportata soprattutto in Francia e Germania, e a settantamila chilogrammi di solfato di ferro, ricavato dai barili nei quali il sego arriva dall'Argentina. (44)
1884. L’Esposizione Generale di Torino del 1884, per la città, è probabilmente la più importante del secolo. Le cronache, con la pomposa e magniloquente retorica del tempo, celebrano il successo dei Lanza e ne narrano l’epopea.
«La fabbrica dei fratelli Lanza data dal 1838. È nata in Torino, antesignana fra le tante del genere che vennero poi gareggiando con essa, senza però offuscarne mai la gloria meritatissima. Per attribuire alla fabbrica dei Lanza tutti gli applausi che si merita, bisogna riferirsi a quei tempi in cui ogni sorta di industrie fra noi era affatto bambina, doveva lottare contro mille difficoltà di ogni genere, attraversare le più aspre crisi economiche e politiche. Soprattutto poi riusciva difficile l’industria delle candele per Io stato di incertezza quasi empirica in cui si trovavano ancora le scienze chimiche e la meccanica. La concorrenza dell’estero era schiacciante; la produzione nazionale punto protetta [...] I Fratelli Lanza con un coraggio degno dell’esito da essi ottenuto si misero all’opera, cominciando dal poco e dal modesto, ma perseverando nell’attività del lavoro, nel miglioramento continuo delle loro macchine e dei loro prodotti, facendo sempre buon viso alle innovazioni che il progresso della chimica e della meccanica andavano porgendo, giunsero grado a grado a sollevare la loro industria a quel posto che ora meritatamente occupa fra le più importanti del nostro paese». Il panegirico si conclude osservando che la produzione dei Lanza è ritenuta tra le più considerevoli fra le industrie italiane e si sottolinea che «il modo con cui a più riprese la gelosa concorrenza ha tentato di falsificare la marca di fabbrica dei Lanza dimostra quanto sui mercati questa marca sia apprezzata». (45)
Più prosaicamente, dalle relazioni della manifestazione si apprende che la fabbrica della Molinetta impiega l’energia prodotta da una turbina idraulica e da potenti caldaie a vapore che consumano ogni anno oltre 2.500 tonnellate di carbone. La sede torinese, inoltre, ha generato uno spin off ed è ora affiancata dalla succursale toscana di Bagni di San Giuliano, presso Pisa. Sui fatturati pesa in misura crescente il “sapone Lanza”, composto essenzialmente di acido oleico ottenuto dalla trasformazione del grasso in acido stearico, e assai accreditato in commercio. (46)
1898. Al volgere del secolo, la fortuna dei Lanza tocca l’apice. Secondo i resoconti dell’Esposizione Nazionale di quell’anno, la fabbrica della Molinetta raggiunge ormai i 50.000 mq di superficie e sforna un milione e mezzo di chili di candele all’anno, a cui si aggiungono trecentomila chili dello stabilimento toscano, per un totale di un milione ed ottocentomila chili. A queste, si aggiungono due milioni di chili di saponi diversi, trecentomila chili di glicerina e un milione di chili di acido solforico: secondo la pubblicistica, nessuno stabilimento dell’Europa meridionale regge il confronto con queste cifre. (47) L’azienda è divenuta, inoltre, «fornitrice esclusiva di Sua Maestà il Re d'Italia per tutti i regi palazzi del Regno». Ma le candele torinesi illuminano i palazzi di parecchie altre Case Reali Europee, dopo che, almeno dal 1858, i Lanza si aggiudicano, pressoché ogni anno, l’intero appalto delle candele consumate dalla Città di Torino. (48)
In quanto outsider di settore, la società partecipa ormai alle Esposizioni fuori concorso. Nel 1884 presenta un «colossale monumento di stearina, sapone e candele col quale lo stabilimento Lanza ha messo in mostra tutta la varietà dei suoi prodotti, chiamando con eguale interesse l’attenzione degli intelligenti e dei profani: questi ammirando l’ingegnosa e
grandiosa costruzione che può chiamarsi il trionfo della stearina, quelli encomiando l’eccellenza dei prodotti della fabbrica per la quale è massima il far sempre meglio». Nel 1898 essa espone ben due saggi: «un primo gruppo monumentale, avente per base delle candele d'ogni grossezza ed enormi masse di sapone, che attira tutti gli sguardi», mentre il secondo, esposto nella Galleria degli “Italiani all'estero” «afferma una volta di più la importante parte che questa Casa prende nel l’esportazione dei suoi prodotti all'Estremo Oriente, ove questi sono da lungo tempo così giustamente apprezzati».
