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Il Canale Meana

Il Canale del Martinetto

Dal Martinetto alla Fucina delle canne di Valdocco

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Il canale di Torino in via S. Donato davanti alla conceria Florio - Fonte: TorinoMusei

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Il Canale di Torino

Dal molino del Martinetto alla città

«Ai fabbricati del Martinetto separasi quello della Città di Torino dell'ordinaria portata di quattro ruote circa; attivansi colle acque di questo canale 3 ruote di edifizi di particolari che sono 1 per conceria, 1 per fabbrica di cioccolatte ed 1 per fabbrica di maiolica. Giunto al partitore del Brusacuore si dirama da esso il canale detto del Valentino per un bocchetto della competenza di oncie 30, indi proseguendo il canale della Città il suo corso fino al casotto partitore posto quasi di rimpetto ai quartieri di Porta di Susa dalla parte di ponente, si divide in due rami, dé quali uno si divide in altri due…» 

(Relazione Pernigotti)

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Fig. 1.1 - Il canale di Torino aveva origine al molino del Martinetto; alimentato dal canale della Pellerina, seguiva le attuali vie S. Donato, Pacinotti e Carena, terminando nel partitore di piazza Statuto; nei pressi delle vie Pacinotti e Vagnone si staccava da esso il canale del Valentino. Il tracciato riprodotto è quello, definitivo, della seconda metà dell'800.

1. il canale di T.

1. Il canale di Torino

Il canale di Torino conduceva in città l'acqua della Dora Riparia derivata dal canale della Pellerina,  scorrendo attraverso il territorio che prenderà il nome di S. Donato. Lungo il percorso, a partire dal primo Ottocento, fornì forza motrice ad alcuni opifici idraulici, ma le funzioni preminenti furono e rimasero irrigue e urbane. Le sue acque bagnavano le campagne tra il Martinetto e la Porta Susina e per mezzo del canale del Valentino raggiungevano il Tenimento omonimo, la Cittadella,  i fondi agricoli di San Salvario e l’estremo lembo di quelli della Crocetta. A Torino un partitore ne distribuiva le acque tra le ramificazioni che attendevano ai servizi cittadini, all'irrigazione del giardino reale e al movimento di alcune ruote idrauliche, in primo luogo a quelle della fonderia e del laboratorio dei bombardieri del Regio Arsenale. Tra i compiti civici erano annoverati l'adacquamento delle doireil lavaggio dei macelli di Dora e di Po, delle latrine dei quartieri militari e lo sgombero della neve invernale. In mancanza di una rete idrica cittadina capillare, di capitale importanza era anche la funzione antincendio, perché per tutto il Settecento, e fino alla creazione di adeguati sottosistemi idrici cittadini, solo l'acqua che scorreva nelle strade poteva aiutare a fronteggiare il fuoco. (1.1)  Fino alla metà del XIX secolo, la direzione del canale spettò al Vicario, quale incaricato della pulizia urbana.

ALTIMETRIA

In mancanza di informazioni specifiche, non è facile delineare l’esatto profilo altimetrico di un canale cittadino, poiché le quote disponibili, di norma, sono riferite al piano stradale, mentre esso fluisce a profondità maggiori e variabili. Secondo una mappatura della metà del XIX secolo, il canale di Torino al partitore del Martinetto scorreva 2,30 m sotto il piano viario, 3,20 m a Porta Susa, tra 0,93 e 1,88 m al salto Martinolo e tra 1,88 e 2.30 m al salto Caffarel. (1.2)  La pendenza complessiva era modesta: stimato attraverso le quote stradali dedotte dalla Carta tecnica del Comune di Torino, il salto complessivo tra la Barriera del Martinetto (249 m.s.l.m.) e p.za Statuto (247 m.s.l.m.) risultava di circa due metri, sulla distanza approssimativa di 1.310 m. L’inclinazione media era dunque dell’ 1,5 per mille, ma una parte considerevole si consumava nel tratto iniziale, al Martinetto, lungo l'attuale allea alberata di via S. Donato.

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Fig. 1.2 - L’ottocentesca ‘Pianta di Torino colle curve orizzontali di livello’ consente un inquadramento geo-altimetrico di massima del canale. La conformazione delle linee isoipse, ben più ravvicinate in sponda sinistra che in quella destra, indicano che al Martinetto l'acqua proveniente dalla Pellerina aveva di fatto raggiunto il piano che si affaccia sulle basse di Dora, dove poi si manteneva. Il declivio è oggi assai meno evidente a causa della livellazione e dell’edificazione. Il digradare assai più dolce verso sud guidava il deflusso del canale del Valentino, indicato in mappa con tratto più chiaro.

Fonte: Elaborazione su ASCT, TD 64. 6. 13. (particolare)

PORTATA

Anche la portata del canale di Torino era relativamente limitata e soggetta a forte variabilità. (1.3)  Le 4 ½ ruote d’acqua (circa 1.500 l/sec) che la relazione Pernigotti (1840) stima necessarie per i bisogni diretti e indiretti soddisfatti dal canale paiono senza dubbio elevate, difficilmente raggiungibili in concreto e sovrastimate di un buon terzo rispetto a quanto indicato da altre fonti. (1.4)  Una mappatura della rete idraulica curata dalla Municipalità, risalente alla metà del XIX secolo, attribuisce al canale un volume d’acqua di 1.000 litri al secondo (con minimo di 380 l/sec) pari al 22% dei 4.500 in ingresso al molino del Martinetto. Dopo il partitore di via Vagnone, e il prelievo del canale del Valentino, la portata di quello di Torino si riduce a 600 l/sec (230 minimi), corrispondenti all’incirca all’acqua a disposizione della città, una volta diminuita dei prelievi irrigui dell'ultimo tratto. (1.5) Tale quadro è avvalorato sia da una descrizione del 1893, secondo cui la competenza del canale corrisponde ad un quarto della portata totale proveniente dalla Pellerina, sia da un rapporto del 1911, che rileva 1.000 l/sec immessi nel canale di Torino, e 350 l/sec in quello del Valentino. (1.6)

Volumi d’acqua e pendenza limitati hanno condizionato il potenziale dinamico e industriale del canale. Lo confermano i pochi cavalli erogati dai motori installati e la scarsa propensione ad autorizzarne altri, pena il rischio di temuti rigurgiti. In condizioni climatiche ben diverse da quelle attuali, il pericolo era maggiore nei mesi invernali quando, complici la scarsa velocità della corrente e le basse temperature, il ghiaccio galleggiante poteva danneggiare motori e opere; le gelate facilmente riducevano la portata, fino a ostruire del tutto il canale e fermare gli opifici con conseguenze gravi e facilmente immaginabili. (1.7Per tale motivo, dopo le concessioni di epoca napoleonica il Comune fu cauto nel rilasciarne di nuove. I lavori di ampliamento e miglioria, come l'abbassamento del fondo effettuato nel 1816 per accrescere la portata del canale, non furono risolutivi. 

1. Partitore

Il canale e il partitore della porta Susina

Agg. 11-03-2023

Il canale della porta Susina. Un "canalem porte Secuxine" collegato alla "bealeria Coleasche decurrentem a fica seu bichocha magne Durie usquem Padum"  compare già negli Statuti di Torino del 1360. Presumibilmente, prendeva il nome di "canale della porta Susina" il ramo della bealera Colleasca che entrava in città. Se inizialmente il toponimo indicava l'intero tracciato che percorreva l'abitato fino alla porta Fibellona (p.za Castello), corrispondente alla "Duria Magna que facit transitum per civitatem Thaurini", in seguito l'appellativo venne riservato al tratto iniziale, lasciando alla restante parte quello di Doragrossa. Nelle rappresentazioni cartografiche tardo cinque-

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Fig. 1.3 - Il ponte-canale in legno sorret-to da tre pilastri con il quale l'acqua en-trava nell'abitato scavalcando il fossato attorno le mura.                                                                     ASCT, CS 1977 (particolare)

centesche, le prime disponibili, si può osservare che il canale superava il fossato difensivo con un ponte-canale in legno. (fig. 1.3 e 1.4)  

 

Le sue acque entravano in città presso la torre nord della porta Susina e, attraversato in diagonale il carignone (isolato) di S. Dalmazzo, si ripartivano tra i decumani. Le Patenti del 27 novembre 1353, emanate da Giacomo di Savoia Principe d'Acaja, stabilivano che le acque della Dora che entravano nell'abitato attraverso la bealera Colleasca e il canale di porta Segusina per metà scorressero "senza impedimenti" lungo il canale e la strada centrale (ossia l'antico Decumano massimo) fino alla porta Fibellona; che un quarto di esse scorresse attraverso le rogge delle porte Nuova e Marmorea e il restante quarto attraverso quelle delle porte Pusterla, San Michele e Palazzo. La ripartizione era affidata a grandi e lunghe pietre marmoree da collocare presso il Cantone di San Dalmazzo, nonché presso il Cantone dei Beccuti e negli altri luoghi opportuni. L'ordine normava una ripartizione esplicitamente già ben consolidata e ne incaricava l'esecuzione Turineto di Castiglione e Martino, figlio del defunto Perroto Tintore, amministratori del Ponte di Po. (1.7a) Dal canale in legno della porta Susina l’acqua in eccesso cadeva nella bealera che scorreva nel fossato ai piedi delle mura. Raccolti gli scoli dei cunicoli della Consolata, di San Michele, di Porta Palazzo (Porta Palatina) e, in passato, quelli della porta del Vescovo, le acque uscivano dalla fortificazione al Bastion Verde; qui, unite a quelle provenienti dalla porta Fibellona, defluivano verso le campagne di Vanchiglia. (Fig. 1.4) (1.8)

Con ogni probabilità i flussi urbani erano limitati ad alcune occasioni e durante alcune ore della giornata, mentre negli altri momenti uno scaricatore deviava le acque verso i molini situati fuori porta Palazzo. Parecchie concessioni d'acqua quattrocentesche (rilasciate a Ribaldino Beccuti, Francesco e Probo Pietro Borgesio ed altri) lasciano intendere che l'acqua del canale irrigasse anche la campagna vicina alla porta Segusina stessa. (1.9)

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ASCT, CS 1977

(particolare)

Fig. 1.4 - All'inizio del XVII secolo le difese torinesi, nonostante gli ammodernamenti della Cittadella e dei grandi bastioni  angolari, non differivano troppo da quelle medievali. Si notino il ponte-canale della porta Segusina e la bealera che scende verso Porta Palazzo. L'acqua in eccesso dal ponte è scaricata nel fossato sotto le mura ed esce al Bastion Verde, dopo aver raccolto gli scoli dei tre scaricatori cittadini posti in asse alle vie delle Orfane, Milano e porta Palatina. (In basso nel disegno, da destra verso sinistra)

Fig. 1.5 - Il nuovo 'canale di bosco' dise-gnato dal Garove nel 1702 è lungo circa 40 trabucchi (125 m) e sezione quadrangolare di 2 piedi e 4 once di largezza (122 cm) per piedi 2 di netto (103 cm) d'altezza. Poggerà su colonne in legno «di longhezza trab. due e piedi due, et  di grossezza oncie otto in quadro, piantate a due ordini in distanza da un’altra colonna piedi due di netto». Le colonne, come pure il resto della struttura, sono previste inizialmente in legno di rovere, tuttavia nel disegno è annotato che S.A.R. in persona «desidera si mettino pillastri di zariccio [sarizzo] quali saranno di altezza trabuchi due incluso lo zoccolo». Nel progetto definitivo (1703) i pilastri saranno sedici.

Fonte testo e disegno: ASCT, CS 2008 (particolare)

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Fig. 1.5a - Il "Tipo" di A. Bertola risale  al 1708, ma illustra l'assetto precedente all'espansione sei-settecentesca della Fortificazione, e sovrapposto alla planimetria attuale del territorio permette di collocare con buona precisione alcuni elementi storici. Abbandonata la porta Segusina, la strada di Collegno segue il sedime di via Garibaldi, spostandosi leggermente a nord dopo via Bligny e proseguendo in linea retta verso ovest tra le vie Cibrario e S. Donato. La bealera che entra in città costeggia la strada superando le mura poco sopra la porta, mentre il ramo che scende verso i molini di Dora e porta Palazzo si stacca nell'isolato delimitato dalle vie Garibaldi, Bligny, del Carmine e Piave, nell'area oggi della chiesa di Maria Santissima del Carmelo.                                                                                                       (17-12-2022)

Disegno: "Tipo dei beni che possedevano i padri di S.Agostino, fuori della Porta Susina", AST, Riunite, Carte topografiche e disegni, Ufficio generale delle finanze, Tipi Sezione II Ufficio generale delle finanze, Torino

Un nuovo "canale di bosco" fu costruito sopra il fossato esterno alle mura di Torino su disegno dello arch. Michelangelo Garove nel 1702. L'opera si collocava nel potenziamento delle fortificazioni avvenuto tra il XVII e il XVIII secolo in vista dei della Guerra di successione spagnola e dell'assedio del 1706. (fig. 1.5) L'approvvigionamento idrico della città trovò una sistemazione definitiva dopo la fine dei combattimenti e con il completamento del terzo e ultimo ingrandimento urbano. La formazione della città-fortezza e i nuovi sistemi di cortine e rivellini rendevano più complesso il reticolo dei fossati difensivi e quindi il loro superamento. Nel nuovo assetto, l'acqua superava i baluardi a lato della nuova porta Susina, ora traslata a nord, con un alternarsi di ponti-canali e passaggi sotterranei. Allo stesso tempo, il partitore cittadino fu arretrato in fronte ai Quartieri Militari di San Celso e San Daniele. (Figg. 1.6 e 1.7) Dopo l'abbattimento delle mura e l'interramento dei fossati difensivi ordinato da Napoleone Bonaparte, non si fece più menzione di un canale della porta Susina, poiché l'acqua entrava ormai in città senza interruzioni attraverso il canale di Torino. E' interessante notare che con la scomparsa della porta occidentale settecentesca, la nuova grande strada di Francia, che era perfettamente allineata con essa, fu riportata sulla storica direttrice di via Doragrossa/via Garibaldi.

