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I molini della Molinetta

3. IL SECONDO MOLINO

NUOVE DIFFICOLTA'

Il canale della Molinetta raccoglie le acque della bealera Pissoira, impinguate a monte da quelle della Cossola e della Becchia. Le ultime due sono derivate dalla Dora Riparia rispettivamente a Collegno ed Alpignano, mentre la Pissoira è una derivazione della stessa Cossola. Tutte svolgono essenzialmente funzioni irrigue. Il canale è ultimato già l’anno successivo, ma le sue potenzialità risultano sovrastimate e sorgono nuovi problemi. Innanzitutto, contrariamente alle previsioni, la ruota aggiunta non riesce a soddisfare del tutto la domanda locale di macina. In secondo luogo gli scoli delle bealere, derivati dalla Dora e densi di detriti, a cui si aggiungono scarichi e rifiuti raccolti strada facendo, tendono a riempire lo stagno di nita, sabbia e giare che ostruiscono e deviano il flusso delle risorgive, imponendo frequenti e costose pulizie dello stagno per permettere il funzionamento degli opifici. (1)

La questione dell’in-terrimento dello sta-gno è seria. Nel dise-gno dell'arch. Carlo Antonio Busso, del 28 agosto 1748, gli scoli delle bealere superiori percorrono il canale sternito in pietra con argini rinforzati da tavole di legno che costeggia la strada del molino. Un acquedotto in legno li conduce alla balconera del molino scavalcando diago-nalmente lo stagno evitando che le acque torbide si mescolino

Stagno della Molinetta
Lente.jpg

a quelle limpide delle sorgenti. Il manufatto però versa in pessimo stato e lascia “trapellare” nello stagno sabbie e ghiaie. Per evitare l’ostruzione delle risorgive l’arch. Busso propone di sostituirlo con un nuovo canale di cotto sulla riva destra dello stagno. Il progetto aumenterebbe in modo rilevante il potenziale del molino, ma non sarà attuato. Nel disegno il condotto in legno esistente è tracciato in nero, quello nuovo in cotto è indicato dalla linea rossa. E' riportata una sola ruota del molino, ma la didascalia chiarisce che quelle installate sono due.

Fonte: ASCT, CS  2722

I guasti arrecati alla strada reale di Moncalieri dagli straripamenti del canale costituiscono un  grave problema per trasporti e commerci e danneggiano diverse proprietà private. (2) Il misuratore ed estimatore ing. Carlo Emanuele Rocca è investito della questione. Nella relazione datata 25 aprile 1744, egli conferma il modesto contributo dato dagli scolatici agli opifici della Molinetta ed i danni provocati allo stagno. Inoltre, a suo avviso, gli allagamenti della strada reale, almeno in inverno, sono imputabili in gran parte al canale; sia con lo straripamento dei fossi laterali che gli argini, pur elevati e rinforzati, non riescono a contenere;  sia nella svolta dove esso scende al molino, forse a causa dei sedimenti accumulati.  La conclusione a cui l'ing. Rocca giunge è drastica: siccome il canale produce più guai che benefici ne propone la soppressione. A suo parere l’alveo dello scaricatore utilizzato in precedenza, opportunamente adeguato in larghezza e profondità, dovrebbe essere ripristinato per ricondurre, come in precedenza, gli scoli al Po. (3)

La Congregazione nella seduta del 25 aprile 1744 dichiara di “non dissentire” all’esecuzione di quanto proposto dal Rocca e dà mandato all’Economo di trattare con il sig. Fecia la restituzione dei terreni attraversati dal canale. (4) Analogo ordine è impartito dall’intendente di Provincia pochi giorni dopo, prevedendo un’ammenda per chi ostacolasse l’attuazione dei lavori. (5) Non conosciamo il motivo per cui tali decisioni non hanno avuto seguito, ma si può ipotizzare che abbia influito il progetto di ritracciamento e rettifica della strada di Moncalieri, che l'allontanava dal sedime del canale. Il Rocca nella sua relazione assicura che il ritorno alla situazione passata avrebbe salvaguardato la strada e le proprietà allagate. Occorre però considerare che gli scoli ristagnavano già prima della costruzione del canale, anche a causa degli scarichi illeciti dei privati e che il drenaggio delle acque aveva costituto un ulteriore motivazione allo scavo del canale stesso; in ogni caso l’esondazione dei fossi laterali era frequente anche in estate.