All’Esposizione compaiono le prime automobili, mentre l’elettricità ha già assunto un ruolo importante.
Esposizione Nazionale del 1898, Galleria delle industrie estrattive e chimiche. Mostra della Ditta Fratelli Lanza, Torino.
Tra il 1870 e il 1874, il Parlamento italiano promuove un’inchiesta sulle condizioni dell’industria nazionale focalizzata sugli effetti della legislazione daziaria e dei dazi al consumo, sull’efficienza del servizio ferroviario e sulla condizione operaia. L’indagine coinvolge le maggiori imprese italiane fornendo un’interessante survey delle condizioni operative dell’industria nazionale. Per la Fabbrica di candele steariche e saponi dei F.lli Lanza viene intervistato Michele Lanza, figlio di Vittorio. Lo scenario che emerge è ben diverso da quello celebrativo delle Esposizioni industriali, e in esso non mancano le criticità. Dalle
parole dell'industriale emerge un interessante spaccato del contesto organizzativo, produttivo e commerciale in cui opera al tempo un’impresa italiana di primo piano caparbiamente impegnata sui mercati mondiali.
Altri importanti passaggi generazionali.
Con la scomparsa di Vittorio Lanza, avvenuta nel 1885 all’età di 83 anni, l’azienda affronta un’altra importante svolta. Le redini, e la proprietà, passano al cinquantatreenne Ottavio Lanza, il terzo figlio di Vittorio, coadiuvato nella gestione dal cugino Camillo Lanza, figlio dello zio Giovanni di Venaria e marito di Giacinta, sorella di Ottavio. (50) Il 25 ottobre 1892 Ottavio Lanza muore prematuramente, a Rivoli, a soli 61 anni, lasciando un’eredità stimata pari a circa 830.000 lire. Per esplicita disposizione testamentaria del 28 aprile 1890, egli nomina i due figli Giovanni e Michele eredi universali, stabilendo «che la fabbrica cammini unita con i quattro suoi eredi Giovanni, Michele, Vittoria ed Annetta, e per esse i loro mariti». Dispone «che essi facciano una società dividendo gli utili in ragione di cinque parti, inclusa la moglie Marianna Nasi. Quelli tra gli eredi che prenderanno parte attiva nell’andamento della fabbrica avranno uno stipendio annuo di L. 10.000. Se qualcuno non volesse far parte della società avrà diritto a metà dei terreni e delle proprietà fuori la fabbrica». (51) Una serie di atti regolarizzano le posizioni e alla fine Michele Lanza, appena ventiquattrenne, si trova alla guida dell’azienda, affiancato dal cognato Vittorio Gamna, marito della sorella Vittoria. (52)
La fabbrica ed il territorio
Dopo il trasferimento alla barriera di Nizza, i Lanza continuano ad ampliare i possedimenti attorno alla fabbrica con un’accorta politica di acquisizioni fondiarie. (53) All’inizio del Novecento tali proprietà comprenderanno buona parte dei terreni compresi tra la cinta daziaria (corso Bramante), il nascente corso Galileo Galilei che costeggia il fiume (corso Unità d’Italia), via Santena e via Demonte (via Genova) appena tracciata, per il disegno della quale è stata espropriata una striscia di terreno occupata dalla fabbrica di candele. All’alba del XX secolo lo stabilimento ha raggiunto dimensioni ragguardevoli e un gran numero di edifici e capannoni si sono aggiunti al nucleo originario. La famiglia si radica nel territorio e sostiene la vita del borgo con iniziative filantropiche, quali la creazione dell’asilo e della scuola elementare e, secondo una consolidata tradizione ottocentesca, la casa padronale confina con la fabbrica. L’insediamento di altre manifatture - come lo stabilimento Chenet, che produce tele cerate per carri e vagoni, avvenuto nel 1875 - favorisce a sua volta l’arrivo di nuovi abitanti, e con il fiorire di attività artigianali e terziarie determina la formazione, attorno alla stearineria, di un classico insediamento operaio di “barriera”. (54)
La mappa del Catasto Italiano mostra l'assetto della barriera di Nizza alla fine dell'Ottocento. L'espansione della fabbrica di candele e saponi dei Lanza ha raggiunto la cinta daziaria; una borgata si sta formando lungo la via Nizza, mentre la futura via Genova è appena abbozzata; il canale della Molinetta è completamente coperto, salvo il ramo della bealera Cossola che percorre via Tepice. Gli edifici dei vecchi molini municipali hanno subito profonde modifiche ed è probabile che svolgano altre funzioni.