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Fig. 1.6 - Ragioni strategico-mili-tari hanno determinato lo sposta-mento a nord della porta Susina, inserita in una cortina tra due bastioni con rivellino in fronte. Il disegno risale forse a un progetto tardo settecentesco del Ferroggio per la ristrutturazione del condotto che, percorrendo il fossato setten-trionale della fortificazione, ali-menta un bacino per la formazione del ghiaccio tra porta Palazzo e il bastione detto delle Ghiacciaie (o di S. Avventore). Durante l'inverno, per negligenza dell'appaltatore del-le ghiacciaie nel rompere e levare il ghiaccio una volta riempito il baci-no, la bealera tende a strari-pare e allargare i fossati retroce- 

dendo fino alla Cittadella, con grave pregiudizio delle opere murarie e delle gallerie sotterranee. Il progetto prevede una ristrutturazione generale della presa e della distribuzione delle acque, nonché la parziale copertura della bealera, impedendo «di gettare in essa immondizie e perfino i cadaveri di cani e gatti, come si è sempre fatto». L’inconveniente pare massimo in estate, quando vi si smaltiscono le evacuazioni dei pozzi neri, o tampe, delle case vicine, essendo proibito gettare le materie immonde nelle acque scorrenti per le contrade. Il danno non riguarda solo gli abitanti del borgo, ma, ben peggio, anche il giardino e i palazzi regi. Secondo il progetto invece «coll’otturamento di tutti i tubi, sfori, e discaricatori che introducono le materie feciose delle case confrontanti, si verrebbe a eliminare i predetti inconvenienti, rendendo l’acqua del Giardino reale sempre chiara e pura come la si introduce in Città». Il tracciato,  esistente, del canale della porta Susina è indicato in rosso dalle frecce.

 Fonti: Testo, ASCT, CS 2713 - Immagine, ASCT CS 2008 (particolare)

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Fig. 1.7 - L'attraversamento delle fortificazioni da parte del canale che introduce l'acqua in città alla porta Susina. (sezione)                                                                                                                                      Fonte: ASCT Cs2008 (particolare)

Il partitore delle acque in città. Sin dal Medioevo, e per secoli, il partitore cittadino delle acque è rimasto dietro la chiesa di S. Dalmazzo, lungo la contrada di Doragrossa, a pochi passi dalla porta occidentale. (1.10) (fig. 1.5) Una richiesta dei padri del collegio di San Dalmazzo di abbellire la facciata della chiesa e ampliare la piazzetta adiacente informa che nel 1701 l'opera è ancora presente e attiva, (1.10a) e solo con la sistemazione urbana di primo Settecento essa venne arretrata di circa quattrocento metri. Il nuovo "casotto partitore" fu realizzato nel 1712, contestualmente alle caserme di San Celso e San Daniele, al margine di sud-ovest della piazza antistante ad esse. La sua funzione era sempre la ripartizione delle acque che scorrevano per le contrade cittadine, ed entrambi, doire e casotto, erano considerati degni di nota sia dai resoconti di viaggio che dalle guide turistiche per i forestieri. (1.11)

 

Dopo la copertura delle doire cittadine (avvenuta dopo il 1844) la ripartizione delle acque venne arretrata in piazza Statuto, in una nuova struttura collocata circa 25 metri a ponente della piramide Beccaria, riducendo di circa 500 m la lunghezza del canale di Torino. Essa continuò a svolgere le consuete funzioni, che il cav. S. Berruti, in un rapporto del 1859, così elencava:

« [il partitore di Porta Susasomministra: 1° l'acqua pel nettamento della città, per lo sgombro delle vie dalla neve, per l'estinzione degli incendi e per altri usi simili; 2° l’acqua che va all'Arsenale per far muovere i vari opifici ivi esistenti; 3° l'acqua destinata al giardino del Re; 4° l'acqua necessaria pel movimento d’una ruota a tamburo, motore di quattro trombe idrauliche, che elevano da un pozzo l'acqua per la fontana di Santa Barbara», primo embrione dell'acquedotto torinese. «Dopo d'aver servito l'Arsenale passa ad attivare una ruota nella casa propria dell'Opera Pia di S. Paolo vicina alla piazza Carlo Felice, un'altra nella casa Consul per un'officina industriale, un'altra nella casa Garneri in piazza Bodoni, un'altra posta sul canale sotterraneo alla via dell'Arcivescovado, in prospetto al teatro anatomico, la quale fa agire quattro corpi di trombe idrauliche in apposito gran pozzo, elevando un sufficiente corpo d'acqua per alimentare diversi getti alla fontana sul contiguo passeggio del baluardo di mezzogiorno, alcuni getti nel caffè dello stesso passeggio ed altri nell'interno del laboratorio anatomico». (1.12)

   

Fig. 1.8 - Il nuovo "casotto partitore" delle acque stato è realizzato nel 1712, al margine meridionale della piazza dei Quartieri militari juvarriani, nel sito oggi corrispondente al n° 3 di corso Palestro. Nella prima metà dell'Ottocento è alimentato dal canale di Torino. Nonostante gli anni passati dall'abbattimento delle fortificazioni, la cesura tra città campagna ancora netta. Nella semplificazione della mappa, le acque del canale si dividono in due soli rami: il sinistro attende al Giardino reale e agli usi pubblici, il destro al Regio Arsenale. Fuori la porta, noti la grande fabbrica della Majolica di cui si dirà avanti.

Fonte: ASCT, 1835, Sim D85 (particolare)

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Fig. 1.7 - Nel disegno di Torino di G. Carracha (1572) sussiste il partitore medioevale dietro la chiesa di San Dalmazzo. Il canale entra in città passando a lato della porta Susina, attraversando in diagonale il 'carignone' (isolato) dedicato al santo omonimo. La porta romana sarà comple-tamente abbattuta nel 1585, in occasione dello arrivo di Caterina d'Austria, sposa di Carlo Ema-nuele I, dopo che la torre settentrionale era già stata demolita per ordine di Emanuele Filiberto.

Fonte: ASCT, Sim D11(particolare)

N1

Note 1

1.1 - A tal proposito, si veda l'episodio annotato da  Francesco Soleri nel suo Diario: il 20 gennaio 1716, nonostante gli sforzi profusi, «un coperto delle quattro torri del Castello di M.R.» fu completamente distrutto dal fuoco «non essendosi potuto haver acqua nella Città a causa che per il gran freddo l'acqua della bealera che conduce la medea nella Città era totalmente congelata». Cfr. D. Rebaudengo, Torino Racconta. Diario manoscritto di Francesco Ludovico Soleri, dal 22 marzo 1682 al 27 febbraio 1721, e il giornale dell'assedio del 1706, Albra Ed., Torino, 1969, p. 286. Nei giorni più freddi dell’inverno le strade della città facilmente ghiacciavano (!) e  nel corso del Settecento, una piccola vena d'acqua di quella introdotta in città veniva scaricata tramite un bocchetto nel fosso della fortificazione, cosicchè in caso di incendio si potesse immediatamente prelevarla e introdurre nell'abitato un flusso di acqua corrente . Cfr. ASCT, CS 2713) NB: La descrizione delle funzioni del canale è riferita alla metà del XIX secolo. Cfr. Progetto per la ripartizione delle acque del fiume Dora Riparia, Tipografia Chirio e Mina, Torino, 1851, p. 348. (Relazione Pernigotti).

1.2 - ASCT, TD 12. 1. 90.

1.3 - La stima storica della portata delle canalizzazioni derivate dalla Dora Riparia è resa incerta sia dalla forte variabilità, anche oraria, della portata del fiume, sia dalla scarsa qualità delle rilevazioni del passato, spesso di tipo spot, anziché costituite da serie storiche che coprono un lasso di tempo adeguato a calcolare valori medi statisticamente più pregnanti.

1.4 - La portata indicata dal Pernigotti corrisponde al 24% delle 18 ruote d’acqua complessive necessarie al partitore del Martinetto per il buon funzionamento dei mulini, degli opifici e del sistema idraulico cittadino. Va considerato che il riparto Pernigotti ha un valore innanzitutto normativo, e che non prevede riduzioni per il canale di Torino, considerato una ramificazione di quello del Martinetto. Le misurazioni effettuate il 26 marzo 1840, peraltro in un momento di acque molto basse dovute a prolungata siccità, registrano la presenza di due sole ruote d’acqua, meno della metà di quelle ritenute necessarie. Il dato per un verso sottolinea le gravi conseguenze patite dal sistema idraulico torinese in mancanza di piogge, e quindi l'esigenza vitale di una ripartizione delle acque che salvaguardi gli interessi cittadini, e per l'altro conferma la costanza della quota d’acqua assorbita dal canale di Torino nelle diverse condizioni del fiume, oscillante tra il 20 e il 25% del flusso entrante al Martinetto. Cfr. Progetto per la ripartizione delle acque del fiume Dora Ripariacit, p. 135.

1.5 - ASCT, TD 12. 1. 90.

1.6 - Ufficio d’igiene di Torino, Torino e le sue acque: estratto del rendiconto dell’ufficio d’igiene per l’anno 1893, a cura di Candido Ramello, Botta, Torino, 1895, p. 36 e Città di Torino, Corpi delle guardie e dei pompieri municipali, Dimostrazione grafica e relativa descrizione dei canali scorrenti nel sottosuolo della Città compilato dal Comandante i Corpi delle guardie e dei pompieri municipali, coadiuvato da distinti graduati, Vassallo, Torino, 1911.

1.7 - Per quanto la mancanza d'acqua fosse realmente onerosa per le imprese, costrette a mantenere inattivi i dipendenti, le lamentele non erano sempre giustificate (Cfr., ad esempio la Supplica al Vicario presentata Sig.ri Caffarelli, Martinolo e Borcano affinché non vengano lasciati senz'acqua, ASCT, CS 5663).

1.7a - ASCT, CS 1884.

1.8 - ASCT, CS 2241)

1.9 - ASCT, CS 1899.

1.10 - Cfr. tra gli altri M. Viglino Davico, La città e le case, in: Torino tra Medioevo e Rinascimento, dai catasti al paesaggio urbano e rurale, a cura di R. Comba e R. Roccia, Archivio Storico della Città di Torino, Torino, 1993, p. 216-217, e Patenti di Giacomo di Savoia del 27 novembre 1353, ASCT, CS 1884.

1.10a - Il progetto dei padri barnabiti di San Dalmazzo prevede l'abbattimento di una muraglia e la copertura del condotto dell'acqua «con lose e pietre forti in modo che l’acqua habbi il suo libero discorso anche in casi di gelo o di bisogno di purgare dett’alveo, o sia acquedotto, che le pietre suddette siano in modo, che resti facile l’ammossione luoro, e mettere tutt’al longo piccole colonne di pietra per impedire il passaggio per essa piazzetta di carri, e carrozze, offrendosi loro di mantenere per sempre dette pietre e coperto detto acquedotto a luoro spese, e di lasciar il castello o sij in qual si fa la distribuzione  dell’acqua, e di dare alla città tutte quelle cautele che saranno stimate necessarie per detta amutenzione...». La Congregazione approva in data 1 dicembre 1701, considerando anche che l’intervento determina una abbellimento della Città. ASCT, Ordinati 170, pp. 118 130, 175.

1.11 - Cfr. G. Craveri, Guida per forestieri della Reale Città di Torino, Domenico Rameletti Editore, Torino, 1753, p. 96 e O. Derossi, Nuova guida per la Città di Torino, Torino, 1781, p. 91.

1.12 - S. Berruti, Idrologia torinese, in: Giornale della R. Accademia medico-chirurgica di Torino, anno XIII, Vol. XXXV, Torino, 1859, pag. 446 e segg. 

2. Origini

2. Le origini

L'origine del canale di Torino è relativamente recente. Pur discendendo senza soluzione di continuità dalla bealera Colleasca, la più antica derivazione torinese che fin dall'epoca medievale riforniva l'abitato attraverso il canale della porta Susina (vedi scheda) l’appellativo e la morfologia del canale propriamente detto "di Torino" risalgono alla prima metà del Settecento. E precisamente al 1728-29, quando la bealera dei molini del Martinetto, ricostruiti un paio di miglia ad ovest della città dopo l'assedio del 1706, viene prolungata verso Valdocco e i molini di Dora, lasciando a Torino e al "suo" canale la parte restante del flusso proveniente dalla Pellerina.

Il nome della bealera

Come di consueto, la toponomastica delle canalizzazioni torinesi può dare adito a fraintendimenti. Il tracciato del canale di Torino corrisponde in prima approssimazione a quello della antica bealera Colleasca, poi canale del Martinetto. Nel Settecento tale nome passa al rinnovato corso d'acqua che, proveniente dalla Pellerina, scende dal molino del Martinetto verso Valdocco e i molini di Dora. In tale contesto, il più modesto flusso che continua verso l'abitato prende il nome di canale di Torino. L'appellativo, tuttavia, non è del tutto nuovo, seppure riferito a canalizzazioni talora non facili da identificare. Esso compare già nel resoconto sulle derivazioni della Dora Riparia redatto nel 1691 dal conte Camillo Luigi Richelmi, forse riferito al solo tratto successivo allo  snodo del canale del Valentino, altre volte indicato invece quale canale di Valdocco. Canale della porta Susina era infine il nome talora assunto dall'ultimo tratto.

