L’edificio di piazza Don Albera 15 a Torino ospitò a partire dai primi anni dell’Ottocento la conceria dei fratelli Calcagno. È il solo sopravvissuto dell’antico nucleo protoindustriale di borgo Dora.
Torino 1818. Il ritorno del re Vittorio Emanuele I a Torino e la Restaurazione non hanno cancellato le iniziative manifatturiere nate nel periodo napoleonico. I fratelli Antonio e Vincenzo Calcagno sono i maggiori conciatori e mercanti da corami della città. Essi si sono fatti un nome nell'ambiente della lavorazione delle pelli e del cuoio con la fabbricazione di uno speciale pellame per la copertura di calesse e boughè. (1) Negli Stati Sardi sono i soli a produrre questo materiale, fino ad allora importato dalle concerie di Parigi e Pont-Audemer. La qualità delle loro produzioni è riconosciuta dalla Corporazione dei Mastri Sellai torinesi che la reputano pari, se non migliore, di quella proveniente dalla Francia. (2)
La conceria dei fratelli Calcagno si trova nel cuore di borgo Dora, a ridosso dei molini della Città, e sfrutta la forza dinamica del canale dei Molassi. Le fortificazioni sono state abbattute da poco, la città rimane compresa nel vecchio perimetro e al suo esterno prevalgono le zone agricole. La strada che conduce verso la pianura Padana e Milano si snoda ancora lungo le vie del borgo. La lunga arteria che diverrà corso Giulio Cesare e il ponte Mosca sono di là da venire: la loro realizzazione interesserà presto anche la conceria.
Fonte: Iconografia dell'augusta città di Torino (particolare), 1819 (AST, Sezione Corte)
La conceria dei fratelli Calcagno. Dal 1805 i fratelli Calcagno esercitano la loro attività in borgo Dora, in un edifizio idraulico sul canale della Fucina; ora però il contratto d’affitto è scaduto e non sarà rinnovato. Essi rivolgono una supplica alla municipalità per ottenere l’autorizzazione a trasferire la conceria nella loro casa a monte dei molini Dora, sulla sponda sinistra del canale dei Molassi, di fronte al filatoio Pinardi e a fianco del filatoio Galleani, i due storici setifici ad acqua torinesi. Essi ottengono così di erigere sul canale dei Molini una ruota idraulica “per dar movimento ad un bottale per disgrassare le pelli, e per tritolare la rusca col mezzo di taglietti per uso loro proprio e non altrimenti”; ossia per il funzionamento di una macchina per la pulizia preliminare delle pelli, e di una pesta per triturare la corteccia di quercia (detta "rusca") da cui si estrae il tannino necessario nei processi di concia. Tassativo è l’impegno assunto dai Calcagno di non effettuare lavori in conto terzi e non entrare, quindi, in concorrenza con gli analoghi impianti municipali. La ruota idraulica è del tipo a davanoira, ossia una ruota di grandi dimensioni, ma di potenza limitata, che utilizzerà un salto di 3 sole oncie – pari a circa 12 cm – da crearsi tramite uno sbarramento-partiacqua sul canale. Il moto sarà trasmesso all’opificio attraverso un albero motore posto sotto la strada. L’amministrazione comunale acconsente, con toni di vago sapore mercantilista, dichiarandosi “sempre intenta a promuovere l’industriosità dei torinesi”. La concessione è formalizzata con istrumento del 17 ottobre 1818, ha durata di 12 anni, prevede un canone annuo di 250 lire e vincola strettamente la ruota alla sola attività per cui è concessa. (3) L’analisi cartografica comparata lascia ipotizzare che i motori idraulici siano collocati in un nuovo corpo di fabbrica appositamente aggiunto sul lato orientale dell’edificio.
Nella planimetria è ben visibile la posizione della conceria e degli opifici circostanti. L’asse della ruota idraulica dell’edificio sottopassa il sedime stradale. Una palizzata parallela al canale munita di una porta mobile convoglia e regola il flusso dell’acqua verso la ruota davanoira. In basso a sinistra è riportata la confluenza del canale della Fucina.
Fonte: Ruota Calcagno. Planimetria (particolare), 1818 (ASCT, Ragionerie, 1818/40, p. 928).