Fonte: Catasto Italiano, Torino, fg. CXXII
NOTE
43. - Imprenditori piemontesi: progetto per un repertorio, Archivio storico AMMA; a cura di Pier Luigi Bassignana, Torino, U. Allemandi, 1994, p. 201.
44. - L'Esposizione di Parigi del 1878 Illustrata, Volume I, Milano, 1878, Edoardo Sonzogno Editore, p.750.
45. - Torino e l'Esposizione Italiana del 1884, cit., p. 231.
46. - Op. cit. p. 231.
47. - 1898, L’Esposizione Nazionale, Editori Roux Frassati e C., Torino, p. 305.
48. - ASCT, Scritture Private 1857, vol. 50, 30 dicembre 1857. Fideiussore e solidario della ditta F.lli Lanza verso la Città di Torino è Domenico Agostino Lanza, dimorante e negoziante, abitante in casa propria, vicolo San Giobbe n°3. In qualche modo egli risulta quindi ancora partecipe alla vita dell'azienda di famiglia. Contratti simili di fornitura verranno siglati negli anni successivi. Il prezzo offerto in asta dall’azienda nel 1857 è pari a lire 3.15 per chilo.
49. - G. Pansoya, cit., p. 8.
50. - ASCT, Registro delle Mutazioni di proprietà n° 36493 e 36494.
51. - Con atto pubblico del 12 marzo 1895 (r. Torretta) gli immobili della Molinetta vengono spartiti tra Giovanni Lanza e la madre Marianna, a cui vanno due ampi lotti (lotto I e II) di fabbricati e terreni per il valore di L. 272.000 (ASCT, Reg. Mutazioni n° 38120), mentre il quarto lotto, del valore di L. 53.000, va alla sorella Annetta (Reg. Mutazioni n° 32121); a Michele e Vittoria tocca il terzo lotto, il maggiore, del valore di L. 429.000, che include la fabbrica, la casa padronale e altri immobili (Reg. Mutazioni n° 38122). I diritti d’acqua acquisiti a suo tempo con gli opifici municipali, e gli alvei delle bealere Cossola e Pissoira vengono assegnati ai lotti II e III. (Reg. Mutazioni n° 38123).
52. - Pochi mesi dopo l’acquisizione dello stabilimento, la Ditta F.lli Lanza acquisterà altri 2 ettari di terreno confinanti con la proprietà (per interposta persona, nella figura di Giuseppe Giacomo Camerano – Reg. Mutazioni n° 9887) raddoppiando i possedimenti della Molinetta verso la cinta daziaria. Importanti acquisti fondiari avverranno ancora nel 1873 (Reg. Mutazioni n° 19993), nel 1883 (Reg. Mutazioni n° 27115) e dopo ancora.
53. - Stefano Garzaro, Angelo Nascimbene, Barriera di Nizza-Millefonti: dalle Molinette a Italia 61 e al Lingotto, Torino, Graphot, 2010, p. 24 e segg.
La stagione delle fusioni societarie
La diffusione delle lampade a incandescenza nelle abitazioni, ovviamente, infligge un colpo mortale al mercato delle candele e dei dispositivi illuminanti tradizionali; tuttavia i tempi relativamente lunghi della transizione consentirono ai produttori di reagire con politiche di fusioni aziendali volte a ridurre i costi e ed avviare la riconversione verso la produzione di saponi domestici, prodotti per l’igiene personale e detergenti industriali, dove peraltro la concorrenza estera era molto forte. (55)
Nel 1906 la Premiata Reale Manifattura di saponi e candele steariche fratelli Lanza, acquisisce l’Oleificio lombardo-piemontese T. Ovazza & C. di Rogoredo, specia-
Una bella affiche della Unione Stearinerie Lanza ben esprime lo spirito del tempo.