IL CANALE PRIMA DEL CANALE (SEC. XVII)

Il riassetto è ben illustrato dalla  cartografia storica. Al centro del disegno seicentesco riportato nella fig. 2.1 è la bealera del Martinetto, così importante che l’autore non ha ritenuto necessario indicarne il nome. Il canale di Torino non compare, ma in futuro ne seguirà la direttrice e l'alveo. La bealera entra in città dopo aver irrigato capillarmente le campagne fuori la porta Segusina e fatto girare le ruote idrauliche dei molini da grano del Martinetto e di un martinetto da ferro e rame. A ridosso della porta una parte delle acque scende verso i molini municipali di borgo Dora, che però dispongono di una propria derivazione. Superato il ponte-canale in legno gettato sul fossato attorno le mura, il flusso si divide in sette doire che, tre a sinistra e tre a destra dell'antico decumano romano massimo, detto ora contrada di Doragrossa e in futuro via Garibaldi, attraversano la città da ovest a est. La bealera del Martinetto alimenta anche la bealera dei Canonici del Capitolo di San Giovanni che, fungendo anche da scaricatore del sistema idrico cittadino, gira stretto al piede dei due bastioni settentrionali e va irrigare le ampie proprietà che il Capitolo detiene in Vanchiglia. Essa, indicata in fig. 2.1 quale bealera "vecchia" e bealera "nuova", raccoglie le acque provenienti dai molini di Dora e quelle che fuoriescono dalle porte S. Michele, Palazzo e Fibellona, acque particolarmente adatte alla irrigazione e fertilizzazione dei prati poiché raccolgono gli scarichi fognari cittadini.

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Fig. 2.1 - Il 'Disegno dimostrativo del corso delle acque della Dora con la chiusa di Pellerina', di mano anonima, è attribuito alla prima metà del Seicento e costituisce la più antica rappresentazione grafica delle canalizzazioni torinesi. (Cfr. anche il canale della Pellerina). Si distinguono il "martinetto da ferro" che andrà distrutto durante i fatti di guerra del 1640, le tre ruote idrauliche dei molini del Martinetto ancora nella loro collocazione originaria e una fornace di mattoni, forse una di quelle che, secondo il conte Camillo Richelmi, «prendono dal canale l’acqua necessaria per la fabbricazione di mattoni che si travagliano nella reggione di Valdoc per servizio delle fabbriche di S.A.R. e della Città». (2.1) Nel disegno è abbozzato anche la canalizzazione che raggiunge il giardino del palazzo ducale  di Torino, indicata come "Rozza del giard. di S.M.'; essa passa sotto una strada e sotto il molino, tuttavia attraversa il canale su una struttura ad archi, lasciando intendere che quest'ultimo scorra a un livello sensibilmente inferiore al suolo. 

Fonte: ASCT, CS 1977 (particolare)

IL DISEGNO DEL CANALE (SEC. XVIII)

La carta dell'ing. Carlo Antonio Bussi, risalente al 1748-49, (fig. 2.2) ben sintetizza le trasformazioni della bealera del Martinetto: tanto quelle dovute alla ristrutturazione che ne ha deviato il corso verso borgo Dora, quanto quelle, precedenti, legate gli eventi bellici di inizio secolo e all’ampliamento juvarriano. Il canale di Torino si snoda ora dai nuovi molini del Martinetto alla porta Susina, alimentando lungo il tracciato sia il canale del Valentino, sia la bealera detta 'degli orti e prati'. (2.2) Il primo si dirige a sudest, la seconda bagna i terreni di Valdocco seguendo la direttrice della bealera, ormai soppressa, che dalla porta Susina raggiungeva i molini di Dora. Le campagne occidentali continuano a essere irrigate capillarmente, mentre il martinetto da ferro è scomparso a causa della guerra.

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Fig. 2.2 - Il 'Tipo dimostrativo del corso della bealera del Martinetto, e sue diramazioni', dell'ing. Carlo Antonio Bussi è datato 27 gennaio 1749. (2.3) La cascina Bianco, nucleo originario del futuro polo abitativo del Brusacoer, costituisce il principale snodo idraulico lungo il canale di Torino, da cui si dipartono quello del Valentino e la bealera detta degli orti e prati. La cascina è anche il maggior crocevia di una rete stradale che raggiunge le molte proprietà rurali e i due centri nascenti della protoindustria: il nucleo manifatturiero attorno ai molini del Martinetto e la 'fucina delle canne da fucile di Sua Maestà'. Il 'Martinetto' è raggiunto da due strade che si diramano entrambe da quella di Collegno e costeggiano il canale di Torino su due differenti livelli. La 'strada del Martinetto inferiore alla rippa' risale all'epoca medioevale, è la più antica e la principale; in terra battuta e carreggiabile, è larga circa 4 metri e mezzo e collegata al «borgo del Ballone»; oltre i molini essa si sdoppia proseguendo sia verso la presa della Pellerina,  sia verso un possibile guado; come il nome suggerisce, essa transita sotto l'alta ripa che declina dal pianalto sovrastante. La seconda, la ''strada superiore del Martinetto', segue la sponda destra del canale ed è stata tracciata dopo l'edificazione dei molini. (2.4

Fonte: ASCT, CS 2055, 1749 (particolare)

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Il martinetto da ferro di Giò Batta Merlino in Valdoch

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LE ORIGINI

Ultimo aggiornamento: 19-02-2024

Risale al 26 settembre 1608 l’atto con cui la Città di Torino concede a Giò Batta Merlino, cittadino torinese, «facoltà e licenza» di costruire su un terreno municipale «poco distante et alquanto al di sopra del Mollino del Martinetto un artifizio et ingegno per poter camossar pelli». (2.5) L’autorizzazione viene rilasciata dopo un’attenta verifica che “l’artifizio” non leda interessi pubblici, né privati. Il terreno misure tre giornate e mezzo di superficie (13.300 mq) e si trova fuori la porta Susina tra la bealera del Martinetto e la strada detta di Valdoch. (2.6) Esso confina con le proprietà degli eredi del fu Alberto Gastaldo, del conte Rippa (su due lati), del Capitolo metropolitano dei canonici di Torino e con la bealera. (2.7) Da altro documento, si desume che il perimetro complessivo del fabbricato è di trentaquattro trabucchi, pari a 105 m. (2.8)

Viene altresì concesso al Merlino l’uso dell’acqua di un bocchetto irriguo proveniente dalla bealera. Gli è fatto espresso divieto di «diminutione, alteratione o diversione d’essa che potesse portar pregiudizio al molino del Martinetto et particolari che si servono di detta acqua per adaquamento di luoro prati et che non possi esso Merlino alterar detto bochetto ne estraher per esso ne altrimenti magiori quantità d’acqua di quella che è solita discorrer per esso bochetto». Il canone, considerato che il sito è che gerbido sassoso, è fissato pari a quattro ducatoni, per una durata di dodici anni a partire dal giorno di S. Martino. (2.9)

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Fig. 2.3 - L’edificio del Merlino si trova sul margine del pianalto che scende verso le basse di Dora, tra la bealera del Martinetto e la strada che, diramandosi da quella di Collegno e costeggiando il canale, raggiunge il "ponte" e la "strada del Cou". Ben visibile in sponda sinistra della bealera, i suoi 'ingegni' sono alimentati dall’acqua «che discorre per il bochetto che si cava dalla bealera del Martinetto et discorre verso li prati di alcuni particolari che sono nella reggione detta valdoch».

Fonte: ASCT, CS 1977 (particolare) 

Il terreno è stimato «inutile ed infruttuoso» per la comunità, ma l’autorizzazione è motivata innanzitutto perchè la tecnica di concia che il Merlino intende praticare «resta introdutta di novo in questa città, et a beneficio d’essa, che con progresso di tempo porterà utile et benefficio universale». Tuttavia una decina d’anni dopo, nei documenti di una controversia insorta con uno dei proprietari dei fondi confinanti, Battista Merlino è indicato quale titolare, da una decina d’anni, di una «fusina da ferro… con una roda qual ha apoggiato, et affisso nella ripa dila bialera dilo Martinetto, ò sia del bochetto per qual scorre l’aqua di detta bialera». (2.10)  

La scamosciatura delle pelli non è citata in nessun documento successivo a quello del 1608; sembra quindi che tale lavorazione non abbia avuto successo e forse nemmeno abbia avuto inizio. Non è noto quando e per quale motivo il Merlino abbia cambiato attività trasformando il follone da pelli in martinetto da ferro, ma successivamente sarà definito sempre come “mastro ferraro”. In ogni caso, l’opificio continuerà a funzionare fino al 1639, quando andrà distrutto nel corso della guerra civile tra “principisti” e “madamisti”, culminata nell’assedio della città. E dopo la fine delle ostilità non sarà più ricostruito.

Alcuni anni dopo, nel 1648, la Municipalità pare interessata a utilizzare l’opificio per lavorarvi il rame, pratica fino ad allora svolta a Savigliano con elevati oneri di trasporto e pedaggio. Tuttavia il progetto è subordinato alla fattibilità economica. I costi delle riparazioni non sono ritenuti proibitivi, ma è necessario procedere all’acquisto di ciò che resta dell’edificio. (2.11La concessione originaria, infatti, contemplava il solo uso del terreno, mentre spianamenti, fabbricato e “ingegni” rimanevano a carico del Merlino; ma al termine della locazione la Città si impegnava a rilevarli rimborsando all'imprenditore i costi sostenuti. Si aprirà così una lunga trattativa con Francesco Merlino, erede della proprietà dopo la morte del padre, che si concluderà in modo positivo solo nel 1652; (2.12) ma la ristrutturazione progettata non andrà comunque in porto. 

UN IPOTESI DI GEOLOCALIZZAZIONE

La mancanza di proporzionalità tra le distanze reali e quelle rappresentate nel disegno rende difficile la collocazione del martinetto tentando la sovrapposizione alla cartografia e alle fotografie zenitali attuali. Tuttavia, è possibile formulare una qualche ipotesi in merito considerando la morfologia della bealera del Martinetto. La curva verso nord, effettuata poco prima dell'opificio, pare localizzarlo nel perimetro oggi definito dalle vie San Donato, Pinelli, Galvani e Saccarelli, indicato in rosso nella fig. 2.4. La curvatura stessa, deviando verso il declivio, sembra servire ad aumentare la velocità e il potenziale dinamico delle acque. L'ansa in cui è posto l'edificio non compare nelle mappature successive poiché sarà cancellata dalla rettifica della bealera avvenuta nei primi anni del Settecento. Tuttavia, fino al allora, il vecchio tracciato voltava verso sud, seguendo per un tratto l'alveo che diverrà del canale del Valentino, come è indicato nella fig. 2.4, disegnando così l'ansa stessa.

 

Dopo la distruzione dovuta alla guerra, del martinetto da ferro si perdono le tracce; ma all'interno dello stesso perimetro, nel 1800, all'incontro delle vie Pacinotti e Vagnone, nella località detta del Brusacoer, verrà installata la conceria dei fratelli Martinolo, che motivi di compatibilità idraulica e morfologica lasciano ipotizzare abbia sfruttato proprio il salto del precedente opificio.

 

Queste ipotesi richiedono forse ulteriori conferme, anche altimetriche, ma certamente non semplificano, bensì ampliano, l'interpretazione territoriale del luogo noto come "il Martinetto". L'espansione si manifesta sia verso est, in direzione della città, dove nelle vicinanze dell'attuale piazza Statuto, fino all'inizio del XVIII secolo, sorgevano i mulini da grano detti per l'appunto del Martinetto, sia verso ovest e la fine dell'attuale via S. Donato, dove furono spostati dopo la loro distruzione avvenuta nel corso dell'assedio di Torino del 1706. 

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ASCT, CS 1977

Fig. 2.4 - Nel disegno seicentesco il martinetto da ferro del sig. Merlino è collocato in un ansa formata dal canale diretto verso la città, tra la sponda sinistra del canale stesso e la strada che lo costeggia. L'impronta di tale ansa disegnata nell'assetto urbanistico attuale è chiaramente visibile nella Fig. 1.1. Nonostante le numerose modifiche subite dal corso d'acqua il confronto tra la mappa seicentesca e la fotografia aerea suggerisce la possibile collocazione dell'opificio nell'area nota come il 'Brusacoer', supponendo che esso sfruttasse lo stesso salto d'acqua in seguito utilizzato dalla conceria dei fratelli Martinolo. Attualmente l'impianto sarebbe quindi collocabile all'angolo tra le vie Pacinotti e Vagnone. Nel XVII secolo, la bealera seguiva l'alveo poi divenuto del canale del Valentino, formando quindi un arco rivolto a sud di maggior ampiezza rispetto ad oggi, rafforzando quindi l'ipotesi sulla localizzazione del martinetto. La rettifica del canale lungo l'attuale via Pacinotti risale all'epoca dell'assedio del 1706.

N2

Note 2

2.1 - ASCT, CS 2000, Atti di visita della Dora, e Testimoniali di stato delle beallere che dalla medesima si derivano, sottoscritti dal Signor Conte Camillo Luiggi Richelmi, del 14 maggio 1691. Va notato che, con i cantieri delle fortificazioni in piena attività, alle fabbriche di mattoni in quel momento non mancava il lavoro, e, stante il valore strategico delle produzioni, non venne imposta loro alcuna riduzione d'acqua, nonostante la grave siccità.

