
Guadi sulla Dora tra Torino e Collegno
(e l'antica strada della Pellerina)
Per secoli, traghetti e guadi hanno rappresentato valide alternative per attraversare fiumi e torrenti. I ponti medioevali, infatti, richiedevano considerevoli risorse umane e materiali per la costruzione, e non sempre erano in grado di resistere alle piene improvvise e rovinose di corsi d'acqua dal regime torrentizio, come nel caso della Dora Riparia. Questa pagina si propone di esaminare i guadi documentati in epoca medioevale lungo la Dora Riparia tra Torino e Collegno, e di esplorare i possibili tracciati dell'antica strada percorsa nel torinese dai pellegrini, conosciuta come "Strata Pelerina".
Ultimo aggiornamento: 14-11-2025
1. Ponti, traghetti e guadi
Nel Medioevo, la costruzione dei ponti rappresentava un'im-presa considerevole, sia per le risorse umane ed economiche richieste, sia a causa delle cono-scenze ingegneristiche dell'epo-ca. L'arco a campata unica costituiva la migliore soluzione da opporre all’impeto delle ac-que; tuttavia, presentava un serio limite: all'aumentare della larghezza del corso d'acqua, la ampiezza della campata gene-rava l'elevazione considerevole

Fig. 1.1 - Traghetto sulla Dora Riparia nelle vicinanze del castello di Lucento. La posizione della chiesa parrocchiale e del filatoio da seta ne suggeriscono la collocazione nel tratto di fiume a monte degli stessi, corrispondente, come si vedrà, alla valle di S. Benedetto.
Fonte web - Castello di Racconigi
della parte centrale del ponte, e di conseguenza pendenze troppo ripide sui versanti, impraticabili dai carri trainati da animali. L'adozione di più arcate offriva una valida alternativa, ma i piloni richiedevano profonde e robuste fondamenta edificate nel letto del fiume difficilmente realizzabili nell'alto Medioevo. Non a caso, i ponti in pietra esistenti del tempo erano perlopiù di origine romana. (1.1) La vulnerabilità era maggiore per le strutture in legno, peraltro preferite in molte circostanze per la facilità di costruzione. (1.2) In caso di guerra, in un’epoca così turbolenta ed incerta, i ponti potevano trasformarsi in un pericolo a vantaggio del nemico. Pur consentendo transiti sicuri e veloci in ogni condizione di fiumi e torrenti, e pur generando utili consistenti e regolari attraverso i diritti di passaggio, di norma, questo tipo di attraversamento era riservato ai nodi viari strategici e più trafficati. Nel caso torinese, è interessante sottolineare la mancanza, per secoli e fino a tempi relativamente recenti, di ponti stabili sulla Dora Riparia nel tratto di fiume tra Torino e Collegno.
Per attraversare i corsi d'acqua impraticabili a guado, si ricorreva molto spesso ai traghetti: grosse zattere concepite per trasportare uomini, merci e animali, assicurate a un cavo teso tra le due sponde per resistere alla forza della corrente. Il servizio e la riscossione dei pedaggi erano appannaggio di feudatari, monasteri o comunità locali. Gli approdi dei traghetti erano detti anche "porti", tanto che i due termini rimasero a lungo sinonimi. (1.3)
Fin dal Neolitico, gli attraversamenti più semplici e comuni sono stati i guadi. In epoche successive, e fino a tempi relativamente recenti, la facilità di costruzione ha rappresentato il loro principale vantaggio. Dove le sponde del fiume erano sufficientemente basse per spianar la riva e far la scarpata, il letto compatto e non troppo largo, le acque meno profonde e la corrente più debole, una sommaria livellazione del fondo e la rimozione di rocce e impedimenti vari era sufficiente per consentire il transito di cavalli, asini, muli, carri e pedoni. I punti adatti non mancavano, considerando che nel torinese, almeno fino al Settecento, i corsi d’acqua erano probabilmente meno profondi di oggi. (1.4) Quando necessario, si potevano aggiungere pavimentazioni precarie, sacchi di sabbia, fascine, tronchi e materiali di supporto reperibili sul luogo. Le passerelle formate da tavole, travi e pali in legno erano dette "planche". (Dal francese "planche", ossia "tavola"). Ovviamente, quando le condizioni del fiume lo consentivano, questo tipo di passerelle potevano surrogare i ponti gravemente danneggiati o crollati, in attesa della loro riparazione o ricostruzione. L'effettiva praticabilità degli attraversamenti era soggetta al livello delle acque, e perciò condizionata da limitazioni stagionali e da situazioni meteorologiche avverse. Tuttavia, se spazzati via dall'ingrossamento dei fiumi, i guadi potevano essere riparati e ripristinati in breve tempo. Tale flessibilità permetteva inoltre di affrontare tempestivamente improvvisi impedimenti alla mobilità di ordine economico, politico o militare.