Il molino a due ruote
1749 Molinodella Molinetta

Il disegno redatto dall’ing. Bernardo Vittone nel 1749 descrive compiutamente il molino e permette alcuni rilevamenti. Il fabbricato misura sul lato più lungo 4 trabucchi 4 piedi e 6 oncie (pari a poco più di 14 m) e risulta diviso in tre locali di dimensioni analoghe tra loro. I primi due ospitano le macine e il terzo un magazzino o la stalla. Una tettoia protegge le operazioni di carico e scarico. Il molino monta due ruote idrauliche; da altra fonte si apprende che una di esse è destinata alla molitura del barbariato, una miscela di semi di grano e segale, succedanea alla farina bianca di solo frumento. (Cfr. Testimoniali di stato dei mulini della Città di Torino del 27 gennaio 1742 - ASCT, CS 2721)

La balconera regola e miscela le acque delle sorgenti raccolte nello stagno e quelle del canale in legno provenienti dalle bealere superiori; tre paratoie regolano il flusso diretto ai "caminassi" in legno, due destinati alle ruote ed il terzo allo scaricatore.

A causa della poca acqua le ruote del molino sono collocate a sbalzo e sfruttano ognuna una parte del salto complessivo di circa 4 metri, misurato dalla balconera alla base della seconda ruota. Esse distano tra loro circa 4.5 m e quasi altrettanto la prima dalla balconera; sono alimentate sul fianco ed il diametro è stimabile in circa 2 m. Sembrerebbero forse del tipo “a palette” ma a tal proposito il disegno è troppo incerto.

Fonte: ASCT, CS 2722 (particolare)

LA CITTA' DI TORINO CONTRO LORENZO DEPAOLI

Nel 1747 il vecchio Jan Paul, e Vittorio Amedeo II suo mentore, sono ormai scomparsi. Alla Molinetta la tintoria ed il follone versano in cattive condizioni. La domanda di macina insoddis-

sfatta induce ancora gli abitanti del contado torinese meridionale a servirsi di altri molini, spingendo la Municipalità a potenziare il proprio impianto. Sulla scorta di un sopralluogo compiuto nella primavera del 1748 gli ufficiali della Ragioneria ritengono che il salto del follone e le acque delle sorgenti che sgorgano a valle del molino, unite a quelle dello stagno e del canale, permetterebbero di aumentare il numero di ruote. Essi credono che i presupposti della concessione del 1721 non sussistano più e che la Città possa quindi rientrare in possesso del terreno e dei diritti d’acqua ceduti al tessitore olandese, eventualmente liquidando al figlio Lorenzo, subentrato al padre nella direzione della fabbrica di panni, il valore dei macchinari e della tintoria ormai in rovina. Il Consiglio comunale approva e dà mandato di procedere, anche per vie legali, se sarà necessario. (6) Lorenzo Depaoli si oppone all’esproprio e rifiuta l’offerta. Inizia una così causa che si protrarrà per diversi anni, concludendosi con un accordo amichevole tra le parti solo nel 1752. (7)

Gualcheria-o-Follone-da-panni-(big).jpg

L'immagine mostra un follone da panni tratto dalle tavole della "Encyclopedie francaise" e risale alla metà del XVIII secolo. Il valore è indicativo, poichè i folloni potevano assumere fogge assai diverse, pur basandosi sul principio del movimento verticale alternato di martelli.