2.2 - Il nome della canalizzazione è ricavato da altra carta, coeva, sempre del Bussi. (ASCT, 1749, CS 2051).

2.3 - Per ulteriori dettagli si veda il canale della Pellerina.

2.4 - Anche in questo caso, i nomi delle due strade  sono tratti dalla carta CS 2051.

2.5 - Ossia per scamosciare le pelli, una tecnica di concia all'olio innovativa che permetteva di ottenere una superficie esterna morbida e vellutata come quella di un camoscio. Si può quindi desumere che la macchina concessa al Merlino fosse un follone. 

2.6 - L'accezione del toponimo Valdocco, al tempo, era ben più ampia e comprendeva, di fatto, l'intero territorio tra borgo Dora e la Pellerina, incluso quello che diverrà poi S. Donato, dove si trovava l'edificio. 

2.7 - ASCT, Atti Notarili 1608, p. 12.

2.9 - ASCT, Atti Notarili 1652, p. 4.

2.10 - ASCT, CS 4027.

2.11 - ASCT, Ordinati 168, pp. 74v-75.

2.12 - La Città, infatti, richiedeva da Francesco Merlino i canoni non versati dopo il 1639 a causa della distruzione del martinetto. Il Merlino a sua volta vantava un credito di 46 lire e 10 soldi, derivante dall'attività dell'opificio e da lavori commissionati dalla Città stessa. Egli inoltre chiedeva l'acquisto delle muraglie residue e il rimborso delle spese sostenute per gli spianamenti della riva. Dopo lunghe trattative, l'accordo verrà raggiunto con il pagamento di 75 lire da parte della Città di Torino a Francesco Merlino, con la rinuncia di questi a ogni altra pretesa. ASCT, Ordinati 1652, p. 55 e segg. E Atti Notarili 1652.

3. Opera

3. L'opera di presa

LA STRUTTURA ORIGINARIA

In origine la ripartizione delle acque provenienti dalla Pellerina avveniva dietro il mulino del Martinetto, regolato da una semplice coppia di balconere: quella di sinistra indirizzava il flusso verso i molini e il canale del Martinetto, quella di destra verso il canale di Torino. (fig. 3.1) Secondo le 'Testimoniali di visita e stato' del novembre 1748, il canale che porta l’acqua in città nasceva dal «bochetto lateralmente la bealera, nella spalla inferiore della balconera del molino, qual bocchetto è formato nelle sue spalle di due pietre di taglio con altra in mezzo formante dividicolo, e con due porte di larghezza d'oncie ventuna caduna, una delle quali alzata e l’altra interamente chiusa». (3.1)

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Fig. 3.1 - Nel disegno settecentesco del Bussi, al Martinetto l'acqua del canale di Torino è derivata attraverso una balconera (n° 43) e una struttura analoga (n°35) regola quella verso il canale principale.

Fonte: (A lato) ASCT, CS 2055 (particolare) e (sotto) TD 16.1.5 (particolare). 

Fig. 3.2 - Una pla-nimetria del 1780 mos-tra più in dettaglio la ripartizione: gran parte delle acque della Pelle-rina cadono sui cami-nassi delle macine con-trollate dalla balco-nera di sinistra, mentre il restante flusso è introdotto nel canale di Torino da quella di destra.

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LA RELAZIONE PERNIGOTTI

Nel 1840, l'indagine della commissione Pernigotti conferma l’architettura settecentesca di ripartizione, fornendone precisa misura. (Fig. 3.3) La presa di sinistra, rivolta verso le ruote del mulino e della pesta da canapa, è divisa in sette luci di larghezza media di 54 cm; quella di destra, rivolta verso il canale di Torino, è dotata di due aperture di 0,90 e 0,86 m. di larghezza. (3.2) Si conferma che l'ampiezza dell’imbocco permetterebbe di prelevare un maggior volume d’acqua; di norma una delle porte rimane completamente chiusa e l’altra bloccata a 40 cm di altezza, cosicché il flusso verso l’abitato, alla bisogna, possa essere aumentato alzandola ulteriormente. 

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Fig. 3.3 - La planimetria allegata alla relazione del Pernigotti conferma la ripartizione originaria delle acque; il canale del Martinetto si insinua tra i 'caseggiati' della pista da canapa e del molino; le sette ruote assorbono gran parte del flusso, mentre il canale di Torino prosegue verso l'abitato passando alle spalle del molino stesso.

Fonte: ASCT, TD 12.1.51

IL NUOVO PARTITORE

Il partitore del Martinetto viene riprogettato e arretrato alla fine dell’Ottocento. La struttura esistente, per varie ragioni, non funziona a dovere e la suddivisione delle acque risulta approssimativa, nonostante la continua vigilanza del custode, e solleva le proteste di molti. Le accuse di prelievi illeciti sono all’ordine del giorno e non risparmiano la Città. La cessione a privati dei molini municipali del Martinetto rende improcrastinabile la realizzazione di un'opera che rispetti le competenze d'acqua legalmente acquisite sul salto dai nuovi fruitori: il cuoificio Azimonti, la fucina da ferro Laurenti e il molino Feyles. (3.3) Essi, però, non si accordano sui costi e si passa a vie legali. Il Presidente del Tribunale di Torino, con ordinanza del 6 luglio 1893, incarica l’ing. Ernesto Camusso di elaborare un progetto che soddisfi i diritti e  i titoli di ognuno. Nella perizia depositata il 31 gennaio 1894, egli constata che, stanti i salti e i motori idraulici esistenti, la  struttura attuale non può in nessun caso assicurare l'equa e regolare suddivisione delle acque tra i privati, né tra questi e il canale di Torino. Propone quindi la realizzazione di un’opera a ripartizione automatica, che operi in modo oggettivo e superi sospetti, recriminazioni e lagnanze, peraltro spesso ritenute pretestuose. Il dispositivo si basa su «uno stramazzo misuratore con relativo calice a monte di tutte le divisioni, della lunghezza di m. 40, diviso in quattro parti proporzionali alla competenza spettante ad ognuno degli utilizzatori», preceduto da «uno sfogo a caduta libera, in modo da rendere indipendente l’efflusso in ogni circostanza del canale adduttore». (Fig. 3.4) Per non compromettere i salti in essere, né alterare la proporzione con il canale di Torino, la nuova struttura dovrà essere arretrata a monte, in uno spazio compreso tra la strada a ponente di una proprietà privata e la cinta daziaria. (3.4)

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Figura 3.4 - Progetto per il nuovo partitore del Martinetto. Il calice dello stramazzo è diviso in quattro parti: le prime due, sulla sinistra, assegnano agli opifici Laurenti e Azimonti il 27,1% ciascuno della portata in ingresso; le altre due, sulla destra, ne indirizzano il 21,5% verso il molino Feyles e il restante 24,3% verso il canale di Torino. Davanti alla struttura è prevista la formazione di un salto a caduta libera che, scaricando l'eccesso, regolarizza il flusso che entra nel partitore, rendendolo indipendente da quello dell'adduttore, ossia dal canale della Pellerina. 

Fonte: ASCT, AA.LL.PP. - Ponti canali fognature, 69/5

La Giunta municipale del 22 novembre 1894 mette a bilancio L. 4.000 quale contributo alla realizzazione  dell'opera in forza della competenza esercitata sul canale di Torino. I privati però ritengono troppo oneroso il progetto, il cui costo è stimato non inferiore a L. 20.000. Ne viene quindi commissionato un secondo all’ing. Enrico Bonelli che, pur ricalcando per grandi linee quello del Camusso, comporta sensibili risparmi; il Camusso stesso lo approva apportando piccole varianti. Le parti però non trovano ancora un'intesa e la trattativa prosegue; il progetto definitivo, a firma Bonelli, raccoglierà il consenso generale in virtù di un'ulteriore riduzione della spesa. Se ne decine quindi l'esecuzione, seppure un successivo esame aggiorni il preventivo da L. 8.733 a L. 9.500. Il contributo municipale di L 4.000 è confermato dalla Giunta del 27 maggio 1896 e ratificato dal Consiglio il 3 giugno successivo, lasciando ai privati l’onere delle restanti 5.500 lire. La Città assume la responsabilità dei lavori e Il 7 dicembre dell'anno successivo il nuovo partitore è collaudato con successo dall’ing. Camusso. (3.5) L'opera però non risolverà del tutto le controversie. Nonostante la suddivisione automatica, all’imbocco del canale di Torino è stata applicata una coppia di saracinesche mobili; di norma esse rimangono chiuse ma, in virtù degli antichi diritti di prelazione, il Municipio conserva la facoltà di alzarle per prelevare un volume d'acqua superiore a quello tracimato per sfioramento, scatenando, veementi e immediate, le proteste degli utilizzatori del canale del Martinetto. (3.6)

LE COPERTURE DEL NOVECENTO

Negli anni Venti del secolo scorso il completamento di corso Tassoni, la nuova arteria cittadina ricavata dal sedime della strada di Circonvallazione adiacente la vecchia e dismessa cinta daziaria, rende necessaria la copertura delle canalizzazioni esistenti e del partitore. Dopo il rifacimento di fine secolo, l’opera, edificata a ridosso della cortina ottocentesca, si trova al centro del disegno del nuovo asse stradale. Con deliberazione del 18 marzo 1925, il Commissario prefettizio della Città di Torino approva la copertura del canale della Pellerina nel tratto che attraversa il corso. E' incaricata la ditta Serra e Bioletto, specializzata in tali tipi di opere e appaltatrice della manutenzione dei canali cittadini. L’obbligo tassativo è di concludere i lavori durante periodo di asciutta del canale, anche ricorrendo al lavoro notturno e festivo, onde evitare interruzioni di servizio. La somma stanziata è di L. 40.000, ridotta a 33.000 in seguito a ribasso del 18,20% in sede di assegnazione. (3.7)

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Figura 3.5 - I lavori del 1925 si concludono con la copertura solo parziale del partitore e dello scarica-tore. La copertura dell'incrocio tra via S. Donato e corso Tassoni è rea-lizzata con una soletta dello spessore di 30 cm in cemento armato con co-stoloni. Nei pressi sussiste il casotto 'delle guardie civiche', dove fino al 1912, anno di ampliamento della cinta, avvenivano i controlli daziari

Fonte: ASCT, AA.LL.PP. - Ponti canali fognature, 70/7

La sistemazione dell’incrocio tra via San Donato e corso Tassoni non è però definitiva, poiché a causa della scarsa profondità sul piano stradale, la copertura del partitore è stata solo parziale. Si profila quindi la necessità di un ulteriore intervento che adegui, anche, l'opera alla nuova distribuzione delle acque tra le due sole utenze del salto rimaste: la conceria Ferruccio Rossi, subentrata a quella dell'Azimonti, e il 

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Figura 3.6 - Il progetto dell’ing. Roberto Soldati del 10 ottobre 1927 completa la copertura in cemento armato del partitore, adeguandolo alla ripartizione automatica tra le due sole utenze rimaste. Il canale di Torino non è interessato e la sua competenza d'acqua rimane invariata.                                                          Fonte: ASCT,

Miscellanea LL.PP., vol. 2, 1403.

mulino Feyles, che, rilevata la concessione Laurenti, gode ora del 48,4% del flusso. (3.8) La nuova ripartizione non riguar-da il canale di Torino, la cui competenza rimane invariata. il progetto, datato 17 ottobre 1927,  è affidato all’ing. Rober-to Soldati, direttore delle deri-vazioni della Dora Riparia. Egli è l’ideatore delle più recenti modifiche apportate al manu-fatto esistente dopo una lite sorta tra l’utenza privata e, già in possesso di disegni e calcoli, è ritenuto il più adatto dal Civico Servizio Tecnico dei Lavori Pubblici (3.9) Il rifacimen-to comporta in profonda ri-strutturazione dell’opera; l'in-tervento sarà portato a termi-ne negli anni successivi.

N3

Note 3

3.1 - ASCT, CS 2048, 1748, Verbali degli atti di visita alla ficca Pellerina e alla bealera del Martinetto. Per ulteriori dettagli sul documento cfr. il canale della Pellerina.

3.2 - Progetto per la ripartizione delle acque... cit. (Relazione Pernigotti), p.129.

3.3 - Con atti del 28 ottobre 1880, 26 novembre 1886, 11 marzo 1893, la Città di Torino concedeva al cuoificio di Giuseppe Azzimonti i 21/60 e mezzo della forza motrice delle acque del salto del molino superiore del Martinetto, pari al 35,83% della forza dinamica complessiva; analoga concessione veniva rilasciata alla ditta Carlo Laurenti che, con atti dell'11 aprile 1885, 26 novembre 1886, 17 dicembre 1892, acquisiva la fucina adiacente al mulino (in passato già pesta da canapa) con annessa una quota identica di forza motrice; i 17/60 residui, pari al 28,33% del potenziale complessivo, furono assegnati a Martino Feyles, nel 1892, all'acquisto del molino da grano. (Atto del 9 settembre 1892 ). Cfr. G.M. 22 novembre 1894, in ASCT, AA.LL.PP 1891, 221/11.

3.4 - G.M. 22 novembre 1894, cit.

3.5 - ASCT, AA.LL.PP. 1891, 221/11, cit.