L’anno successivo, con istrumento del 29 gennaio, la civica amministrazione vende i filatoi Pinardi e Galleani al signor Giuseppe Campana. (4) Pochi mesi più tardi, il 23 giugno, questi cede a sua volta ai Calcagno una parte del filatoio Galleani, insieme ai diritti d’acqua di cui l’opificio gode. Il breve lasso di tempo che intercorre tra l’acquisto e la rivendita del filatoio lascia supporre a un precedente accordo. I Calcagno si trovano ora a possedere due concessioni, gravate dai relativi canoni, corrispondenti a un potenziale di forza motrice di molto superiore al necessario. Tuttavia sono proprio i diritti d’acqua del filatoio ad averne motivato l’acquisto. Essi infatti temono che i rigurgiti prodotti da una nuova, eventuale, ruota idraulica eretta poche decine di metri a valle, prevista esplicitamente dal contratto stipulato dal Campana con la Città di Torino, possano causare loro pregiudizio. (5) I nuovi spazi acquisiti vengono integrati nella conceria e la prevista ruota idraulica non verrà installata. Termina, pertanto, in questo modo la storia del filatoio idraulico Galleani, il primo di moderna concezione introdotto in Piemonte alla fine del Seicento.
La sezione mostra come la posizione altimetrica del canale abbia determinato il passaggio dell'asse della ruota sotto il piano stradale e la collocazione dei macchinari negli scantinati della conceria. Sono rinoscibili la ruota idraulica "a davanoira", i sostegni, l’asse e le trasmissioni del moto all’interno dello stabilimento. I macchinari sono collocati negli scantinati.
Fonte: Ruota Calcagno. Sezione (particolare), 1818 (ASCT, Ragionerie, 1818/40, p. 928).
Nel 1825 L’amministrazione comunale progetta l’edificazione dei primi due isolati in capo alla nuova Strada d’Italia, che unirà piazza Emanuele Filiberto con il futuro ponte dell’ingegner Carlo Mosca. (Ossia quella che diverrà c.so Giulio Cesare). Si procede dunque ad acquisti ed espropri. In tale contesto, i Calcagno cedono alla municipalità parte del cortile della conceria e alcuni fabbricati minori, per un migliaio di metri quadri complessivi. L’amministrazione inoltre fa inoltre sapere che “male stava la fabbrica di conceria e corrieria per essi esercitata nel nuovo borgo che si va costruendo”. (6) In ogni caso è probabile che la riduzione degli spazi produttivi avesse comunque indotto i Calcagno a trasferirsi altrove. Essi infatti, con atto del 22 giugno 1825, acquistano dai fratelli Bognier la conceria Mandina, sita al Martinetto, sul canale omonimo. (7) I due imprenditori smobilitano da borgo Dora, dopo aver ceduto la parte dell’ex filatoio di loro competenza al signor Pietro Cornillet, con atto del 22 luglio 1826. (8)
Nella planimetria sono disegnate in rosso le due nuove isole da realizzarsi all’imbocco della nuova strada d’Italia, tuttora esistenti all’inizio di corso Giulio Cesare, e in giallo le parti di cortile e i fabbricati ceduti a tal fine dai Calcagno all’amministrazione municipale.
Fonte: Cessione di terreno alla Città di Torino dai Sigg. Calcagno per la formazione ed aprimento della nuova strada che immette al nuovo ponte sulla Dora, 1825 (ASCT, Atti Notarili, 1825, 13, p. 350).
I Calcagno nel panorama conciario torinese
Antonio e Vincenzo Calcagno hanno occupato un ruolo di rilievo nel panorama conciario torinese di primo Ottocento. Secondo una rilevazione statistica del 1823, la loro era la più grande conceria di Torino e cintura e dava lavoro a 36 operai, pari al 14.34% dei 251 addetti del settore. In città tale forza lavoro era distribuita in 56 opifici, la cui dimensione media era di sole 4.48 unità, ossia circa un ottavo di quella della conceria Calcagno. In Piemonte, al tempo, si producevano per lo più pellami conciati "in suola forte e debole ad uso dei Calzolai, dei Sellai e consimili artieri, in Vacchetta ed in Veaux tournés" nonchè pelli di agnello e capretto per guanti e pellicce, mentre la lavorazione del marocchino si stava da poco affermando e riguardava poche aziende. Oltre le coperture per le carrozze, il campo in cui i Calcagno occupavano una posizione largamente dominante era la lavorazione del pellame di vitello:, trattavano 6.000 pelli annue, pari ad oltre il 60% del totale. La loro presenza era rilevante anche nella lavorazione delle “pelli deboli da suola” (5.000 pezzi l’anno, pari al 25% del totale). Detenevano invece posizioni più defilate, ma comunque importanti, nelle “vacchette” (600 pezzi su 7.800) e nei "marocchini" (2.000 pelli su 26.000). I Calcagno rimarranno i leader dell’industria torinese della concia per lungo tempo, ampliando ulteriormente la loro attività dopo il trasferimento al Martinetto.