lizzato nella produzione dei saponi, dando vita allaalla Società Anonima Stearinerie ed Oleifici Lanza. La sede rimane a Torino e, allo stabilimento di della barriere di Nizza (via Circonvallazione 864), si aggiunge quello di via Aosta 37. (56) Già due anni dopo, nel 1907, la società si fonde con le Stearinerie italiane di Rivarolo (Ge) dell’industriale Erasmo Piaggio. Dalle due nasce l’Unione Stearinerie Lanza, che controlla ben sette impianti: un colatoio a Venezia, un oleificio a Rogoredo, portato in dote dalla Ovazza, e cinque stabilimenti a Torino, Rivarolo Ligure, San Giuliano e due a Roma. (57) Nasce così un grande gruppo, ma benché la Società anonima mantenga la sede legale a Torino, con Michele Lanza presidente e Giuseppe Piaggio vicepresidente, l’operazione indebolisce la leadership subalpina; il baricentro aziendale si sposta verso il capoluogo ligure e lo stabilimento di Rivarolo diviene il più importante, grazie alla vicinanza al porto di Genova che favorisce le esportazioni. (58) Nel 1924, sotto l’egida di Giuseppe Piaggio, figlio di Erasmo, l’Unione Stearinerie Lanza si unisce alla Fabbrica di candele di Mira, la storica concorrente veneziana, dando vita alla Mira Lanza – Fabbrica di candele e saponi Spa. Ne deriva un indiscusso leader nazionale di settore orientato verso il mercato dei detergenti, con sede amministrativa a Genova e legale a Milano, che dà lavoro a circa 1.200 operai e 158 impiegati negli stabilimenti di Torino, Rivarolo, Mira, Roma, Napoli e Cornigliano. Michele Lanza resterà nel consiglio d’amministrazione, ma il controllo della società passerà ai Piaggio. La Mira Lanza, e i suoi marchi, raggiungeranno la massima notorietà negli anni del Boom economico, diventandone uno dei simboli, anche in virtù di campagne pubblicitarie e di marketing particolarmente fortunate. Alla fine degli anni Novanta, la società sarà però assorbita dalla tedesca Benckiser. (59)
Carta intestata, assai evocativa, della nuova società.
Il nuovo stabilimento torinese
Il progetto di un nuovo stabilimento torinese matura del nuovo secolo, nel contesto delle dinamiche del gruppo e dei programmi urbanistici del Comune di Torino. Convergono verso lo smantellamento dell'impianto della Molinetta sia la decisione di concentrare la produzione delle steariche a Rivarolo, sia le difficoltà sollevate dalla Municipalità nel conservare l'esercizio dell'industria nella vecchia sede dopo l'approvazione del Piano Regolatore esterno all'ex Barriera di Nizza, anche nella prospettiva della costruzione del nuovo ospedale. (60) Si opta quindi per la rilocalizzazione. La nuova fabbrica, destinata esclusivamente ai saponi è situata in regione Millefonti, tra le vie Genova, Cortemilia e Ventimiglia, su un'area di proprietà dell'azienda stessa, in uno spazio ancora ampiamente dominato dalle attività rurali. (61) Il progetto, integrato da diversi piani d’ampliamento negli anni immediatamente successivi, è affidato all’ingegner Camogli e porta la data del 21 settembre 1916 ed è approvato il 2 novembre successivo. (62) La scelta del sito segue questa volta un modello classico di geografia industriale, secondo cui il nuovo stabilimento si colloca in posizione periferica rispetto al vecchio, ma lungo la stessa direttrice, cosicché si possano reperire i terreni a prezzi minori, pur mantenendo parte delle economie esterne e dei vantaggi localizzativi precedenti. Sempre in accordo con tale modello, è probabile che il trasferimento sia stato finanziato in larga misura dalla cessione dei terreni per il progettato ospedale. (61) L'impianto di via Cortemilia occupa una super-
La crisi delle candele orienta la società verso la produzione di saponi e detergenti...
... non senza tentare altre strade.
Fonte: Archivio Centrale dello Stato.
ficie minore di quello che va a sostituire ed a regime dà lavoro a circa 250 addetti. Data la specializzazione nei saponi, pare avere buone prospettive, tuttavia chiuderà i battenti alla fine degli anni Quaranta, in seguito alla difficoltà di reperire le materie prime durante guerra e danneggiato dai bombardamenti, segnando così il definitivo abbandono della Mira Lanza del capoluogo piemontese. (62)
Sopra: Progetto dell'ing. Camogli per il nuovo stabilimento Lanza. (del 21 settembre 1916) Sotto: L'affaccio su via Genova
Fonte: ASCT, Progetti Edilizi, 1916, prat. 252
L'affaccio su via Genova.
Fonti: Google Maps e S.Garzaro, A.Nascimbene, Barriera di Nizza-Millefonti, op. cit.