3.6 - Nei periodi di magra il Comune talora acconsentiva a ridurre proporzionalmente l’acqua di sua spettanza, a scapito quindi del pubblico servizio, mentre altre volte esercitava il diritto di aumentarla. Come accadde, ad esempio, nel 1906, quando per fronteggiare momenti assai critici di siccità, venne dato l’ordine di alzare di qualche centimetro le paratoie del canale di Torino. Gli utenti del canale del Martinetto lamentarono subito che una simile operazione poteva essere effettuata solo in via eccezionale, principalmente per lo sgombero della neve e il servizio antincendio; secondo il Comune invece ogni concessione si intendeva fatta senza pregiudizio dei servizi pubblici, i quali dovevano avere sempre la precedenza. G.M. 19 ottobre 1906, ASCT, AA.LL.PP. 281/3.

3.7 - ASCT, AA.LL.PP. 1925, 559/6. Nel contesto dei lavori vennero coperti anche due tratti del canale Ceronda.

3.8 - La conceria Ferruccio Rossi si trova in via S. Donato 92 e utilizza l'acqua del canale per il lavaggio delle pelli. (Peraltro senza le opportune misure di depurazione delle acque reflue, sollevando molte proteste). Nel 1929 essa risulta fallita e la concessione passata alla ditta Fratelli Luigi e Riccardo Chirone. Cfr. Torino, Rassegna mensile, anno IX, n° 5, maggio 1929, pag. 467.

3.9 - ASCT, Miscellanea LL.PP. 1403 (1927) e AA.LL.PP. 1928, 610/1.

4. Tracciato

4. Il tracciato

Le già citate 'Testimoniali di visita e stato' del 1748 (4.1) descrivono con dovizia di particolari il canale che conduce l’acqua in città, a soli vent’anni dai  lavori che ne hanno ridefinito l’assetto. Il documento ha finalità essenzialmente legali e i dettagli, riportati in nota, testimoniano quanto aspre potessero essere le contese che opponevano la Città e i proprietari terrieri.

DAL PARTITORE DEL MARTINETTO AL CANALE DEL VALENTINO.

Secondo il documento, «dietro il bochetto (n°43 in mappa) comincia un alveo tendente verso Levante, qual passa in mezzo alla fabbricha del molino, et al di sotto di un baracone chiuso pure del medesimo, [rimanendo] al piede della ripa alta e de beni inferiori alla stessa». Largo cinque piedi, dopo il molino il canale prosegue tra «ripe alte, et imboschite», e a un trabucco e mezzo dall’imbocco è attraversato dalla 'strada superiore del Martinetto' con un ponte «coperto di legno, di larghezza trabuchi 1:2» (n° 44).  

UNITA' DI MISURA PIEMONTESI FINO AL 1818

 

Secondo i campioni depositati presso la Regia Camera dei Conti di Torino, le principali misure di lunghezza in uso in Piemonte erano:

  • Il TRABUCCO, pari a 3,083 m, divisibile in 6 piedi liprandi.

  • Il PIEDE liprando, equivalente a 0,51378 m, divisibile in 12 oncie.

  • L'ONCIA, pari a 4,88 cm, divisibile  in 12 punti, ed ogni punto in 12 atomi.

Nelle 'Testimoniali' le misure, espresse in trabucchi, sono spesso separate dai sottomultipli con il segno dei due punti (:) e quindi, ad esempio, la distanza 1:2:3 si leggerà un trabucco, due piedi e tre oncie.  

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Fig. 4.1 -  Il primo tratto del canale di Torino,  dalla presa del Martinetto al partitore del canale del Valentino.

Fonte: ASCT, CS 2055 (particolare)

Un primo bocchetto irriguo, che bagna il piccolo orto del conte Bianco di San Secondo, adiacente a quello del molino, sì trova a 21:3 trabucchi dalla presa. Esso è costituito da una semplice «scavatura aperta nella sponda sinistra del canale, di larghezza d’oncie otto, con una specie d’imbocatura, formata con le sponde, e suolo, d’assi e passoni [pali in legno], otturata con teppe e due pezzi d’asse».  Dopo 55:2:6 trabucchi, un ponte in legno (n°46) collega le due strade che portano ai molini; al momento è però danneggiato e vietato al passaggio dei carri.  (4.2)

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Fig. 3.2 -  «Avanti la fabrica della cassina dei Padri di Sant’Agostino vi è un campo, qual si protende verso detta strada (inferiore) infine del quale vi è una ripa per la fuga di trabuchi 19, d’altezza accomunata d’oncie dieciotto». Nel prato crescono «una quantità di piante di morroni (gelsi) in qualche raggionevol distanza dalla ripa». Nonostante le profonde trasformazioni intervenute, striscia di terreno delimitata dalle due strade pare in qualche modo prefigurare l'allea ricavata dalla copertura del canale che oggi  separa le due carreggiate di via S. Donato. 

Fonte: ASCT, CS 2055 (particolare) e CS 2048 (citaz.)

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Fig. 4.3 - La mappa del Bussi mostra il fosso parallelo al canale originato dal secondo bocchetto, i cui scoli, data la pendenza del prato, si riversano nella roggia a fianco della strada inferiore dei molini. Nel disegno sono ben visibili gli smottamenti ai piedi della «ripa alta del prato dei signori Gibellini» che restringono e ostruiscono la strada. (4.3)

Fonte: ASCT, CS 2055 (particolare)

Un secondo bocchetto (n°48) si apre nella sponda sinistra dopo 70:1 trabucchi, adacquando il  fosso del prato dei fratelli Gibellini. L’imbocco, pressoché al livello del fondo del canale, è formato da «un foro con una pietra da mulino posta di coltello», nel quale «trapassando la ripa della bealera per mezzo d’un condotto sotterraneo fatto di muraglia in calcina»; Il terreno declina verso la strada, che gli scoli attraversano «con un foro di larghezza in diametro oncie 6 con una croce di lama di ferro in mezzo al medesimo», disperden-dosi nella roggia a lato. (4.4) (fig. 4.3)

DAL PARTITORE DEL CANALE DEL VALENTINO ALLA CITTA'

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Fig. 4.4 - Il secondo tratto del canale di Torino si snodava tra il partitore del canale del Valentino e la porta Susina, ora massicciamente fortificata. La ripartizione avveniva lungo l'odierna via Pacinotti, nel tratto tra le vie Capellina e Vagnone.  

Fonte: ASCT, CS 2055 (particolare)

Percorsi altri 78:3 trabucchi, in prossimità della cascina Bianco, «si trova circa nel mezzo della beallera un partitore (n° 50) formato di pietra da taglio, qual divide l’acqua in due alvei». Quello di destra appartiene al canale del Valentino; largo 32 once, attraversa la carreggiabile che costeggia il canale prin-cipale con un ponte in cotto (n° 51) «lungo 2:1 trabucchi e largo nell’occhio trenta once». Successivamente, 18 trabucchi più avanti, si porta alla sinistra della strada che, proveniente da quella di Collegno è diretta ai molini, sottopassandola con un ponte «in muraglia di calcina lungo 1:3:6 trabucchi e largo tre piedi e dieci oncie nell’occhio».

Il ramo principale del canale esce alla sinistra del partitore e prosegue verso l’abitato. L'alveo è largo 46 once, quindi in rapporto di ripartizione di sei a quattro con quello del Valentino. Dopo 2:5 trabucchi è attraversato da un altro ponte in muratura, (n° 54) «lungo 2:4 trabucchi e largo sessanta once nell’occhio», su cui transita la strada inferiore del Martinetto. Una muraglia  unisce le spalle del ponte al partitore.

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Fig. 4.5 - Nel disegno settecentesco il canale del Valentino volge a sudest, attraversa la strada di Collegno costeggiandola per un tratto, e poi quella di Rivoli. Un partitore (n° 61) separa le acque della Cittadella (n° 62) da quelle dirette ai campi e prati della Crocetta, del 'Tenimento'  del Valentino e del convento dei Padri di San Salvatore.                                                                 Fonte: ASCT, CS 2055 (particolare)

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Fig. 4.6 - Alla cascina Bianco si distaccano dal canale principale tre bealere: quella del Valentino (n° 50), quella degli orti e prati (n° 55) e quella che bagna i fondi dei canonici di S. Giovanni. (n° 56). Attorno alla cascina si formerà il nucleo abitato detto del 'Brusacoer'.

Fonte: ASCT, CS 2055 (particolare)

Alla cascina Bianco hanno origine altre due bealere. La prima si apre nella ripa sinistra del canale «dal suddetto ponte tendendo verso levante, dopo la fuga di trabucchi 11, e circa al fine dell’orto della Cassina del signor Bianco»; il bocchetto (n° 55) è «formato in pietra di taglio tanto al di sopra che al di sotto et a fianchi, con foro in mezzo quadrangolare, d’altezza oncie dodeci, e di larghezza oncie tredici, con soglia al piano del fondo e sprovvisto di porta e seraglia». Questa bealera  ricalca il tracciato di quella medioevale, ed ora scomparsa, che dalla porta Susina andava ai molini di Dora. Essa si ramifica in molteplici rogge che, «fuori la Porta Pallasso et al piede de spalti della fortificazione», bagnano gli orti che approvvigio-nano la città. (4.5)

La seconda bealera si diparte a due soli piedi dalla precedente, sempre alla sinistra del canale. Definita «piccolo alveo», ha origine da un bocchetto, «senza sponde di muraglia, ne porta, ma interamente aperto, di larghezza d’once 30 nel suolo» (n° 56) e, scorrendo parallelo al canale principale, bagna le proprietà dei canonici di S. Giovanni. (4.6La ripa tra i due alvei (n° 58) risulta «alquanto più alta del piano dei beni laterali, con quantità di piante di salici, al longo alla medesima, di grossezza ragionevole». Sulla destra il canale di Torino è affiancato da «un sentiero battuto per li pedoni di larghezza accomunata piedi 3 circa» (n° 57) che, quale sorta di scorciatoia, raggiunge la cascina Bianco e la strada dei molini. In mappa, una nuova strada (n° 59) ha sostituito quella più vicina alla fortificazione, ancora visibile ma in disuso. Il suo attraversamento con «una gran lapola» (4.7) conclude la descrizione settecentesca del canale, il quale «passati gli orti di Porta Susina proseguisce, e si introduce nella Città di Torino, e serve alla medesima, et alli usi d'essa, come anco alli Giardini reali».

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Fig. 4.7 - Il fosso irriguo a sinistra del canale principale serve parte delle grandi proprietà dei canonici di S. Giovanni: il prato a settentrione e gli orti su entrambi i lati, scavalcando il canale stesso per raggiungere quelli alla sua destra.

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L'attraversamento della nuova strada esterna gli spalti avviene per mezzo di una 'lapola', ossia di un passaggio ribassato, scoperto e lastricato, ben riconoscibile in mappa, dove il corso d'acqua interseca la strada ma non la sottopassa. Tal  tipo di transito è dovuto, come si vedrà, a ragioni strategico-militari. 

Fonte: ASCT, CS 2055 (particolari)

L'ASSEDIO DEL 1706 E LA RETTIFICA DEL CANALE

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Fig. 4.10 -  Il disegno seicentesco 'Torino vecchio con progetti di ingrandimento' mette in evidenza come l'ampliamento delle difese verso nordovest, interferisca inevitabilmente con la rete idraulica di borgo Dora. Peraltro, gli interventi illustrati nel disegno costituiscono  una proposta non realizzata, almeno in tale forma..

Fonte: AST, Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Torino, Torino 1, m.11 (particolare)

Non solo le nuove architetture militari ampliano considerevolmente l’area delle fortificazioni, avvicinandole pericolosamente e talvolta tagliando gli alvei dei canali, ma in caso di assedio questi canali, una volta prosciugati,  diventerebbero profondi abbastanza da trasformarsi in trincee naturali che permetterebbero al nemico di avvicinarsi pericolosamente a bastioni e cortine. Pertanto, è necessario procedere con il loro riempimento e livellamento.

Nei primi mesi del 1706 anche il tracciato della bealera del Martinetto più vicino alle mura deve essere interrato per consentire il rapido avanzamento dei cantieri; e per non privare dell'acqua la città si approva rapidamente lo scavo di un nuovo canale. Nel progetto di Antonio Bertola, ingegnere militare di S.A.R., le preoccupazioni e le precauzioni strategiche sono evidenti e ben testimoniate  nell'ordinato del 24 febbraio 1706 con cui la Congregazione approva «la pronta construtione d’un nuovo alveo, ó sia bealera detta del Martinetto nel posto designato sovra il luogo del luogo, principiando dirimpetto alla fabrica della Cassina del Sig. Le Cler hora aquistata dalla pred.ta R.A. qual attualmente si demolisce, e continuare conforme ha indicato detto Sig.re Ingeg.re Bertola, e di far riempire la bealera vecchia, come stimata pregiudiziale alle fortificazioni si per la sua profondità, che per altri motivi intendendo l’A.S.R. che la nuova bealera si facci superficiale in forma di lapola, e di larghezza tale, che non puossi servire d’aprocio á nemici in caso s’avicinassero, e cingessero la Città da quella parte, e che anzi resti infilata, e dominata dal Canone delle fortificazioni della Città». (4.9Ottenuta anche l'approvazione del Consiglio, si passa immediatamente agli estimi e alle misure dei beni necessari e quindi si avviano gli scavi «...col maggior numero d’operari, che è potuto riuscire il primo giorno con 60: huomini, et l’altri giorni con 113 sotto la direttione del Sigr Capitano, et Ingegre di S.A.R. Rubatti». (4.10Sotto la continua pressione del Duca, si procede speditamente e il 17 il nuovo alveo rettificato è ormai pronto. (4.11

L'impatto delle nuove architetture difensive e dell'ingrandimento urbano occidentale sulla rete idrica è notevole; la questione è complessa e sarà trattata in dettaglio in futuro. Per ora, oltre la rettificazione della bealera del Martinetto, tra i principali interventi si menzionano: la demolizione dei molini omonimi, l’interramento del canale del Valentino e della bealera dei filatoi da seta vicini ai molini di Dora sostituita da una canalizzazione provvisoria in legno. (4.12)

Aggiornato 12-09-2023

I disegni del tracciato del canale di Torino mostrano un chiaro dualismo: se fino al partitore del Valentino l'alveo serpeggia seguendo la naturale conformazione del suolo e i confini delle proprietà, nel tratto successivo prosegue in linea retta verso la città. Tale modifica è avvenuta alla fine del XVII secolo, rispondendo a un'espressa logica di difesa militare.