In conclusione, se i ponti stabili rap-presentavano opere solide e capaci, ma onerose, traghetti e guadi erano strutture più flessibili, economiche e assai diffuse fino all'avvento delle moderne tecnologie costruttive del cemento armato e del ferro, che meglio si potevano adattare alle esigenze geografiche ed economiche locali e alle variazioni del momento. Va comunque osservato che sistemi diversi di transito di frequente coesistevano.
Fig. 1.2 - Nella mappa di Vittorio Amedeo Grossi del 1791 si riconosce il “porto di Altessano” (oggi Venaria Reale), situato presso la confluenza tra la Ceronda e la Stura di Lanzo. Di proprietà feudale, era attraversato dalla strada che conduceva a Caselle. Un secondo importante passaggio fluviale si trovava presso l’abbazia e l’ospedale di San Giacomo di Stura, sorti su un terreno donato nel 1146 ai monaci vallombrosiani affinché assicurassero il transito mediante un traghetto e un ponte. I resti del complesso sussistono in strada Settimo 254, nella regione ancora oggi chiamata Barca. Fin dal XII secolo, nella documentazione medievale, ricorre inoltre la menzione dell’attraversamento di San Vito sul Po, collegato alla strada per Asti e Genova.
Fonte: Gallica - BnF
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(1.1) Si ritiene, infatti, che la capacità di costruire ponti in pietra a più arcate fosse andata perduta con la fine del periodo romano e fosse stata riacquisita solo assai lentamente durante il Medioevo. Cfr. F. Monetti e F. Ressa, La costruzione del castello di Torino, ora Palazzo Madama, Bottega d’Erasmo, 1982, Torino, p. 34. — Infatti, i primi ponti in pietra medievali furono costruiti nel 1185 a Parigi e nel 1209 a Londra, mentre in Italia il primo esempio noto è il Ponte Vecchio di Firenze del 1345, seguito dieci anni dopo dal Ponte Scaligero di Verona.
(1.2) Cfr. Tiziano Mannoni, La via Francigena, cultura materiale ed economia, in: Le vie del Medioevo - Pellegrini, mercanti, monaci e guerrieri da Canterbury a Gerusalemme. - Atti del Convegno, Regione Piemonte, pag.155 e segg.
(1.3) Il termine "porto" nei documenti altomedievali indicava la nave-traghetto con la quale si effettuavano i trasbordi da una riva all’altra del fiume, e solo successivamente la voce si estese a significare il punto d’imbarco. Cfr. Renato Stopani, Le vie di pellegrinaggio del Medioevo. Gli itinerari per Roma, Gerusalemme, Compostela, Le Lettere, Firenze, 1991, p. 51.
(1.4) Cfr. Laboratorio di ricerca storica sulla periferia urbana della zona Nord-Ovest di Torino (a cura di), Soggetti e problemi di storia della zona nord-ovest di Torino fino al 1796: Lucento e Madonna di Campagna, Università degli studi di Torino. Facoltà di Scienze della formazione, Torino 1997, p. 20.
2. I guadi di Vialbe e di S. Benedetto
Le valli fluviali della Dora Riparia più prossime a Torino offrivano le condizioni più favorevoli alla formazione di attraversamenti. Le ricerche del Centro di Documentazione Storica di Lucento (CdS) hanno infatti documentato l’esistenza, in epoca medievale, di due guadi a ovest di Torino, noti rispettivamente come "vado di Vialbe" e "vado di S. Benedetto", (2.1) che mettevano in comunicazione la viabilità diretta verso la valle di Susa, sulla riva orografica destra, con la strada che correva sulla sponda sinistra del fiume.