Fonte: L. Gambino, Il Lingotto di una volta, op cit.
La nuova fabbrica di saponi Lanza a Millefonti.
L'alta ciminiera del nuovo stabilimento Lanza, edificato su terreni di proprietà dell'azienda nel perimetro definito dalle vie Genova, Cortemilia e Ventimiglia. campeggia sullo sfondo della Fiat Lingotto e di un un'area ancora largamente rurale. L'ingresso è all'angolo delle vie Genova e Garessio.
Fusioni e accorpamenti rafforzano le strutture aziendali, superando l’ambito famigliare, conferendo nuovi capitali e allargando gli orizzonti operativi in ambito nazionale e internazionale, ma - come spesso è accaduto a Torino, anche in un passato assai recente – hanno indebolito il radicamento e i legami territoriali dell’impresa. Nella nuova società l’incidenza
Due anni dopo la creazione la Mira Lanza viene quotata in Borsa. La sede della nuova società è traferita in Veneto.
della famiglia Lanza è per forza di cose ridimensionata, e lo stabilimento di Torino diviene uno soltanto tra i molti del gruppo. D’altra parte, i Piaggio sono a capo di un impero industriale di primissimo piano, vasto e articolato, forte e potente sotto il profilo produttivo e finanziario; Michele Lanza è un imprenditore diverso, creativo e visionario, che pur senza trascurare il business dell’azienda, nutre una grande passione per il nascente mondo dei motori, nel quale ha un ruolo fondamentale, per quanto sconosciuto ai più: nel 1895, discende infatti da un suo progetto, e dal lavoro di un gruppo di operai specializzati e di tecnici torinesi, la prima vera automobile italiana. (63)
NOTE
55. - L'azienda di Rogoredo, società in accomandita per azioni con capitale di lire 400.000, viene sciolta il 12 aprile 1906 e ceduta alla nuova società per azioni Stearineria Oleifici Lanza di Torino; la direzione viene assunta da Teodoro Ovazza, gerente della disciolta società. La nuova società ha sede in via Carlo Alberto 36 e il capitale sottoscritto è di L. 5.000.000. Cfr. L'Industria, rivista tecnica ed economica illustrata, Volume XX, n° 17 del 29 aprile 1906, p. 271 e G. Pansoya, cit., p. 12.
56. - G. Pansoya, cit., p. 12.
57. - Giocò a favore dell'anima genovese anche il grave incendio che nei primi anni ‘10 distrusse completamente il reparto autoclavi e presse dello stabilimento di Rivarolo. Rapidamente ricostruito con tecnologie e criteri organizzativi d'avanguardia, il nuovo impianto concentrò nel genovese la produzione di stearina, destinando quello torinese alla saponeria. Cfr. Rivista delle Società Commerciali, 28 febbraio 1914, Supplemento al fasc. XII - 1913, p. 1361.
58. - Per informazioni più dettagliate si veda anche il blog Scriptomarket.
59. - Rivista delle Società Commerciali, 28 febbraio 1914, cit.
60. - La superficie del nuovo stabilimento, desunta in modo approssimativo attraverso la misurazione cartografica, si aggira attorno ai 10.000 mq, che, confrontati con i 50.000 del vecchio, desunti dalla citata menzione nei resoconti dell’Esposizione di Torino del 1898, suggerisce un forte ridimensionamento. È pure vero però che il confronto considera processi produttivi e livelli tecnologici differenti, e che a pieno regime la nuova fabbrica impiegherà un numero paragonabile a quelli della vecchia.
61. - ASCT, Progetti Edilizi 1916, prat. n° 252 e altre negli anni immediatamente seguenti.
62. - G. Dematteis et al., Geografia dell’economia mondiale, Utet Università, Torino, 2010.