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Fig. 4.9 - Il 'Tipo del corso della Dora con la bealera del Martinetto' risale al 1728, anno della riorganizzazione idraulica da cui ha origine il canale di Torino. Fin dal principio l'irregolarità del tratto iniziale si contrappone alla linearità del secondo. Sotto questo profilo sarebbe più appropriato definire il primo “bealera”, riservando l’appellativo di “canale” alla restante parte. Il canale del Valentino, nel tratto iniziale, segue il percorso della vecchia bealera Colleasca, a lato  della strada di Collegno, ossia l'alveo abbandonato.

Fonte: ASCT, TD rot. 10A (particolare)

Tra il 1690 e il 1696, e ancora tra il 1705 e il 1713, il ducato di Savoia affronta due guerre contro la Francia. Durante questi conflitti, le truppe di Luigi XIV minacciano seriamente Torino, mettendola sotto assedio nel 1705 e nel 1706. Il pericolo francese richiede un notevole potenziamento delle difese della città, con particolare attenzione alle fortificazioni di nordovest e alla Cittadella. Con la guerra ormai alle porte, i piani militari ed i progetti di espansione urbana convergono. Anche a causa delle complessità legate alla rete idraulica che serve la città ed i suoi molini, il cosiddetto "Terzo Ampliamento" della città verso ovest, a lungo discusso nei decenni precedenti, era stato finora procrastinato ma adesso si rompo-no gli indugi e si mette mano ai lavori.  (4.8)

QUATTRO

Note 4

4.1 - ASCT, CS 2048, salvo diversa indicazione, tutte le citazioni sono tratte da tale documento. si vedano anche la nota 2.1 e il canale della Pellerina.

4.2 - Le origini del ponte aprono un contraddittorio tra i fratelli Gibellini, proprietari terrieri tra più agguerriti, e il Procuratore Burlotti, rappresentante della Città. I due fratelli affermano che il manufatto è molto vecchio, fin da tempi lontani di proprietà dei possidenti della zona, e utilizzato dai Padri di Sant’Agostino per raggiungere la strada inferiore del Martinetto. Pur dichiarando di non nutrire, la Città, particolare interesse per il ponte, il Burlotti contesta tali affermazioni, ribattendo che il ponte non è affatto vecchio ma bensì costruito soltanto tre anni addietro dal "capomastro di grosseria" Domenico Cantone, affittavolo della suddetta cascina, per raggiungere i beni al di là del canale. I Gibellini definiscono inoltre "abusiva" la strada superiore del Martinetto, costruita occupando i terreni che si affacciano sulla sponda destra del canale. Il Burlotti respinge seccamente anche questa affermazione, definendo «pubblica» la strada.

4.3 - Il rappresentante della Città dichiara che gli scavi, effettuati senza permesso dai due proprietari, hanno ristretto ed indebolito la sponda del canale, che è ora «a rischio di frana e di rovina». Osserva inoltre che dai molini sino al prato dei Gibellini essa «è tutto unita, intiera e con scarpa insensibile», mentre «pendente l’estensione del prato dei Signori Gibellini la larghezza tra essa e il fosso è di soli cinque piedi comprese le due scarpe, e di tre piedi e quattro once e nel mezzo, restringendosi ulteriormente più avanti». 

4.4 - Anche l’origine di questa presa è contestata. Per il Burlotti non più di una decina di anni addietro non esisteva e il terreno era lasciato a gerbido e pascolo asciutto. Per i due fratelli invece il bocchetto è «antichissimo, e fatto sin dal tempo dell’origine della Beallera per servizio de beni tanto superiori che inferiori alla strada vicinale del Martinetto sotto la ripa», tanto che la sponda stessa del canale sarebbe stata ottenuta dal materiale di scavo del fosso. Essi inoltre chiedono il risarcimento per il taglio di «oltre duecentocinquanta alberi d’alto fusto e salici» avvenuto «nei giorni festivi di Pentecoste ora scorsi per ordine del sig. Marteno, Economo della Città di Torino» lamentando cripticamente «quasi non vi fosse altra maniera di procurarsi giustizia, che di propria mano».

4.5 - Il nome di tale bealera è incerto; essa in un'altra carta del bussi è indicata quale 'bealera degli orti e prati' (ASCT, 1749, CS 2051), ma in un disegno coevo (ASCT, 1746, CS 2044) il toponimo 'bealera degli orti' è associato a quella dei canonici di S. Giovanni parallela al canale. In ogni caso, entrambe non vanno confuse con la bealera omonima di porta Palazzo. Cfr. la nota g della pagina dedicata allo scaricatore del Frisetto. --  In una nota del 13 agosto 1800 gli ortolani «che si servono della bealera di Torino pigliando l'acqua dal bochetto detto brucciacuore, di sotto e di sopra della bealera» sono 19, le giornate irrigate 58,5 (3 giornate la superfice media) e le ore d'acqua complessive sono 94. Cfr. ASCT, Carte del Periodo Francese, vol. 15.

4.6 - Da un disegno di Ignazio Giulio del 1779 (ASCT, TD 12. 1. 2) si deduce che le utenze irrigue del canale di Torino, dirette e indirette successive alla cascina Bianco, non sono meno di 24, di cui per ¾ ne utilizzano l’acqua per bagnare gli orti e il restante quarto per i prati.

4.7 - Il Dizionario Piemontese, Italiano, Latino e Francese, compilato dal sacerdote Casimiro Lalli di Chieri, II edizione, vol. 1, Tipografia Pietro Barbié, 1830, Carmagnola, pag. 467, definisce «lapola quel passaggio che si forma a traverso dei fossi abbassandone le sponde, e alzandone il fondo, per aver adito dalla strada al campo, o altro fondo finitimo». Per estensione il termine indica l'attraversamento di un corso d'acqua transitabile dai carri.

4.8 - Cfr. Vera Comoli Mandracci, La fortificazione del Duca e molini della Città, in "Acque, ruote e mulini a Torino" (a cura di G. Bracco), 1988, Archivio storico della Città di Torino.

4.9  - Cfr. ASCT, Ordinati 1706, vol. 236, p. 77-78. - Il potenziale pericolo costituito dagli alvei asciutti delle canalizzazioni è ben presente nelle istruzioni impartite dall'ing. Antonio Bertola per la realizzazione dei nuovi alvei che sostituiscono quelli interrati in vista dell'Assedio. Si consideri ad esempio: "... parimenti le giare e sabie quali col tempo usciranno dalla purgazione dell'alveo quelle si spanderanno e spianeranno in maniera che al lungo delle ripe non si possi mai formare qualche altezza di terreno con minimo pregiudizio delle fortificazioni a giudizio dell'Ingeg.re che per comando di S.A.R. avrà l'onore di asistere alle sud.te fortificazioni. Torino li 5 giugno 1712. Antonio Bertola". (AST, Riunite, Camera dei conti, Camera dei conti di Piemonte, Feudalità, Articolo 809 - Titoli e scritture riguardanti il Valentino Reale, vol 1, mazzo 2.). Oppure anche: "Si avvertirà di non abbassare, o approfondire il letto d'essa bialera, ne di alzare le ripe, ne di mettere li materiali sopra delle ripe in modo che possino fare, o alzare, argini ma si dovranno mettere verso di campi alla dritta dell'alveo con disporli in modo di spalto, e mantenere basse le ripe verso la Cittadella, in modo che l'opere delle fortificazioni possino vedere e comandare dentro e nel fondo di d. alveo in caso che si levasse l'acqua alla bialera. Antonio Bertola. Torino li 4 giugno 1714." (AST, Riunite, Ufficio generale delle finanze, Prima Archiviazione, Acque ed edifici di esse, Mazzo 1).

4.10 - Ibidem, p. 101-102.

4.11 - Ibidem, p. 119.

4.12 - Cfr. Le fortificazioni del duca, cit.

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La parte restante della pagina è redatta, al momento,  in forma di abstract e pertanto semplificata e priva di citazione delle fonti. Per le localizzazioni industriali sul canale di Torino, si vedano anche: M. Ainardi e P. Brunati, "Le fabbriche da cioccolata: nascita e sviluppo di un'industria lungo i canali di Torino", Torino, Allemandi, 2008 e L. Guardamagna D'Angelo, "Gli opifici lungo il 'canale di Torino': archeologia industriale in Borgo San Donato in Torino", Torino, Celid,  1984.

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5. Nell'Ottocento

ABSTRACT

Se in origine il canale di Torino seguiva le divagazioni della 'strada del Martinetto inferiore alla rippa' e la naturale morfologia del territorio, le trasformazioni ottocentesche sono riconducibili essenzialmente ai mutamenti d’alveo che si accompagnano al disegno della ‘nuova strada comunale del Martinetto’, poi via S. Donato. La principale rettifica riguarda il segmento iniziale della bealera, al termine della strada, programmata già negli anni Trenta del secolo XIX. (fig. 5.1) La sistemazione del tracciato e delle sponde conferirà pienamente le caratteristiche di "canale" all'intero corso d'acqua. L’urbanizzazione ne costringerà dapprima l'alveo all'interno delle nuove geometrie viarie e, a partire dalla seconda metà del secolo, darà avvio alle coperture che si concluderanno nella prima metà di quello successivo. 

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Fig. 5.1 - Il 'Tipo regolare pel trasporto e sistemazione della strada comunale del Martinetto', dell'ing. G. Barone e risalente al 27 dicembre 1832, mostra il disegno di quella che diverrà la via S. Donato (tratto in rosso). la strada costituisce solo in parte la rettifica di quella vecchia dei molini e delinea quasi ex novo l'arteria attorno a cui si svilupperà il quartiere omonimo sostituendo e cancellando, di fatto, il sistema stradale precedente. Il primo tratto del canale di Torino sarà rettificato seguendone il tracciato. Il territorio è completamente dedito alle attività rurali, con l'eccezione del nucleo abitativo del Brusacheur, sviluppato attorno alla cascina Bianco e alla conceria Martinolo (A), della fabbrica di cioccolato Caffarel, già conceria Watzembourn, (B) e della fabbrica delle maioliche. (C)

Fonte: ASCT, Atti Notarili 1833, vol. 23, p. 5.

La maggiore mutazione d’alveo avviene alla metà del secolo, quando il decadere delle servitù militari della Cittadella e l’approvazione del nuovo piano di ampliamento urbano (1851) danno un forte impulso allo sviluppo edilizio nei territori ad ovest di porta Susa. Nel 1854 alcuni proprietari dei terreni con affaccio su via S. Donato ottengono dalla Città di spostare, a proprie spese, circa 300 metri di canale per ricavare maggior spazio utile. Il nuovo tratto, coperto fin dall'origine, viene traslato una ventina di metri a nord, ricongiungendosi al tracciato esistente in via Balbis. La sezione è ogivale (fig. 5.1a) con fondo, sponde e volto in muratura. Tra le vie Industria e Saccarelli il dislivello di soli 20 cm sulla distanza di 116 m conferma la scarsa pendenza del canale (0.1724%) e quindi il potenziale dinamico limitato. La deviazione ha dato luogo a una nuova strada, detta inizialmente via del canale e poi via Giacinto Carena.

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Fig. 5.1a - In alto: sezione ogivale del canale di Torino sotto via Carena. La larghezza interna massima è di m 250, l'altezza di m 122. (1880). In basso: il cavo emerso nel corso dei lavori sulla rete fognaria (2011).

Fonte: ASCT, TD 13. 3. 55 (particlare)

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La bealera di Torino e sue dipendenze (1822)

 

La relazione del 1822 di Tommaso Bonvicini, Ingegnere idraulico incaricato della vigilanza della derivazione e distribuzione delle acque della Dora, descrive il canale di Torino e le articolazioni cittadine a valle. Essa è redatta dopo la visita effettuata il 16 febbraio in seguito alla mancanza d'acqua lamentata dal Regio Arsenale. Così l'Ingegnere:

«Questa bealera, che serve a provvedere l'acqua necessaria al Regio Arsenale, alla cittadella, alle ghiacciaie della città, al nettamento dalle nevi della medesima, al giardino reale, ed ai giardini botanici del Valentino, si deriva da quella del Martinetto in contiguità ai molini di questo nome mediante un imbocco a due porte chiuse a chiave, e di là dirigendosi verso la capitale costeggia la strada del Martinetto; giunta al partitore del Brusacore esistente sulla medesima si divide nei due seguenti rami.

        Il ramo minore, a destra e denominato la bealera del Valentino, alimenta un bocchetto che introduce una parte delle sue acque nella cittadella dalla parte della porta di Soccorso, quindi detto ramo prosegue costeggiando la nuova strada di circonvallazione di porta Susina a questa quindi porta Nuova, di poi la strada di S. Salvario e le due allee del Valentino, e finalmente si introduce in quel real recinto, ove serve anche a beneficio di una privata manifattura di carta, indi si scarica in Po.