Quest'ultima, ricalcando il tracciato di una via di età romana, dal crocevia della chiesa di Santa Maria Maddalena — ossia dalla regione nota come le Maddalene, situata nell'Oltredora torinese, in asse con la Porta Palatina — procedeva verso ovest, lungo il ciglione del pianalto, mantenendosi a ridosso della Dora per circa un chilometro e mezzo. Toccava le località dette "in Giudeo" e "Fontana Gagliarda" fino al Castellazzo di Vialbe, per proseguire poi verso Lucento. Attraversato il territorio detto "Aviglio", si dirigeva verso Collegno e, guadato il fiume, si innestava sul tracciato della riva destra a Pianezza, o più probabilmente ad Alpignano. (fig. 2.1)

Fig. 2.1 — In epoca medievale, sul versante sinistro della Dora, risalendo il corso del fiume, si incontravano quattro valli dette rispettivamente di Vialbe, di San Benedetto, di Lucento e di Sant’Andrea. Per valle fluviale si intende la porzione di territorio delimitata da un’ansa del fiume. Le ricerche del Centro di Documentazione Storica di Lucento (CdS) hanno individuato due guadi, o vadi, situati nelle prime due valli, dalle quali prendevano il nome. La figura mostra inoltre gli insediamenti e le strade esistenti nell’Oltredora tra il XII e il XIII secolo, nonché il limite del terrazzo fluviale che si affacciava sulle “basse” del fiume, indicato con linea a tratteggio verticale. Questa conformazione è oggi solo in parte riconoscibile, a causa delle modifiche d’alveo, naturali e antropiche, subite dal fiume. La valle di Vialbe fu rettificata nel 1486 per iniziativa della famiglia Scaravello, allo scopo di difendere dall’erosione il costone vicino alle proprie cascine, dando così origine alla caratteristica curva a “S” compresa tra gli attuali corsi Svizzera e Umbria; la grande curvatura all’altezza del Parco della Pellerina fu invece eliminata negli anni Trenta del Novecento.
Fonte: CDS, Soggetti e problemi di storia della zona nordovest... cit. Tavola 6.
Il guado di Vialbe. Circa un chilometro a monte di Torino, nella prima valle disegnata dal fiume — oggi scomparsa — un documento di accensamento del 1216 attesta l'esistenza del "vado de Vialbe". (fig. 2.1 e fig. 6.5). Il luogo, indicato in un altro atto anche come “ad vadum Malbex”, per probabile distorsione del nome, si trovava nel tratto di fiume compreso tra le regioni dette “in Giudeo” e “Riva Gagliarda” a est, e il “Castellacium de Vialbe” a ovest. Quest'ultimo, edificato forse su rovine di età antica, derivava dalla trasformazione di una "domus cum fossale, ayra et tecto" posta al centro di una proprietà di notevoli dimensioni. La "torreta sive bicocha", ossia la torre di guardia edificata in loco dalla città di Torino, conferma sia la natura fortificata dell'insediamento sia l’importanza strategica del guado. (2.1bis) Passato il fiume, la strada si congiungeva a quella che correva lungo la sponda sinistra proprio nei pressi della casa-forte. (fig. 2.1) e (2.2) Il sito corrisponde al perimetro delimitato dal fiume e dalle vie Borgaro, Orvieto e Verolengo, un tempo occupato dalle cascine Bianchina e Scaravella — edificate sulle rovine dell’antica fortificazione — e, più recentemente, dalle Ferriere Fiat e oggi dal Parco Dora (2.3)
Il guado di S. Benedetto. Questo attraversamento si trovava a ovest del precedente, nella valle omonima delimitata dai castelli di Vialbe e di Lucento. (Fig. 2.1). Il toponimo “valle Sancti Benedicti” compare in due documenti del 1219 e del 1263. Va osservato che quest’ultimo menziona soltanto una generica via del vado situata "ultra Duriam ubi dicitur in valle Sancti Benedicti"; il nome con cui il passaggio era conosciuto in origine non è noto, e pertanto la denominazione è successiva e convenzionale. (2.4)
La mappatura del CDS non documenta guadi di epoca medievale nelle valli di Lucento e di Sant’Andrea, dei quali è tuttavia ragionevole ipotizzare l'esistenza, nonostante la conformazione un po' meno adatta del fiume.

Fig. 2.2 - La "Carte de la Montagne de Turin" dell'ing. La Marchia indica che alla fine del XVII secolo i guadi di Vialbe e di S. Benedetto erano ancora praticati. Il primo era attraversato da una strada che aveva origine a nord-ovest della città, mentre il guado di San Benedetto era raggiunto da un tracciato che si diramava dalla via di Collegno. Nella mappa compare ora la doppia ansa creata dalla rettifica d'alveo effettuata dalla famiglia degli Scaravelli per contenere l’erosione di sponda che minacciava le cascine Bianchina e Scaravella.