63. - La vettura ideata da Michele Lanza, nel 1895, era una wagonette a sei posti, con motore a due cilindri orizzontali e paralleli di 8 CV e cambio a due velocità. Nel 1898 l'imprenditore fondò una propria fabbrica di automobili, dando vita nello stesso anno, insieme a Roberto Biscaretti e Goria Gatti, l’Automobile Club Italiano e la rivista “L’Automobile”, primo periodico automobilistico in Italia. In seguito, brevettò un nuovo tipo di carburatore e altri apparati innovativi. (Cfr. Donatella Biffignandi, cit.). Michele Lanza apparteneva a quel novero di borghesi, finanzieri e aristocratici che gettarono le basi dell'industria automobilistica italiana. Narra S. Garzaro (Cfr. S. Garzaro, A. Nascimbene, Barriera di Nizza-Millefonti, op cit.) che egli rinunciò all'ultimo a partecipare alla costituzione della Fiat, cedendo la propria partecipazione a Giovanni Agnelli, per lealtà e solidarietà verso l'amico Giovanni Battista Ceirano, escluso dalla nascente società in quanto semplice "tecnico". La fabbrica di automobili di Michele Lanza fu in realtà una sorta di laboratorio che produsse meno di una decina di vetture, forse nessuna delle quali fu consegnata al pubblico. L’imprenditore morirà nel 1947, all’età di 79 anni, e solo nel 1995 la città di Torino ne riconoscerà i meriti dedicandogli il sottopasso automobilistico tra corso Massimo d'Azeglio e corso Unità d'Italia. Cfr. anche G. Pansoya, cit., pp. 18-33 .
L'ospedale delle Molinette
La gestazione della struttura destinata a sostituire la storica sede di via Giolitti dell’Ospedale San Giovanni Battista e della Città di Torino si snoda lungo i primi tre decenni del Novecento: se l’istituzione di una Commissione incaricata dal Consiglio municipale di formulare nuove proposte per l’ospedalizzazione dei malati acuti risale al 1904, l’inaugurazione del nosocomio avverrà solo nel novembre del 1935. Di tali vicende verranno si considereranno soltanto quelle in cui la famiglia e la società dei Lanza hanno avuto un ruolo. (64)
La scelta del sito
La scelta del sito rappresenta un articolato punto di caduta, capace di ottemperare a un gran numero di fattori, di poteri e di interessi politici, territoriali e fondiari, che coinvolgono l’Università, la Municipalità, nonché la filantropia e l’impresa privata. L’ipotesi delle Molinette si affermò su altre (tra cui le zone di Lucento, di Mirafiori, e di corso Lepanto) scartate per motivi di accessibilità, di vicinanza (o di distanza)
La costruzione dell'ospedale "Molinette" ha quasi del tutto spianato le asperità del terreno, ma rimane evidente parte del ripido declivio verso il Po sfruttato dagli opifici idraulici.
ad altri ospedali e istituti scientifici e per vincoli dei piani edilizi. Tuttavia, anche l’opzione dell’area delimitata da corso Bramante, corso Spezia, il Po e via Cherasco viene assai discussa. I vantaggi sono riconducibili alla prossimità ai maggiori poli cittadini della scienza e alla facoltà di Medicina, le cui cliniche sarebbero inglobate nell’ospedale, nonché ai collegamenti con il centro della città, affidati a parecchie linee tranviarie. Le caratteristiche ecologiche del luogo raccolgono pareri diversi. Alcuni ne sottolineano l’amenità ambientale, gli ampi spazi aperti e luminosi che, grazie al naturale isolamento assicurato dalla collina e dal Po, non rischiano di essere soffocati dalla crescita urbana, come nel caso della sede di via Giolitti. Per altri, l’umidità, le nebbie del fiume e la conformazione irregolare e accidentata dei suoli non sono pienamente confacenti alla costruzione di una struttura sanitaria. In particolare, preoccupano il ripido declivio verso il Po e i profondi avvallamenti naturali di Millefonti, soprattutto quello occupato un tempo dai mulini e un altro all’estremità sud dell’area, in prossimità delle case popolari di corso Spezia. L’Amministrazione municipale non considera però la morfologia del luogo un ostacolo insuperabile: accertato che la natura geologica del terreno di risorgiva consente di scavare in sicurezza le fondazioni degli edifici, le irregolarità sarebbero facilmente spianate e le depressioni riempite. Inoltre, il progetto sarebbe compatibile con la natura dei terreni, poiché non prevede la completa fabbricazione dell’area, ma la costruzione di padiglioni indipendenti intervallati da spazi verdi. La fascia litoranea - più impervia e depressa e meno utilizzabile – sarebbe destinata al prolungamento di corso Galileo Galilei (oggi corso Unità d’Italia). (65)
Le cessioni dei Lanza