           L'altro ramo maggiore, che forma la continuazione della stessa bealera di Torino conservando il medesimo nome anche dopo il predetto partitore del Brusacore, si dirige verso la città e giunge sino presso la antica p quindi un orta Susina, ove mediante incastro sulla sponda sinistra munita di porta con chiave versa una parte delle sue acque nei bacini ad uso della formazione del ghiaccio, quindi dopo un breve tratto di corso si divide nei tre seguenti canali nei quali si distribuisce l'acqua mediante gli appositi incastri e porticelle sulla medesima che si maneggiano all'interno del casotto esistente sulla stessa bealera, il quale serve anche da abitazione del custode di queste acque.

          Il primo canale, che da detto casotto si dirige verso mezzogiorno armato di muri e di pietre da taglio, prosegue lungo le allee della Cittadella, e quindi entra nel Regio Arsenale ad uso di quelle macchine idrauliche, da dove sorte e sbocca per un condotto sotterraneo in vicinanza di Porta Nuova e di la, costeggiando esteriormente i baluardi di mezzogiorno serve all’adacquamento di quegli orti, indi per condotto sotterraneo attraversa la piazza della venuta del Re [piazza Vittorio Veneto] a Porta di Po con direzione verso mezzanotte, sulla quale prosegue scoperto, e va nella regione di Vanchiglia ove finisce.

         Il secondo canale, che da detto casotto si dirige verso mezzanotte costeggiando in sommità quei baluardi fino oltrepassate le torri della città, [porte Palatine] conduce l’acqua ad uso del giardino reale, dopo del quale la medesima va a benefizio della Vetriera [la fabbrica di vetri dietro l’attuale piazzale Aldo Moro] e di là passa nei prati di Vanchia ove si perde.

         Il terzo canale, che altro non è che un breve condotto, ossia tombino sotterraneo, in che da detto casotto si dirige verso levante, serve a tramandare l’acqua della predetta bealera nelle contrade della città, e all’occasione al nettamento delle nevi, ed altri bisogni della medesima».

Pur scontando il basso, e naturale, livello delle acque della Dora in inverno, la carenza d'acqua è dovuta soprattutto a dispersioni, o «a puro vantaggio di qualche privata manifattura», che peraltro il Bonvicini non nomina. Il prelievo della bealera del Valentino, principalmente destinata all'irrigazione, in questa stagione è limitato ai bisogni della Cittadella e dell'abbeveraggio del bestiame. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, si accerta che al partitore del Bruciacuore il semplice «asse volante» inserito negli stipiti in pietra dell'imbocco del canale del Valentino, a cui teoricamente è affidata la ripartizione, è scomparso e che l'acqua immessa è eccessiva. Analogamente accade ai due bocchetti di recente costruzione scolpiti in due pietre da taglio sulla sponda sinistra del canale di Torino, che alimentano, uno per parte, i fossi laterali della «nuova strada di circonvallazione denominata del Principe Eugenio».  Anche la canalizzazione del giardino reale, in ultimo drena una quantità d'acqua superiore alle necessità.

 

 

Ribadendo «che il necessario corpo d'acqua alle macchine idrauliche del Regio Arsenale è anteriore ad ogni privata manifattura» il relatore suggerisce di che ogni presa sia dotata di porta, o serraglia, con chiave e lucchetto. E che il custode del partitore della porta Susina abbia particolare avvertenza: 1) di vigilare su ogni inutile dispersione delle acque e 2) di non lasciar decorrere nella bealera che l’acqua necessaria al bisogno delle ghiacciaie della città, delle latrine dei quartieri militari, e quelli ad uso del giardino reale, (per cui l'adacquamento invernale è assai minore dell’estivo) lasciando scorrere a vantaggio della regia manifattura tutta la restante parte, salvo in caso di sgombero delle nevi o altri urgenti bisogni cittadini.

Fonte: ASCT, Consorzi Bealere 79/19

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Fig. 5.2 - Il disegno mostra il progetto per la traslazione del canale proposto nel 1854 da alcuni possidenti di via S. Donato. Tra piazza Paravia e via Balbis l'alveo viene deviato e indirizzato lungo la linea A-B-C-E, nel sottosuolo di una nuova strada che prenderà il nome di via Carena. Il trasporto del resto del canale, previsto sulla direttrice B-D-E e sull'asse di una nuova via da aprirsi, non sarà realizzato, probabilmente per l'interferenza con il fabbricato della conceria Martinolo; la sistemazione lungo le vie Carena e Pacinotti rimarrà, così, definitiva. La via Pacinotti ripercorre il sedime del sentiero pedonale settecentesco che costeggiava il canale. Si noti la sussistenza del gran numero di fossi irrigui, e in generale dell'organizzazione territoriale precedente; l'edificazione rimane limitata, nonostante la definizione delle nuove planimetrie stradali del quartiere.

Fonte: ASCT, Atti Notarili 1854, vol. 44, p. 268.

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Fig. 5.3 - La tavola XVII del catasto Rabbini (1853-1870) illustra l'assetto pressoché definitivo del canale di Torino, ancora a cielo aperto, salvo il tratto deviato sotto via Carena. La realizzazione di via S. Donato è costata la demolizione di gran parte della ripa che digradava dalla sinistra del canale. La ferrovia Vittorio Emanuele (che conduce a Milano) è superata con un sifone sotterraneo che ha richiesto una deviazione d'alveo nei pressi di piazza Statuto.

Fonte: AST, Riunite, Catasti, Catasto Rabbini, Circondario di Torino, Mappe, Torino, m. 189, F.XVII.

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Fig. 5.4 - Alla metà degli anni Trenta del secolo scorso la copertura del canale è ormai completata. Rimangono a cielo aperto solo poche decine di metri all'interno di due proprietà private (indicate in rosso sulla mappa): la prima al n° civico 57 di via S. Donato e la seconda nell'isolato formato dalle vie Galvani, Pinelli, Capellina e S. Donato. Quest'ultima risultava ancora scoperta nella carta tecnica di fine Novecento del Comune di Torino. L'altra linea nera tracciata sulla carta indica il ramo destro del canale Ceronda, interrato fin dall'origine.

Fonte: ASCT, TD 64. 7. 8._3 (particolare)

funzioni

6. Le funzioni

ABSTRACT

Nel corso dell’Ottocento il canale di Torino ha continuato in primo luogo a rifornire il sistema idraulico cittadino e a irrigare gli ampi spazi rurali sopravvissuti, a lungo, dopo l’avvio dell’urbanizzazione. A tali compiti si sono aggiunte le funzioni minori per i nuovi residenti, quali la bagnatura di orti e giardini e l’adacquamento di lavatoi pubblici e privati. Quando tutto ciò è venuto meno, il canale è stato dedicato al lavaggio della fognatura bianca, compito che conserverà fino alla fine dell’esercizio, avvenuto negli ultimi anni del secolo scorso. A tutt’oggi  il suo alveo, asciutto, drena gli scoli di superficie delle acque piovane.

Durante la prima fase manifatturiera, con una sorta di specializzazione dei ruoli, la produzione di forza motrice idraulica a nordovest della città è stata in massima parte delegata al canale del Martinetto e al canale Ceronda. La mancanza di salti idraulici significativi e la pendenza e la portata modeste hanno limitato gli insediamenti industriali lungo il canale di Torino, riconducibili essenzialmente alla conceria Martinolo, alla fabbrica di cioccolato Caffarel e  a quella di maioliche Ferieu/Borcano, risalenti tutte ai primi dell'Ottocento. Una livellazione del 1839 rilevava un dislivello di soli 96 cm tra le soglie superiori delle ruote Martinolo e Caffarel, e di 36 cm tra il vallo della prima e la soglia della seconda. Ulteriori impianti avrebbero quindi rallentato il flusso, elevato il pelo dell’acqua e rallentato il giro delle ruote esistenti. Tuttavia un numero certamente maggiore di fabbricanti si giovò del canale, poiché non era infrequente che produzioni diverse, anche di differenti imprenditori, convivessero all’interno dello stesso edificio. Altre industrie ottennero concessioni per funzioni produttive accessorie, diverse dalla generazione di energia, e in primo luogo per i lavaggi; pur cercando, la Città, di evitare, o almeno contenere, l'inquinamento delle acque.

Gli opifici lungo il canale di Torino adottarono necessariamente tutti lo stesso tipo di apparato motore. La grande ruota "a davanoira" a palette piane era collocata sulla sponda del canale; priva quindi di condotto adduttore, sfruttava un dislivello di poche decine di centimetri ottenuto artificialmente con la modellazione dell'alveo; lo scaricatore era ricavato allargandone opportuna-mente la sezione e dividendola secondo lunghezza, cosicché le paratoie mobili di un un "ventaglio” indirizzas-sero l'acqua  alternativamente alla ruota o a lato, bypassandola. La potenza erogata era di pochi cavalli; né la situazione migliorò di molto, stante il profilo altimetrico, quando le ruote in legno vennero sostituite da pur più efficienti turbine.

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Fig. 5.4 - Il motore idraulico della conceria Martinolo (nell'assetto del  1857)  fu comune agli altri opifici: una una davanoira in legno era immersa direttamente nel canale e una coppia di paratoie mobili consentiva di indirizzare il flusso verso la ruota o di scaricarlo a lato.

Fonte: ASCT, Consorzi bealere, canali diversi 79/2.

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La conceria Martinolo

La ruota idraulica della 'Ragion di Negozio Vincenzo Martinolo e figli' fu la prima eretta in ordine di tempo sul canale di Torino, a circa 700 m dalla presa.

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Fig. 5.5 - (A sinistra). La conceria Martinolo si trovava al n° 4 dell'odierna via Vagnone, all'angolo con la via Pacinotti. L'opificio era parte del gruppo di abitazioni proletarie che ospitavano molti degli operai che lavoravano nella conceria stesa e al Martinetto, detto il 'Brusacheur'. Il catasto Gatti indica col nome di 'Bruciacuore' l'edificio corrispondente in mappa al n° 6 della via, ma l'appellativo era esteso all'intero gruppo di fabbricati. (A destra). La ruota idraulica della conceria era collocata nell'ala di sud-ovest, immersa direttamente sul canale subito a valle del partitore di quello del Valentino. Come si può notare, la sua installazione richiese un modesto spostamento d'alveo. 

Fonte: Proiezione su ortofoto e ASCT, Consorzi bealere, canali diversi 79/2

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Fig. 5.6 - Disegni originali delle macchine concesse alla conceria di Vincenzo Martinolo: a destra «il martello inserviente a battere li corami travagliati alla forma di Lione senza calce», a sinistra la «botte per follare le pelli in tomara». Il moto alternato del maglio e la rotazione della botte erano assicurate dalla stessa ruota idraulica, in seguito collegata anche alla 'pesta a taglietti'.

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Fonte: ASCT, Scritture Private 1800, VOL. 60

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I Martinolo introdussero per primi in città la tecnica di origine lionese per lavorare il cuoio per le suole da scarpa senza l’impiego della calce. Nel maggio del 1800, la Città concesse loro di apporre sulla bealera che lambiva lo stabilimento una ruota per il funzionamento di un martello per la battitura dei corami e di una botte da concia. Tre anni dopo Vincenzo Martinolo ottenne una seconda autorizzazione per una moderna pesta “a taglietti” per smi-nuzzare la corteccia vegetale da cui si estraeva il tannino. La ruota idraulica destinata alla macchina non venne installata poiché il canale non era in grado di supportarla, e la pesta venne collegata alla ruota esistente alternandola al martello e alla botte, pur pagando, la conceria, un doppio canone.

L’opificio godette di una longevità e di una continuità localizzativa straordinarie. Nel corso del XIX secolo fu a più riprese ristrutturato, sia per rispondere alle crescenti esigenze produttive, sia per conformarsi al disegno delle nuove strade. Gravemente danneggiato durante la Seconda guerra mondiale, esso fu abbattuto, dopo circa 150 anni di attività, immediatamente dopo il conflitto; di esso non rimane traccia. Sussiste invece, seppure sopraelevato, il massic-cio edificio di proprietà dei Martinolo che all'angolo delle vie San Donato e Vagnone ospitava alloggi operai e laboratori artigiani.

Fig. 5.7 - Nel 1861 la vecchia ruota fu sostituita  da una turbina Poncelet, di minori dimensioni, adeguando il salto ma conservando l'architettura generale del sistema motore. La potenza disponibile passò così dai 4 cavalli della prima davanoira - elevati poi a 7 con successiva migliorie - a 12. Si noti come nell'arco di sessant'anni l'edificio sia rimasto pressoché immutato. (cfr. fig. 5.2)

Fonte: ASCT, ASCT, Consorzi bealere, canali diversi 79/7

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La fabbrica di cioccolata Caffarel

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Nel 1832 Pier Paul Caffarel, originario di Luserna S. Giovanni, rilevava la conceria Watzembourn, trasferendo a scala industriale la fabbricazione della cioccolata avviata  nel 1826. L’opificio era posto poco fuori la porta Susina lungo il canale di Torino e, indicato talora come Landau o Landò, risaliva ad una trentina di anni prima. Nel 1799, infatti, Filippo Giacomo Watzembourn “coriatore” ed “affaitore” aveva adibito alla concia delle pelli un edificio preesistente, ottenendo, nel 1805, il permesso di apporvi una ruota a davanoira per una “pesta da rusca a taglietti” e un “bottale” per la concia.