Fonte: Il mestiere e il sapere duecento anni fa. Tutte le tavole dell'Encyclopedie francaise, a cura di J. Proust, Mondadori, 1983

Il primo grado di giudizio. Il rescritto depositato il 15 giugno 1748 dà inizio all'azione legale promossa dalla Città per il reintegro di sito ed acqua del follone. La sentenza di primo grado, emessa l’11 dicembre 1749, sarà però favorevole a Lorenzo Depaoli. Le ragioni della Municipalità si fondano, come si è detto, sulla difesa dell'interesse generale, rappresentato dall'esigenza inderogabile di aumentare il potenziale produttivo del molino, e sul venir meno delle condizioni originarie della concessione. I suoi legali sostengono che la fabbricazione dei panni è cessata da tempo, che la tintoria è in rovina ed il locale destinato ad altre funzioni, che il follone “gira miseramente”, se non addirittura fermo e che il  Depaoli ha occupato più delle 25 tavole di terreno autorizzate. La concessione del 1721 era esplicitamente motivata dal pubblico interesse ed autorizzava il solo esercizio della tintura e follatura dei tessuti, prevedendo in caso contrario la revoca immediata, e comunque nel caso in cui il follone avesse interferito con gli interessi della Municipalità. Come si è già accennato, la riserva era estesa nel tempo e qualora la Città avesse voluto costruire nuovi edifici, aumentare le ruote del mulino, o portarvi maggiori quantità d’acqua, la tintoria ed il follone avrebbero dovuto essere smantellati senza indennizzo di alcun tipo. La Città chiede l’applicazione di queste clausole, dichiarandosi disposta ad acquistare il macchinario del follone se non fosse sgomberato prima della demolizione. (8)

La difesa del convenuto contesta punto per punto gli assunti della Città. Essa sostiene che le autorizzazioni di cui gode il Depaoli sono perpetue e non soggette a revoca e nega che sito e follone siano stati destinati ad usi diversi. La produzione dei panni non è cessata, ma trasferita a Moncalieri per ordine del Consiglio del Commercio in esecuzione del volere di S.M. (9)  e in quella sede “dieci tellari battenti” continuano tutt'ora a produrre per il Reggio Magazeno e per i mercanti, torinesi e non. Negli ultimi quattro anni l'impianto ha follato “751 pezze di panno rattina et 67 di panni fini” (10) e la produzione avrebbe potuto essere maggiore se la guerra non avesse ostacolato l’importazione delle lane grezze. La tintoria è, si, in rovina ma semidistrutta da un grave incidente in cui sono andate perdute 16 balle di lana fina già purgata e le caldaie di stagno e bronzo. Solo per questo motivo l’attività è stata trasferita altrove ed i resti del fabbricato impiegati in altro modo. Lo stato delle cose non è quindi imputabile a volontà o incuria del proprietario: egli non ha potuto ricostruire a causa delle vicende belliche ed in ogni caso è intenzionato a farlo appena possibile. Se il follone lavora a rilento (“ad un batto solo”) dipende dalla cronica carenza d’acqua. Si rimarca che l’impianto non è trasferibile, poichè la qualità dei panni dipende in larga parte dalla purezza  delle acque di risorgiva. Viene rigettata infine l’accusa di occupare una superficie maggiore del dovuto. (11)

La posizione giuridica di Lorenzo Depaoli pare piuttosto solida. La Città ribadisce i motivi di interesse collettivo alla base delle proprie richieste, a sostegno dei quali vengono depositate, nonostante l’opposizione del convenuto, la già citata relazione dell’ing. Busso del 1748 ed una nuova perizia giurata dell’ing. Vittone. (12) Quest’ultima in particolare argomenta in modo chiaro l'impossibilità di costruire un nuovo molino e/o aggiungere nuove ruote  senza utilizzare sito e acque del follone. Tuttavia, come si è già detto, il primo grado di giudizio va a favore del Depaoli: la sentenza dell’11 dicembre respinge le argomentazioni e le richieste della Città, a cui sono addebitate le spese processuali per L.150. (13)