Senza entrare nei dettagli, occorre ricordare che, dovendo reperire aree di grandi dimensioni, trattare con un numero limitato di proprietari costituisce un indubbio vantaggio, e l’area destinata al nuovo ospedale corrisponde in linea di massima a quella occupata dalle Stearinerie Lanza e da altre poche proprietà. La Città procede all’acquisto dei terreni in due tranche. Le trattative riguardano in un primo tempo i circa 55.000 m² della fabbrica di candele compresi tra corso Bramante e via della Molinetta. Tuttavia, i due milioni e mezzo di lire chiesti dall’azienda, sui quali non pare esserci margine di trattativa, vengono considerati eccessivi. Si ripiega allora sui terreni adiacenti, appartenenti a Giovanni Lanza, fratello di Michele, posti tra le vie Molinette e Santena, quindi a sud della fabbrica. La somma di lire 687.017,75 per i 79.160 m² dell’area è ritenuta equa e vantaggiosa dal Consiglio municipale, considerata anche la riduzione di 85.000 lire scontate sulla richiesta iniziale. La vicinanza alla fabbrica di candele non è ritenuto un problema perché si reputa che essa sarà chiusa, o spostata, o fusa con quella di Rivarolo Ligure. La seduta consigliare del 23 aprile 1913 ne approva l’acquisto, formalizzato dall’atto pubblico del successivo 4 ottobre. (66) Nelle sedute del 4 e del 27 febbraio 1914, il Consiglio approva gli acquisti dai signori Felice Barile e Camillo Gilli della cascina San Giovanni, insistente su via Alassio, e dell'ampia fascia di terreno tra la fabbrica di candele e il fiume, portando a oltre 104.000 m² la superficie a disposizione della Città. (67) Tuttavia, la progettazione del nosocomio (che include le cliniche mediche e chirurgiche, l’Ospedale per la maternità e la Clinica ginecologica) richiede ulteriori spazi, individuati gioco forza i terreni della fabbrica e della residenza della famiglia Lanza. L’opposizione denuncia quali incauti i precedenti acquisti fondiari, che rafforzano il potere contrattuale dei venditori. È pur vero, però, che l’azienda sta progettando il trasferimento delle produzioni nella nuova sede di via Cortemilia e che la Giunta, forte dei nuovi piani di edificazione e sviluppo urbanistico, ha già dato mandato di avviare la procedura di esproprio forzato dell’area per pubblica utilità. Le trattative riprendono e si giunge a un accordo amichevole che include: lo stabile con giardino con fronte su corso Bramante, abitato dal cavalier Michele Lanza e dalla sorella Vittoria Gamna (15.635 m²), spazi e fabbricati della Unione Stearinerie Lanza, inclusa la palazzina uffici all’angolo di corso Bramante e via Demonte (34.178 m²), nonché di alcuni immobili minori lungo le vie Cherasco, Molinette e Centallo (8.522 m²) appartenenti ad altri proprietari. Le acquisizioni dalla famiglia Lanza e dall’Unione Stearinerie, per complessivi 49.813 m², comportano l’esborso di 1.235.000 lire per le casse municipali. Probabilmente i Lanza mitigano le loro richieste, sia perché non intendono intraprendere una lunga controversia legale con la Città in una posizione giuridica di svantaggio, sia perché i proventi della cessione sono necessari per finanziare il trasferimento dell’impianto. Le vendite sono formalizzate dal Consiglio municipale del 29 ottobre 1915 (68) e, per quanto concerne i Lanza, da atto notarile del 29 febbraio 1916. (69)
Il Piano redatto dalla Città di Torino nel 1916 ben sintetizza gli acquisti dei terreni nell'area delle Molinette per la costruzione del nuovo ospedale municipale. Le prime cessioni, effettuate da Giovanni Lanza e Camillo Gilli, sono delimitate in verde, mentre le successive acquisizioni dalla Stearinerie ed Oleifici Lanza sono indicate in giallo e della casa padronale Lanza in azzurro. A fianco la sovrapposizione della mappa all'attuale ortofoto di Google Maps.
Fonte: ASCT, Atti Notarili 1916, vol. 93, p.53.
La Città entra così in possesso dell’intera area delimitata dai corsi Bramante e Galileo Galilei (Unità d’Italia) e dalle vie Santena, Cherasco, Molinette e Demonte (Genova). In Consiglio l’operazione suscita vivaci polemiche dell’opposizione che ne considera eccessivi i costi. Il Sindaco e la Giunta difendono la scelta reputando i prezzi al metro quadro in linea con quelli di mercato, ricordano che l’accordo evita i tempi lunghi e incerti dell’esproprio, consentendo il rapido avvio dei cantieri, indispensabile visto lo stato della vecchia struttura ospedaliera di via Giolitti. (69) Si ipotizza addirittura l’inizio dei lavori già nel 1916, ma varie vicende, belliche e postbelliche, procrastinano di molto l’edificazione dell’Ospedale “delle Molinette”, inaugurato soltanto nel 1935 nel contesto dei piani di lavori pubblici promossi dal Regime.