(Fonte: L'industria conciaria a Torino e Piemonte: 1814-1914, tesi di laurea di Antonio Di Molfetta, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia. A.A. 1967-1968, relatore A. Garosci, 1968, pag. 231)
Il filatoio da cotone Dumontel. L’attività manifatturiera nell’opificio di borgo Dora prosegue con altre produzioni. Lo stabile è locato inizialmente a tal Dumontel, che vi installa un filatore da cotone. Per il nuovo impiego risulta però sufficiente una forza motrice minore e la proprietà concorda con l’amministrazione civica la rimodulazione dei diritti d’acqua. Con atto del 30 giugno 1826 le due concessioni di cui i Calcagno sono ancora titolari vengono annullate, in anticipo sulla naturale scadenza, insieme ai relativi canoni. Contestualmente viene autorizzato l’uso della ruota “eretta sulla Bealera della Città nella medesima casa e luogo ove si trovava la conceria” a vantaggio del Dumontel, stabilendo un canone annuo di 15 lire. Una clausola ribadisce esplicitamente che ogni futura variazione d’uso dovrà essere autorizzata dal Comune e che, per motivi che è facile intuire, “giammai [si potrà] destinarla a pesta da rusca o fabbrica di conceria”. (9)
L'imprenditore tessile incontra presto gravi difficoltà. Già nel 1827 denuncia che le macchine e i 90 operai del suo stabilimento sono fermi a causa dei lavori di manutenzione della bealera dei Molini, che "rendono inoperosa la ruota idraulica". Egli lamenta pesanti perdite imputabili sia ai salari che egli continua a pagare, perchè “diversamente [i lavoratori] non avrebbero di che procurarsi il sostentamento giornaliero”, sia alla perdita dei clienti che si rivolgono alla concorrenza per il cotone filato. Egli chiede alla Città una “qualche forma di indennità” per i mancati guadagni. La Ragioneria municipale però non acconsente, in virtù del fatto che le concessioni di forza motrice idraulica esplicitamente escludono la garanzia di continuità dell’acqua nei canali. (10) Per questi, e forse altri, problemi l’attività di Dumontel cessa e nell’ottobre 1830 i fratelli Calcagno chiedono l’autorizzazione per surrogare al filatore un “torcitore da trama di seta”. (11)
Diverse produzioni fallimentari si alternano nell’ex conceria. L’ex conceria di borgo Dora attraversa ora un periodo travagliato, in cui si alternano in rapida successione diverse iniziative aleatorie e di breve respiro. Da un documento del 1832 si apprende che il torcitore di seta è stato affittato a un certo G. Maria Bertoldo, il quale, senza autorizzazione, lo ha ceduto a sua volta al signor Avezzana, che vi ha installato una piccola macina adibita sia alla produzione di “nero d’avorio a purgare il zuccaro”, (12) sia alla “macinazione del il ricino per estrarne l’olio ed altri generi”. Anche questa impresa volge però al fallimento e l'Avezzana lascia al Bertoldo la pesta quale compenso dei canoni d’affitto non pagati. Per qualche tempo la macchina viene usata per la “frantumazione di cocci di tegole per farne il mastico” da un certo signor Rosazza. Questi impieghi della ruota idraulica sono avvenuti in palese violazione della concessione del 1826, poiché nessuno di essi è stato autorizzato dalla municipalità. Ora però la questione è emersa ed i Calcagno si dichiarano ignari ed estranei all’accaduto. Chiedono, anzi, la regolarizzazione della pesta, assicurando che nei passati frangenti essa non è stata comunque utilizzata per la triturazione della rusca, come si è visto, una delle preoccupazioni municipali; e ciò sia perché incompatibile con la lavorazione della seta, che nel frattempo è andata avanti, sia perché espressamente proibita dai termini della concessione. In ogni caso promettono, impegnando anche l’affittavolo Bertoldo, che mai in futuro ne faranno uso contrario gli interessi della Città. La Direzione dei Molini, investita del caso, non mette in discussione la buona fede dei due imprenditori, ma tutela con fermezza gli interessi della Città e ribadisce che “siccome [essa è] proprietaria di molte piste atte a pistare qualunque oggetto di cui sia capace quella dei fratelli Calcagno e crede doversi ordinare alli medesimi la distruzione della stessa, limitandosi a far uso della ruota pel giro di quegli ordigni di cui ebbero permissione e non altrimenti”. (13)
Il confronto tra la planimetria sette-ottocentesca e la fotografia aerea dell'area mostra le profonde trasformazioni della zona e al contempo la sopravvivenza del fabbricato della conceria dei fratelli Calcagno. L’ala destra del fabbricato pare essere stata riedificata. Da notare che nella carta del 1771 la posizione dei filatoi Galleani e Pinardi è erroneamente invertita.