LA RELAZIONE VITTONE

Scopo esplicito dello studio dell’ing. Bernardo Vittone condotto nell’estate del 1749 è appurare, sulla scorta di dati e misurazioni effettuate sul campo, se si possa accrescere il salto della seconda ruota del molino ed aggiungerne due nuove senza sacrificare il follone. Il Vittone accerta che la produttività media delle due ruote esistenti, ottenuta in via sperimentale e confermata dal mugnaio, è di 12 emine di frumento giornaliere, pari a circa 200 kg. Essa è la sola su cui contare con sicurezza, poiché si basa sul potenziale dinamico dello stagno, l'unico regolare e sempre disponibile. Con gli scoli delle bealere superiori la capacità di macina ovviamente aumenta, ma solo per otto o nove mesi l’anno, ed essi non sono sufficienti per far girare con continuità un numero maggiore di ruote. Il declivio esistente tra le balconere dei due opifici consentirebbe di aumentare di circa un piede il salto tra le due ruote attuali del molino; in tal modo, prolungando il fabbricato verso ponente, un volume d’acqua adeguato potrebbe alimentare sia una nuova ruota da porsi a monte di  quelle attuali, sia una quarta, del tipo a davanoira, a valle, tutto ciò senza creare intralcio al follone. Tuttavia il volume delle acque disponibili permette di aggiungere la sola davanoira e volendo invece installare due ruote idrauliche sarà d’obbligo sfruttare completamente salto ed acqua del follone. Data la poca acqua, le quattro ruote da macina dovranno essere collocate necessariamente in sequenza; in alternativa le due nuove potrebbero essere erette nell’edificio della follatura, dopo le ristrutturazioni del caso e la rimozione degli ordegni esistenti. La demolizione del fabbricato non è quindi inevitabile ed questa l’opzione caldeggiata dal Vittone. Ma comunque si voglia operare, sia che si abbatta l'edificio del follone, sia lo si utilizzi per il nuovo molino, non vi è alternativa all’esproprio: il sig. Depaoli dovrà in ogni caso restituire siti e acque a suo tempo concessigli. (14)

Gli atti d'appello. La Città ricorre contro la sentenza di primo grado con rescritto datato 16 gennaio 1750, in cui ribadisce la necessità e l’urgenza di potenziare il molino della molinetta, nonché l’impossibilità di farlo senza espropriare sito e diritti d’acqua del Depaoli. La chiave dell’appello rimane necessariamente la difesa dell’interesse generale, tanto della Città quanto dei privati. A tal fine vengono prodotte ulteriori testimonianze raccolte in un documento a "capitoli" ed una nuova relazione dell’ing. Carlo Antonio Busso. Contestualmente viene rinnovata l’offerta di acquisto del follone sulla base del valore da stimarsi. Il Depaoli la respinge, contestando anche l’ammissibilità dei capitoli, e la causa continua.

I "CAPITOLI"

I “capitoli” costituiscono un promemoria articolato delle ragioni portate dalla Città in appello, confermate ed argomentate dalle testimonianze giurate del funzionario preposto ai molini della Città, Piero Antonio Bollano, del molinaro della Molinetta, Giuseppe Bauducco, del mercante Carlo Gallino ed dei massari Michele Antonio Gallino, (cascina del conte Lodi) Tommaso Vaudagnotto, (cascina del conte Nappione) e Felice Bernardo (cascina del conte Lodi).

Esso verte su cinque punti così sintetizzabili:

  1. Gli abitanti delle regioni comprese tra il Po e Moncalieri, quali il Drosso, Borgaretto, Lingotto, Millefiori (sic) ed altre, da anni portano le loro granaglie ai molini di Orbassano, Moncalieri e di altri comuni in palese violazione del diritto esclusivo di macina che compete alla Città.