L'area della Molinetta, presumibilmente, negli anni Venti del Novecento. Sono già iniziate le demolizioni per l'edificazione dei padiglioni del nuovo ospedale.
NOTE
64. - Si vedano a tal proposito: ASCT, Atti municipali 1915, C.C. dell'8 marzo 1915 e T.M. Caffaratto, L'Ospedale maggiore di San Giovanni Battista e della Città di Torino, Scuola Grafica Salesiana, Torino, 1980.
65. - ASCT, Atti municipali 1915, C.C. dell'8 marzo 1915, cit.
66. - ASCT, Atti municipali 1913, C.C. del 23 aprile 1913 e Registro delle Mutazioni di Proprietà n° 58004 e Atti Notarili 1913, vol. 89, pag. 206. - Con atto pubblico del 4 ottobre 1913 (r. Costa) Giovanni fu cav. Ottavio Lanza e la madre Marianna fu Giovanni Nasi ved. del cav. Ottavio Lanza hanno venduto alla Città di Torino per L. 687.017,75 i seguenti lotti di stabili e terreni:
1° - Ettari 7 64 30 tra fabbricati e terreni a varia coltura presso la soppressa Barriera di Nizza, fraz. Molinette, via Molinette n° 37 e 56, via Alassio n.ri 58 e 60, via Centallo n° 27, distinte nel mappa catastale con i n.ri 10, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 211/2, e con parte dei n.ri 4, 6, 9, 11, 19, 20, 21, 241/2, 25, 26, 27, 28, 154 della sez. 16. Nonché dei n.ri 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, e parte dei n.ri 120, 121, 122, 132 ed in parte privo di n.ro della sez. 48. (oltre a ad are 11.69 dell’alveo di canale delle bealere Cossola e Pissoira, in comunione con i germani Michele e Vittoria Lanza) fra le coerenze della Società Stearinerie ed Oleifici Lanza e del Cav. Camillo Gilli a notte, dell’asse di via Santena a giorno, di via Demonte, di via Molinette a ponente, del fiume Po a levante.
2° - Are 27.30 di terreno nella stessa località distinta con parte del n° 7 della sez. 16 della mappa, fra le coerenze sull’asse di via Cherasco a levante, dell’asse di via Alassio a giorno, di via Demonte a ponente, dei coniugi Forno e della città di Torino a notte.
Nella vendita sono compresi il diritto di 2 ore d’acqua derivate dalla bealera Cossola e Colleasca. (sic!)
67. - ASCT, Atti Municipali 1914, C.C. del 4 e del 27 febbraio 1914.
68. - ASCT, Atti Municipali, C.C del 20 ottobre 1915 – Allegato D.
69. - ASCT, Atti Notarili 1916, vol. 93, pag. 53 - Vendita di stabili alla Città di Torino dalla Società Anonima sotto la denominazione Unione Stearinerie Lanza per L. 975.000; dai Signori Marianna Nasi e Cavalier Michele Madre e figlio Lanza per L. 150.000; e dai Signori Marianna Nasi e Vittoria Gamna Madre e figlia Lanza per L. 110.000. Più nel dettaglio, la Società cede le particelle distinte in mappa con i numeri da 105 a 119 e parte dei n.ri 102, 103, 104, 120, 121, 122, della sez. 48; si aggiungono inoltre, per la parte di sua competenza, gli alvei dei canali Pissoira, Cossola e della Molinetta, che servono la fabbrica stessa, tutti privi di numero, appartenenti alle sez. 16 e 48 della mappa. I sigg. Lanza fratello, sorella e madre, vendono le porzioni di terreno distinto in mappa con parte del n° 102, inclusi i diritti e le servitù d'acqua dei suddetti canali. Una parte delle alienazioni è destinata all'ampliamento di via Demonte (oggi Genova), secondo quanto previsto dal Piano Edilizio Regolatore.
70. - ASCT, Atti Municipali, C.C del 20 ottobre 1915, cit.
Online dal: 21/09/2021
Ultimo aggiornamento della pagina: 10/04/2023