Fonte: ASCT, CS 2661. Fonte: Google Maps.
Il crivellatore del sig. Gautier. Qualche anno dopo i fratelli Calcagno escono definitivamente di scena. Nel 1832 Michele Gautier, originario di Nizza marittima, ha ottenuto dal sovrano la privativa (ossia l’uso esclusivo) per gli Stati sardi di una macchina di sua invenzione per crivellare il grano a secco. Egli, con istrumento del 4 aprile 1833, acquista l’edificio dei fratelli Calcagno al prezzo di 57.500 lire (14) e l’anno successivo ottiene dalla municipalità l’autorizzazione ad adibire la ruota idraulica al movimento del suo congegno. (15) In concreto la macchina dovrebbe consentire la setacciatura a secco del grano, senza far uso dell’acqua come nel processo tradizionale, e la migliore monda dei cerali sottoposti a macinazione dovrebbe consentire di ottenere farine di qualità più elevata.
Avviata la produzione, il Gautier chiede di sottoporre la propria invenzione a prova ufficiale per certificarne efficienza e funzionalità. L'esperimento si tiene il 23 agosto 1833 alla presenza di un gruppo di commissari nominati dal Vicariato, dall’Università dei Panettieri e dalla Ragioneria municipale. (16) Se dal verbale risulta che “Il frumento così crivellato, ridotto in farine e quindi in pane, non presentò nessuna diversità in confronto al pane fatto con uguale frumento crivellato secondo l'uso antico”, la valutazione economica dell’esperimento è demandata alla perizia redatta dai sindaci dell'Università dei Panettieri. Dove si legge che “Per effettuare l'esperimento sono stati prelevati dal magazzino delle granaglie della Città 25 sacchi di formento della qualità più comune a farsi macinare” e che esso “fu condotto senza interruzione dalle dieci del mattino a mezz'ora dopo il meriggio per mezzo di crivelli, ventillatori, tubi, graticole di filo di ferro ed una macina inserviente a premere le qualità molli, e segnatamente il formento nero, rotolandovi sopra, che sono le componenti principali la macchina suddetta”. La crivellatura ha prodotto circa 30 kg di scarto, composti da granotto, grinse, lolla, terra e sassolini. Inoltre “la macchina espellisce appieno la polvere, la lolla, le terre ed una parte dell'avezzone, vale a dire quelle di maggior grossezza, come non meno la massima parte delle minute sementi, ma non separa l'avezza ordinaria, qualche granello di loglio, e trita e pesta alcuni grani di frumento, sebben di poco o niun riguardo”. In più la gestione dell’impianto risulta complessa e, benché sia mosso da forza idraulica, richiede il lavoro di almeno sei operai. Il verdetto finale non è dunque favorevole: infatti il lavoro della macchina “può equivalere a quella di ben purgato lavamento” ed è opinione dell’Università dei Panettieri che il crivellatore del Gautier non offra grandi vantaggi. (17)
Anche questa iniziativa volge quindi al termine. Da una supplica del 5 ottobre 1833 si apprende che Michele Gautier è ormai sul punto di abbandonare l'attività, nonostante gli investimenti e i sacrifici fatti per l’acquisto della casa, per la costruzione di macchinario ed utensili, per l’assunzione degli operai e il trasferimento a Torino di parte della famiglia. Tuttavia egli non rinuncia a un ultimo e velleitario tentativo. Per limitare le perdite e non lasciare la macchina inoperosa, chiede l’autorizzazione ad aprire nella sua casa una rivendita, all’ingrosso ed al minuto, di grani, farina e semola, e di installare nella stessa due forni per la cottura e lo smercio del pane. Egli confida che la bianchezza e la purezza delle farine ottenute dal crivellatore potranno procurargli con il commercio quei benefici che sperava di ricavare direttamente dalla macchina. Egli domanda inoltre l’esenzione dei dazi dovuti per l’ingresso dei grani in città e il permesso di macinarli presso i molini Dora. Vengono investiti della questione il Vicariato, l’Intendenza dei Forni, l’Azienda dei Molini e l’Intendenza del Dazio sulle Farine. (18) Gautier abbandona comunque entro l’anno vendendo, con istrumento del 2 gennaio 1834, il fabbricato, la ruota e la relativa concessione a Giuseppe Trivella, al prezzo di 46.000 lire. La sola compravendita dell’opificio produce per l'imprenditore nizzardo una perdita di 10.000 lire.