  2. La Città tuttavia non può obbligarli al rispetto di tale diritto, se non a prezzo di oneri e disagi assai gravosi, a causa della distanza che separa le loro abitazioni dai propri molini.

  3. Quello della Molinetta è il solo impianto municipale di cui essi possano comodamente servirsi.

  4. Tale molino è però dotato di due sole ruote, che sono insufficienti per soddisfare la domanda di macina, e ciò anche in seguito al forte incremento della popolazione degli ultimi anni.

  5. Risulta quindi imprescindibile aggiungere altre due ruote alla Molinetta sfruttando salto e acqua del follone del sig. De Paoli, nonchè quella delle fontane inferiori. Soltanto in questo modo sarà possibile produrre in loco tutte le farine per gli abitanti e ripristinare i diritti della Città.

Le dichiarazioni allegate ai capitoli offrono anche una viva testimonianza della quotidianità contadina del tempo. Gli intervistati lamentano all’unanimità la lontananza e le capacità insufficienti dei molini municipali. Ai Molassi di borgo Dora, del Martinetto e “del Pillone” (della Madonna del Pilone) essi “non puonno il più delle volte avere le loro granaglie macinate per il rifiuto che li viene fatto da molinari di macinare, attesa la gran quantità de concorrenti e pocche ruote de Molini” e “non si può per qualunque preghiera ottenere dai molinari di macinare”. Soprattutto in estate ed autunno, ammettono di essere costretti ad andare abitualmente a macinare a Moncalieri, Orbassano, Grugliasco, Stupinis, Beinasco e qualcuno addirittura al Villaretto. La distanza è un problema ma altrettanto lo sono i tempi di attesa. Spesso è impossibile esser serviti subito, si aspetta a lungo il proprio turno, oppure si devono lasciare i sacchi in deposito per più giorni. Ciò obbliga a percorrere la strada due volte ed a sospendere i lavori nei campi con grave danno, soprattutto per i lavoratori a giornata, costretti a perdere la paga. Un testimone dichiara che “se si dovesse aspettare la comodità dei molinari sarebbero più e più particolari costretti apperir di fame, e lasciar andare incolti li beni”. Parimenti è sottolineata l’estrema utilità del molino della Molinetta, senza dubbio il più comodo tra quelli municipali, ma al contempo è riconosciuta l’insufficienza delle due sole ruote esistenti. La domanda insoddisfatta è molta ed il mugnaio stesso ammette che a causa della poca acqua e delle poche ruote è costretto a mandare spesso a macinare altrove, e che “quelli che è costretto mandar via sono quasi più di quelli che riesce a soddisfare”. A suo parere le ruote necessarie sarebbero ben cinque. Tutti riconoscono che per aumentare il potenziale del molino non vi è altro mezzo che usare salto ed acqua del follone del sig. Depaoli. In tal quadro la Città, dal suo canto, non può far rispettare le proprie prerogative con la forza e non per mancanza di autorità, ma perché è in gioco la produzione del pane e quindi la sopravvivenza stessa dei cittadini. In ultimo è opinione generale che la situazione si sia aggravata di molto per “la gran quantità di popolo occorsa" e il gran numero di “cittadini e forestieri”, ed in particolare dei fittavoli, che si sono stabiliti nella Città e nel suo finaggio” negli ultimi anni. (15)