Fig. 5.8 - La tavola del catasto francese, risalente ai primi anni dell'ottocento, mostra la "tanerie" Watzembourn affacciata sul canale di Torino. Benché il motore idraulico sia stato installato solo cinque anni dopo l'avvio della produzione, è probabile che la disponibilità d'acqua sia stata fondamentale per nella scelta del sito. L'edificio sorge sulla strada che, seguendo la fortificazione, collega porta Palazzo alla porta Susina, oggi via Balbis.

Fonte: AST, Catasto Francese, tavola VIII.

In realtà già dal 1819 il mastro cioccolatiere luganese Giovanni Bianchini aveva affittato la fabbrica dei Watzembourn e installata una macchina di sua invenzione che, servendosi della forza idraulica, macinava le fave di cacao impastandole con zucchero e vaniglia. Si trattava di un congegno rivoluzionario che, governato da un solo operaio, consentiva forti riduzioni di tempo sulla lavorazione manuale; l'aumento della produttività fu tale da segnare l’avvio della produzione cioccolatiera industriale a Torino. Tuttavia i risultati non furono quelli sperati, e l'impresa del Bianchini incontrò gravi difficoltà operative, anche perché la nuova macchina, assai complessa, richiedeva una grande quantità di energia, superiore a quella che il canale di Torino poteva fornire. Essa fu perfezionata dai Caffarel, che l'acquistarono insieme al fabbricato, senza peraltro riuscire a risolverne del tutto le criticità strutturali.

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Fig. 5.9 - (A sinistra) La fabbrica di cioccolata Caffarel si trovava al n° 10 di via Balbis, lungo il canale di Torino, circa 400 m a valle della conceria Martinolo. Il disegno risale al 1860; via Carena è stata già tracciata, cosicché il canale ritorna a cielo aperto solo in prossimità dello stabilimento. L'apertura di via Avet (in alto ancora senza nome) dividerà in due la fabbrica, che rimarrà comunque in loco. Le proprietà dei Caffarel si estendono lungo via Balbis e includono, come d'uso, l'abitazione della famiglia. (A destra) Una delle ruote idrauliche della fabbrica.

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Fig. 5.10 - L'ambientazione della prima fabbrica dei Caffarel, sulla sinistra è probabilmente di fantasia, ma l'edificio si ispira a quello reale, riprodotto nell'immagine a destra, dove si intravede la grande ruota idraulica esterna, alimentata dal canale di Torino. Lo stabilimento è rimasta per oltre centocinquant'anni nel sito originario, vantando così una continuità di localizzazione assai rara.

Fonte: Immagini del cambiamento.

L’avventura imprenditoriale dei Caffarel è stata coronata da grande successo e continua a duecento anni dalla fondazione. Tappe importanti furono la fusione con i cioccolatieri Gay e Prochet (1845) e l'ideazione del giuanduiotto, (1865) nato dalla la miscelazione della pasta del cioccolato con le nocciole (1852).  I buoni esiti commerciali si accompagnarono all’ampliamento degli impianti e a crescenti bisogni di energia. I 6 cavalli erogati dalla prima ruota del canale di Torino salirono in seguito a 12, e altri 3 cavalli furono ottenuti dal canale delle Fontane. (Fig. 5.) Con l’apertura del ramo destro del canale Ceronda, inoltre, la fabbrica poté giovarsi di ulteriori 10 cavalli generati da una turbina collocata nei sotterranei dello stabilimento. Gli 880 mq di tettoie, magazzini e cortili censiti nel 1866 furono rimaneggiati e ridotti con l’applicazione dei piani di riordino urbanistico dei nuovi borghi industriali. Il prolungamento di via San Domenico. il prolungamento di via San

Fig. 5.11 - La ruota idraulica in ferro collocata un tempo sul canale di Torino oggi esposta nella nuova fabbrica Caffarel di Luserna S. Giovanni. 

Fonte Web

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maiolica

Domenico (oggi via Avet), in particolare, tagliò drasticamente la proprietà, impose abbattimenti e ricostruzioni e divise l’impianto in due aree separate. Non ostante ciò la Caffarel non abbandonò il borgo. Anche i danni della Seconda guerra mondiale furono presto riparati e solo nel 1967 la produzione fu trasferita nella moderna fabbrica di Luserna S. Giovanni. I vecchi fabbricati furono demoliti negli anni 70 e sostituiti da abitazioni civili. Dal 1998 la Caffarel S.p.A. è entrata nel gruppo svizzero Lindt & Sprüngli, fondendosi con esso all’inizio del 2022.

La fabbrica della maiolica Ferieu/Borcano

Nel corso del breve assedio del 1799 un incendio distruggeva il capannone fuori la porta Nuova dove Silvestro Ferrieu, (anche Ferriù, o Feriù) fabbricava terraglie e vasellame da fuoco comuni, nonchè  stufe di maiolica per i quartieri e i corpi di guardia militari. Forse in virtù di tale commessa, le Regie Finanze gli cedevano poi il fabbricato di una caserma in disuso, presso il bastione di S. Secondo, a porta Susa, per riavviare l’attività. Sul vicino canale di Torino il Ferrieu collocava, forse abusivamente, una ruota idraulica per la pesta adibita alla frantumazione di argille e terre da maiolica. L'attività ebbe successo e nel giro di pochi anni egli ingrandì gli spazi produttivi, ipotizzando di espandersi con un secondo impianto al Martinetto. Secondo L'"Indicatore Torinese" del 1815, la sua e quella dei fratelli Rossetti (con fabbrica in via villa della Regina e pesta al Martinetto) erano le sole manifatture di maioliche a Torino, anche i semplici rivenditori erano ben più numerosi. Le due imprese non erano tuttavia in concorrenza, perché alla porta Susina si fabbricavano prodotti di uso comune e basso prezzo, mentre i Rossetti si rivolgevano ad un mercato di qualità e più sofisticato. La morte improvvisa, però, mise fine all'avventura ed ai progetti di Silvestro Ferrieu, e nel 1818 gli eredi vendettero ai genovesi Pio Borcano e Vincenzo Bonani.

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Fig. 5.11 - In alto a sinistra: la "casa della majolica incendiata" fuori la Porta Nuova di Silvestro Ferieu, nel "Piano Prospettico dell'Assedio della Cittadella di Torino nel mese di giugno 1799" nell'incisione di Giovanni Saverio Chianale su disegno di Giuseppe Bagetti. - In basso a sinistra: disegno del 1806 la "Maison Ferieu", con la breve diramazione del canale di Torino che ne alimenta la ruota. Esso è interessante perché riporta le macerie della porta Susina e delle demo-lende fortificazioni, tuttavia, riferita ad altra parte della città, è imprecisa: la fabbrica risulta significativamente traslata e il bastione di S. Secondo è confuso con quello di S. Solutore. - A destra: La 'Pianta Generale, e limitazione... spettanti alla Fortificazione esterna di Torino..." del 25-12-1814 è più esatta. Vi compare un altro blocco di fabbricati 'Ferieu' collocati  all'interno della linea che delimitava l'effettivo bastione di S. Secondo: potrebbero quindi corrispondere ai baraccamenti originari ceduti a Silvestro Ferieu dalle Regie Finanze. Il territorio esterno vecchia porta cittadina occidentale è uno spazio vuoto, in cui si riconoscono la settecentesca piazza d'arme per le manovre della fanteria e la nuova sistemazione idraulica e

stradale. A questo proposito si noti la strada di Rivoli e di Francia deviata sullo storico asse di Doragrossa (già decumano romano e poi via Garibaldi) e il toponimo 'porta Susina' quale semplice reminiscenza del passato.

Fonte delle mappe: AST, cliccare su (1806) e (1814)  per gli originali

(23-12-2022)

Pio Borcano ottenne il rinnovo della concessione d'acqua per la ruota della pesta, a cui si aggiunsero quelle per irrigare un prato e il giardino della sua casa e per riempire una vasca della capacità di 5-600 litri per gli impasti. La produzione proseguì, e nel 1822, la Gazzetta Piemontese informava che «l'antica fabbrica di Maiolica e di Stufe, già Feriù, offre, oltre ad un bell'assortimento di stufe verniciate di ogni grandezza, una quantità dei 

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5.12 - Con il procedere dell'urbanizzazione la fabbrica della maiolica verrà  progressivamente inglobata nella città; nel nuovo reticolo viario è collocabile all'incrocio tra la via del Carmine e il c.so Principe Eugenio, con affaccio su entrambi, oggi sul sedime del cinema Ideal.

Fonte: ASCT, Atti notarili 1842, vol. 55.

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Fig. 5.13 - La planimetria a lato (1842) mostra la massima es-pansione della fabbrica di ma-iolica, prima che riduzioni e demolizioni abbiano inizio. Gli spazi produttivi sono sensibil-mente  cresciuti nuovi capanno-ni sono stati aggiunti; la ruota idraulica è collocata nel fab-bricato lungo che si affaccia sul canale di Torino. Il disegno mostra anche (in tinta rossa) il terreno acquistato dai f.lli Giu-seppe Cesare e Salvatore Rigois per una filatura da lino e cana-pa dotata di una ruota idraulica alimentata dall'acqua del fosso laterale del viale Principe Eugenio.

cosiddetti franklini, (ossia stufe Franklin di tipo a caminetto) con vernice o senza, a prezzo fisso e discreto». Nel 1823, il Borcano acquisiva l’intera proprietà della fabbrica e ne trattava, senza successo, la vendita alla prestigiosa società per la fabbricazione delle ceramiche Dortù, Richard & C. Nel 1832, ancora la Gazzetta Piemontese, riportava che «Pio Borcano, fabbricante in maiolica e stufe, tiene un assortimento di vasi da fuoco etruschi bronzati, di varie grandezze». Tali produzioni cesseranno nella seconda metà degli anni Quaranta, surrogate da altre, tra cui quella di «lapis e portapenne per la scuola». Pio Borcano e il figlio Lorenzo rinnoveranno puntualmente la concessione d'acqua ad ogni scadenza, probabilmente cedendo a terzi degli spazi produttivi nello stabilimento; a tal proposito si ha notizia di una fonderia di ghisa e di una tintoria. Nel 1870 la fabbrica passerà al cav. Giovanni Battista Piana, che sui 3.500 mq rimasti dopo varie cessioni alla Città avvierà la produzione di componenti meccaniche per macchine tessili. 

La pianta e l'orientamento dell'opificio, rimanenze del vecchio assetto territoriale, interferirono ben presto con il progetto della città prefigurato dai piani di ampliamento successivi all’abbattimento delle fortificazioni. Il disegno dei viali e l’avanzata degli isolati urbani a maglia regolare imposero all'impianto modifiche, riduzioni ed abbattimenti. La deviazione del canale di Torino nel nuovo partitore di piazza Statuto privò Lorenzo Borcano della forza motrice, ma egli riuscì ad ottenere una concessione alternativa sul canale del Giardino Reale (fig. 5.14) che defluiva ora nel cavo abbandonato del canale di Torino. L'uso della ruota idraulica venne svincolato da specifici obblighi, che poteva così essere impiegata per qualunque produzione, escluse la macinazione di cerali e granaglie, lo sfilacciamento della canapa e quelle pericolose per chi vi lavorava; era inoltre esplicitamente prevista la possibilità di subaffitto a terzi. Negli anni Sessanta iniziò il ridimensionamento della proprietà con le cessioni per la realizzazione delle nuove strade, in particolare l'apertura di via Allione (1864) e il prolungamento di via del Carmine (1865). Nel 1888 il cav. Piana dovette cedere alla municipalità l'ala dell'edificio destinata alla ruota  per il terminare congiungimento dei corsi Beccaria e Principe Eugenio. La concessione di forza motrice gli venne rinnovata per altri diciotto anni, con la facoltà di riposizionare il canale adduttore, adeguandolo alla nuova posizione del motore idraulico. Con il trasferimento della Capitale e quella di partita dei Savoia, il Real giardino, perso valore simbolico e funzione di rappresentanza, progressivamente decadde, e per le minori necessità di innaffiamento furono sufficienti dapprima le botti trainate da cavalli e poi un sistema più moderno di tubature interrate. Con il tempo il canale che lo alimentava prese il nome di canale Piana.

Fig. 5.14 - Il canale del Gia-rdino reale aveva origine dal partitore di c.so Valdocco, ma dopo il trasferimento di questo ultimo in piazza Statuto la presa venne arretrata e le sue acque immesse nello alveo abbando-nato dal canale di Torino. Il nuovo tracciato passava così nel sottosuolo di via del Car-mine, corso Valdocco e via Giu-lio, fino al sifone del giardino reale scaricandosi nel Po. L'opificio

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del Borcano fu privato della forza motrice idraulica, ma l'imprenditore ottenne una nuova concessione d'acqua sul canale del Giardino reale. La portata d'acqua utile oscillava tra i 20 e i 50 litri, che su un salto di 2.27 m poteva sviluppare una potenza di circa 4 CV.  Nel documento il salto assegnato al cav. Giovanni Piana è indicato con il numero XI; con il tempo il nome dell'imprenditore verrà poi esteso all'intero canale. Nel disegno sono indicati anche il canale delle Fontane (in giallo) e quello dei Macelli (in verde).  

Fonte: ASCT, TD 12. 1. 90 (particolare)

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Galleria Fotografica

Il canale di Torino, in quanto completamente urbano, ha lasciato davvero poche tracce e  le immagini d'epoca sono ancor più rare.

(cliccare sulle immagini per ingrandire e scorrere)

Online dal: 23/11/2022   

Ultimo aggiornamento: 21/05/2024   

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