Fonte: AST, Sez. Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Torino, Torino 14 (particolare)
La rilevanza dei guadi di Dora è confermata dalla loro persistenza nel tempo, testimoniata dalla documentazione e dalla cartografia dei secoli successivi. (fig. 2.2. e nota 2.5) Questi passaggi non creavano soltanto interconnessioni tra le grandi direttrici di traffico di lunga percorrenza, ma erano cruciali anche per raggiungere i nuclei posti sulla sponda sinistra del fiume — come Altessano, Druento, Ciriè e Lanzo — inserendosi nella rete viaria minore che collegava gli insediamenti e le proprietà situate sulle due sponde.
Si consideri, ad esempio, che la comunità di Lucento, prima della consacrazione della chiesa locale, avvenuta nel 1462, dipendeva dalla parrocchia di San Bernardo da Mentone, situata presso la porta Segusina, obbligando i fedeli ad attraversare il fiume per raggiungerla. (2.6) Più in generale i passaggi fluviali accorciavano di molto il cammino di chi volesse raggiungere Valdocco, il borgo di San Donato e i monasteri, gli ospedali e le strutture di accoglienza posti all'ingresso occidentale della città.
Fino alla fine del XIII secolo, a causa di un diverso corso del fiume, la strada di Settimo attraversava la Dora al ponte in pietra di epoca romana, eretto presso il Priorato e Ospedale di S. Maria e Lazzaro (in seguito noto come "delle Maddalene", vedi Fig. 2.1) oggi collocabile nell'area di via Chivasso. (2.7) Un'ulteriore divagazione della Dora portò all'abbandono del ponte, ma fino ad allora, data la distanza che lo separava dall’abitato, i guadi riducevano sensibilmente il percorso di chi era diretto a Torino.
L’esistenza di vari attraversamenti è confermata dai provvedimenti della Credenza torinese nei periodi di guerra. Il 15 aprile 1388 si disponeva di sorvegliare “i guadi e i passaggi della Dora fino al bosco del Collegio al di qua della Dora” e, pochi giorni dopo, di chiudere “i guadi della Dora, sia sotto il ponte [di borgo Dora, a Torino] che a monte, fino ai confini di Collegno”. (21 aprile 1388) (2.8)
Un ulteriore attestazione si trova nell'ordine di ispezione dei "vada Durie, a fundo Vanchilie usque ad Pelerinam", impartito il 4 maggio 1394, presumibilmente in seguito alle piene primaverili. (2.9) Tra le misure volte a migliorare la transitabilità del fiume, va annoverato il mandato del 5 giugno 1379 ai Martino Tintore e Ardizzone de Fronte di individuare il luogo più adatto per la realizzazione di una planca, ossia di una passerella in legno per l'attraversamento a raso del fiume, idonea ail trasporto dei cereali destinati ai molini di Porta Palazzo, forse la stessa che, già l'anno successivo richiedeva lavori di restauro. (2.10)
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(2.1) Cfr. Laboratorio di ricerca storica sulla periferia urbana della zona Nord-Ovest di Torino (a cura di), Soggetti e problemi di storia della zona nord-ovest di Torino fino al 1796: Lucento e Madonna di Campagna, Università degli studi di Torino. Facoltà di Scienze della formazione, Torino 1997, p. 20.
(2.1bis) M.T. Bonardi, A. Settia, La città e il suo Territorio, in Storia di Torino vol.2, "Il basso Medioevo e la prima età moderna (1280-1536)," a cura di R. Comba, Einaudi, Torino, 1997, p. 66.
(2.2) Ivi, pp. 20-24.
(2.3) Idem.
(2.4) Idem.
(2.5) Entrambi i guadi sono rintracciabili, ad esempio, oltre che nella carta di fig. 2.2, anche nel disegno dell'arch. Carlo Antonio Bussi relativo al corso della bealera del Martinetto, datato 27 gennaio 1749 (ASCT, CS 2055) e nella Carta topografica delle regie Cacce, del 1766 circa, disponibile presso l'Archivio di Stato di Torino. Il guado detto di S. Benedetto è riportato anche nella Carta corografica dimostrativa del territorio della città di Torino di Giovanni Amedeo Grossi del 1790-1791.