L’ing. Busso, nella relazione datata 8 febbraio 1751, è ancora più categorico circa le ragioni dell’esproprio e l’impossibilità di risparmiare il follone. A suo avviso la Città “non ha né può avere in alcuna maniera acqua viva d’aggiungere al detto suo molino della Molinetta”, poiché le acque della bealera di Grugliasco, della Becchia, della Cossola e della Giorsa, derivate dalla Dora nei comuni di Alpignano, Pianezza e Collegno, sono da sempre usate tutte per irrigare campi e prati di Torino e Grugliasco. Esse appartengono a consorzi privati e la Città non ne può disporre. La loro distribuzione avviene “come stabilito per ogn’ora, in modo che terminata la quota di tale distribuzione si ripiglia l’altra", proseguendo in tal modo finchè tutte le utenze sono servite. Il mulino è tra queste ma non può contare sul completo apporto di tali acque nemmeno in inverno. In particolare gli scoli della Becchia, anche in tale stagione, sono largamente utilizzati a discrezione e bisogno delle cascine del conte Verasio di Costigliole e della vedova Richelmi. Il Busso conferma quindi che tali acque non possono garantire il regolare giro delle ruote esistenti e quindi ancor meno di quelle previste. Egli esclude infine di poter sfruttare a vantaggio del molino le acque estratte dalla ficca della Pellerina, sia perché appena sufficienti al moto dei molini di Dora e degli altri edifici della Città e di S.M., al servizio della Cittadella, all’irrigazione della tenuta del Valentino ed agli altri usi preposti, sia perché il declivio non è sufficiente per tracciare un nuovo canale per condurle alla Molinetta. (16)

Gli accordi. Pur procedendo il contenzioso per via legale, le parti parallelamente trattano per chiuderlo in via amichevole. L’accordo è raggiunto nella primavera del 1752, su una base economica ben differente da quella inizialmente proposta e fermamente respinta da Lorenzo Depaoli. La Città gli riconoscerà ora, oltre al valore della fabbrica, anche il danno dovuto alla sua dismissione, che include i mancati utili della follatura svolta sia in proprio che in conto terzi, stimato in 400 lire annue, nonché quello attribuito alla difficoltà di trovare un nuovo sito provvisto di acqua limpida di sorgente. La somma complessiva pattuita ammonta a lire 5.500. L’atto notarile del 28 giugno 1752 formalizza l'accordo, annulla ogni obbligazione precedente e sancisce la “retrocessione fatta dai sig.ri fratelli De Pauli a favore dell’Ill.ma Città di Torino “, che acquisisce “fabbrica, e fabbriche del follone, e tingeria in detto sitto fatta fabbricare, ed attualmente esistenti in detto sitto al di sotto del molino della Molinetta … colle altre fabbriche, boscami, ed ordegni inservienti al salto, et uso dell’acqua per detto follone colla sola riserva e facoltà ad essi sig.ri Depaoli di poter esportare da detta fabbrica del follone li mobili et arnesi non infissi, né affissi, e separabili, et inservienti all’esercizio del medesimo follone pel follamento dei panni”. Gli eredi Depaoli dal canto loro rinunciano in toto ai diritti acquisiti con le patenti del 1720 e con la concessione del 1721. (17)

Conclusa la vicenda giuridica, l’ampliamento della Molinetta procede speditamente. Ricevuto quanto dovuto, gli eredi Depaoli sgomberano la fabbrica e consegnano le chiavi alla Città. (18) I lavori al molino sono eseguiti in economia già nell’estate (19) ed a fine settembre “le nuove ruote sono giranti”. (20) Gli Ordinati del 29 settembre confermano che il follone è stato quasi completamente demolito. Il molinaro suggerisce che i materiali di risulta e parte delle fondamenta siano impiegati per costruire una stalla dotata di tettoia “per il ricovero delle bestie che vengono cariche al suddetto molino”. La spesa stimata è modesta ed ammonta a sole 450 lire. Il Consiglio municipale approva perché "in tal modo vengono impiegati li materiali, quali puonno deperire”. (21) Tuttavia per raggiungere la piena funzionalità i molini richiederanno un’ulteriore intervento. L’ispezione guidata dal Vicario nei primi mesi del 1753 accerta che le due ruote erette al molino inferiore funzionano regolarmente, ma producono un rigurgito che ferma il giro di una di quelle del molino superiore. La Congregazione autorizza quindi la Ragioneria a far abbassare di poco le due nuove ruote. La spesa richiesta è modesta, stimata tra le 150 e le 200 lire, considerati i costi dei materiali, delle maestranze, del falegname e del mastro da muro. (22)

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note
NOTE
  1. Secondo la Relazione di visita fatta dal sig. Architetto Rocca del 1744, tale spesa, in aggiunta alle le frequenti riparazioni che il canale richiede, ammonta a circa 250 lire annue. Cfr. ASCT, CS 2045.