Nell’immagine di Mario Gabinio, che risale al 1900, sopravvivono ancora la ruota idraulica della ex conceria e la piccola steccaia dotata di partiacqua per la sua alimentazione, come pure la strada che costeggia il canale e conduce ai cortili dei caseggiati che si affacciano su c.so Giulio Cesare. Questo scorcio torinese ottocentesco scomparirà di lì a poco con la creazione di p.za don Albera.
Fonte: Fondazione Torino Musei, Archivio Fotografico, Fondo M. Gabinio, invent. 14A11 (particolare)
I documenti relativi alle vicissitudini del Gautier lasciano tra-sparire qualche dub-bio circa i suoi animal spirits imprenditoriali, oltre che sulle qualità tecniche della macchi-na. Non si spiegano tuttavia l’attenzione, la prudenza e la bene-volenza che la buro-crazia municipale, in-solitamente, dimostra nei suoi confronti du-rante tutta la vicenda.
Entra in scena di Giovanni Trivella. L’ex conceria passa quindi un’altra volta di mano, ma una cattiva stella brilla ancora sul suo destino. Contestualmente all’acquisto dell’opificio, Giovanni Trivella ha ottenuto l’autorizzazione a impiegare la ruota idraulica a vantaggio di “alcuni piccoli torni per la molatura dei cristalli” e di “una pesta per terre da colore” da affiancare alle due macchine “privileggiate” esistenti. A tal fine viene confermato il canone d'acqua annuo di 15 lire accordato a Gautier. (19) Poche settimane dopo però, dal carteggio che egli intrattiene con l’amministrazione, si apprende che l’artigiano che aveva intenzione di installare la mola per i cristalli ha rinunciato e che Trivella stesso ha deciso di abbandonare il crivellatore perché non produce alcun utile. Con l’occasione, egli chiede di poter destinare liberamente, in futuro, la ruota idraulica alle produzioni che riterrà più opportune, senza dover richiedere espressa autorizzazione, naturalmente alle condizioni economiche e con l’esclusione di quelle produzioni che la Città vorrà ratificare con apposito atto. L’amministrazione civica concede lo specifico cambio d'uso della ruota, rifiutando però l'istanza liberatoria avanzata dal Trivella, ribadendo controllo e diritti esercitati da secoli sulle acque e sugli “edifizi” idraulici cittadini. (20) In ogni caso, con atto del 14 agosto 1834, è concesso a Trivella di “unire alla filatura di cotone o torcitore di seta anche una macina per le terre da colore per uso dei coloraj ed un ordegno per raccogliere le materie metalliche esistenti nelle spazzature delle botteghe degli orefici e argentieri”, con solo un modestissimo aggiustamento di 5 lire del canone annuo. Con l’occasione si ribadisce ancora una volta il divieto categorico di “adibire la ruota all’uso di conceria ed esplicitamente al trittolamento della rusca”. (21)
Benché la planimetria sia riferita a un altro opificio, sono ben visibili la posizione della ruota ora Trivella, della piccola steccaia realizzata per evitare rigurgiti a monte e delle altre strutture di presa e regolazione presenti in quel tratto di canale.
Fonte: Tipo planimetrico del tratto del Gran canale dei mulini…, 1833 (ASCT, Atti Notarili, 1833, 23, p. 176).