  2. Se ne ha traccia ad esempio negli Ordinati del 2 luglio 1742, da cui si apprende che i fossi laterali della strada sono stati rotti dagli scolaticci destinati alla Molinetta e se ne ordina la riparazione. Cfr. ASCT, Ordinati 1742, pag. 60.

  3. Cfr.  Relazione di visita fatta dal sig. Architetto Rocca.. cit.

  4. Cfr. ASCT, Ordinati 1744, pag. 48.

  5. Cfr. ASCT, CS 2045.

  6. Il problema è reale. Gli abitanti di Mirafiori, Lingotto e Borgaretto, accusati di aver eluso l’obbligo di macina presso i molini municipali in esplicita violazione dei bandi campestri del 23 marzo 1747, si difendono sostenendo che il molino della Molinetta non è in grado di servirli completamente. Esso è spesso fermo per mancanza d’acqua e comunque distante diverse miglia; inoltre è difficile da raggiungere quando le acque del Sangone si ingrossano. Anche il molino di Dros [del Drosso], presso cui la Municipalità aveva concesso loro di macinare, è andato distrutto e non è più stato ricostruito. (Cfr, [ASCT, Ordinati 29 settembre 1748, p. 104) L’Amministrazione non è sorda a queste ragioni. Esse sono alla radice dell’azione legale intentata verso il Depaoli; qualche mese più tardi essa autorizzerà temporaneamente i particolari delle regioni in questione a produrre le loro farine fuori del territorio torinese. (Cfr, ASCT, Ordinati 20 maggio 1749, p. 39).

  7. Cfr. ASCT, Ordinati 3 giugno 1748, p. 62,

  8. Il cognome della famiglia risulta ormai italianizzato e, come di consueto, in forme diverse. Depaoli e De Paoli sono tra quelle usate, indifferentemente, nei documenti; per semplicità verrà qui sempre riportata la prima.

  9. Cfr. ASCT, Atti Notarili 1721-22 Vol. 96, pag. 41 e CS 272, Sommario della causa della Ill.ma Città di Torino contro il il sig. Lorenzo Depaoli, 1749-52.

  10. Con Reggio Viglietto del 9 aprile 1732 S.M. "per non pregiudicare le altre Arti stabilite in città, ha ordinato al suddetto Consiglio di far trasportare fuori di Torino tutte le fabbriche di stoffe di lana, eccettuata quella dello Spedale della Carità".

  11. Cfr, ASCT, Sommario... cit.

  12. Cfr. ASCT, Sommario... cit.

  13. Deliberata dalla Congregazione nella seduta del 14 maggio 1749 e conferita con ordinanze del 24 luglio 1749 e del 21 agosto 1749.

  14. Cfr. ASCT, Sommario... cit.

  15. Cfr. ASCT, Sommario... cit.

  16. Cfr. ASCT, Sommario... cit.

  17. Cfr. ASCT, Atti Notarili 1751/52 vol. 130, 28 giugno 1752, p. 138, (r. Marchetti).

  18. Cfr. ASCT, Ordinati 29 luglio 1752, p. 72r.

  19. Cfr. ASCT, Ordinati 21 agosto 1752, p. 76r.

  20. Cfr. ASCT, Ordidinati 29 settembre 1752, p. 87r.

  21. Ivi.

  22. Cfr. ASCT, Ordinati 21 aprile 1753, p. 30.

Ultimo aggiornamento della pagina: 01/04/2020

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