Con il tempo il Trivella privilegia la filatura del cotone alle altre fabbricazioni e per lo stabilimento inizia un periodo più favorevole, tanto che nell’aprile 1844 ottiene il nulla osta per avviare i lavori sul canale e sulle strutture di adduzione già concessi a Gautier, ma da questi non effettuati, per incrementare la forza motrice prodotta. Il progetto prevede l’allargamento del canale, l'arre-tramento della sponda destra di circa 1,6 m e la sua ricostruzione in lastroni di pietra da taglio; l’abbassamento dell’asse di trasmissione; e sopra-ttutto la sostituzione della ruota idraulica di 1,28 m di raggio con una
Altra immagine scatta da Mario Gabinio della ruota "a davanoira", ora ruota Trivella, sul canale dei Molassi. Beni visibili in primo piano le paratoie mobili per la regolazione dell’acqua.
Fonte: Fond. Torino Musei, Arch. Fot., Fondo M. Gabinio, inv.14A11 (particolare)
di 1,5 metri. (22) Giovanni Trivella mantenne lo stabilimento fino alla morte, avvenuta nel 1866, dopo di che la proprietà fu divisa tra i numerosi eredi. Una ventina di anni più tardi, forse in seguito a intervenute difficoltà finanziarie della famiglia, l’immobile venne acquistato da tal Francesco De Bernardi.
Epilogo. La storia della conceria Calcagno, per ora, si interrompe qui. Nella seduta del 6 agosto 1866 la commissione d'ornato della Città approvava un progetto edilizio presentato dal De Bernardi, volto in primo luogo a innalzare di un piano il fabbricato. (23) Il piano però non sembra aver avuto seguito, e ancora negli anni Settanta del Novecento l'edificio manteneva forme e aspetto originali. Le modifiche oggi visibili nell'ala orientale (la sostituzione di un piano con un terrazzo) paiono dovute ad interventi successivi.
Il progetto presentato dal De Bernardi nel 1886 prevedeva la sopraelevazione del casamento di via Priocca 15. Le parti tinteggiate in nero rimangono allo stato di origine; quelle delineate in nero e colorate in rosso vengono sopraelevate; le parti delineate in rosso rappresentano quelle di nuova costruzione.
Fonte: ASCT, Progetti Edilizi, 1886/228.
A sinistra: il fabbricato tra Otto e Novecento. (Fonte: Fond. Torino Musei). Sopra: nel 1965: si noti il terrazzino odierno, a destra, successivo a tale data (Fonte: Imm. del cambiamento). Sotto: oggi.
NOTE
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Si tratta di una sorta di carrozzella a due ruote, dal francese arcaico boughei.
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ASCT, Atti Notarili, 1818, 4.
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Ibidem.
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ASCT, Registro delle Mutazioni, atto 119, 23 giugno 1819, r. Albani.
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ASCT, Ragionerie, 1819/8, documenti vari.
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ASCT, Ragionerie, 1826/22; Atti Notarili, 1826, 15.
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ASCT, Registro delle Mutazioni, atto 308, 22 giugno 1825, r. Cardetti.
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ASCT, Ragionerie, 1826/22; Atti Notarili, 1826, 15.
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ASCT, Registro delle Mutazioni, atto 551, 22 luglio 1826, r. Gatti.
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ASCT, Ragionerie, 1827/24.
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ASCT, Ragionerie, 1830/31.
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Il nero d’avorio è una sorta di carbone animale ottenuto bruciando in difetto di ossigeno ossa animali e impiegato per la raffinazione e decolorazione dello zucchero di canna.
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ASCT, Ragionerie, 1832/35.
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ASCT, Ragionerie, 1832/34; Registro delle Mutazioni, atto 1892, 4 aprile 1833, r. Velasco.
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ASCT, Ragionerie, 1833/36.
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ASCT, Ragionerie, 1833/37.
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ASCT, Registro delle Mutazioni, atto 1892, 2 gennaio 1834, r. Velasco.
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Ibidem.
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ASCT, Ragionerie, 1834/38.
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ASCT, Atti Notarili, 1834, 24, istrumento 14 agosto 1834, r. Villanis.
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Ibidem.
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ASCT, Ragionerie, 1844/58.
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ASCT, Progetti Edilizi, 1886/228.
Ultimo aggiornamento della pagina: 19-09-2020