(2.6) Soggetti e problemi, cit. pp. 20-24.
(2.7) Cfr. Alberto Levi, Il ponte romano in pietra sulla Dora Riparia a Torino: ipotesi di identificazione e localizzazione, Tesi di laurea di primo livello, Università degli studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2009-2010, per gentile concessione dell'Autore.
(2.8) Ordinati 15 aprile 1388, p. 170)
(2.9) Ordinati 4 maggio 1394, p. 56)
(2.10) Ordinati 5 giugno 1379, p. 38r e 11 giugno 1380, p. 45) — L'iter dell'opera è ricostruibile nei dettagli attraverso gli Ordinati. Dopo aver valutato anche la costruzione di un ponte si sceglie la passerella, da realizzarsi con il minor costo possibile, pari a otto fiorini. Il finanziamento è difficile e si ricorrerà ad un anticipo forzoso di mezzo fiorino a carico dei membri della Credenza. L'edificazione richiede una "royda" che coinvolge i cittadini torinesi, obbligati a fornire buoi per i trasporti dei materiali e manovalanza, sotto pena di 3 soldi viennesi di ammenda per chi non si presenterà. Il costo di travi e pali sarà a carico del Comune; il progetto è del Governatore dei ponti Martino Tintore. Tuttavia già l'anno è posta all'ordine del giorno la posa di una nuova "plancha", forse in seguito ad una naturale diversione del corso della Dora. Cfr. Ordinati 6 novembre, 23 novembre e 26 novembre 1382, e 29 maggio, 1 giugno e 19 luglio 1383, 4 aprile 1384.
3. Il "vado de Leoneti" e il "vado Magnano"
Dagli atti della causa che alla fine del Cinquecento ha opposto i comuni di Torino e Collegno per la definizione dei rispettivi termini, si ricava la posizione di altri quattro guadi. (3.1) Strumenti cruciali sono due disegni del pittore Giacomo Rossignolo e le testimonianze dei residenti, tra cui il cittadino torinese Marco Lionetto. Secondo queste fonti, procedendo da Collegno verso il capoluogo, si incontrano nell'ordine: il “vado Magnano”, situato nel territorio di Collegno, un secondo di cui non viene specificato il nome, quindi il “vado de Leoneti” e il “vado della Pellerina”.
Il "vado de Leoneti". Il guado non è indicato esplicitamente nelle tavole del Rossignolo, ma è possibile dedurlo dalle stesse e dagli atti della controversia. Nella prima tavola un generico “vado de la Dora” mette in comunicazione la cascina Saffarona, o “de Carboneri”, sulla sponda orografica sinistra del fiume, con la “cassina de Nazerij" sulla sponda destra. Esso è collegato alla via “qual passa al drietro della cassina delli Lioneti et per qual via si va passar inanti la grangia delli Nazeri et nanti la chiesa di santa Maria di Gorzano”, dove confluisce nella “via da Turino a Colegno”. La chiesa è una semplice cappella campestre di origine medievale, già in rovina all’epoca dei fatti. La prossimità alla “cassina dei Lionetti”, attestata dalla seconda tavola, lascia pochi dubbi sulla sua identificazione. (Fig. 3.1) Oltrepassato il fiume, la strada attraversa un fitto bosco raggiungendo la Saffarona e le Vallette. Il guado ha una rilevanza anche locale, ed è abitualmente utilizzato da “qualli vanno carrigar più volte delli boschi che campano di qua, della Dora”. La collocazione di questi elementi nel contesto territoriale odierno è determinabile con buona approssimazione, poiché molti ancora esistono o sono facilmente riconoscibili. (Fig. 3.1-3.3)


Fig. 3.1 - I "Tipi dei confini tra Torino e Collegno" realizzati da Giacomo Rossignolo nel 1579 su rilevazioni dei fratelli Arcangelo Giovanni e Giovanni Domenico De Ferrari, sebbene di natura percettiva e non topografica, costituiscono una preziosa testimonianza storico-territoriale. Nella tavola di sinistra è menzionato un generico "vado di Dora", ma la vicinanza alla "cassina de Lioneti", (a destra) permette di identificarlo come il "vado de Lioneti". Diversi elementi della mappa sono riconoscibili anche oggi: la "cassina de Nazerij" corrisponde alle cascine Berlia e Grange Scott, che si trovano di fronte al Campo di volo di Collegno, in strada vicinale della Berlia 543 a Torino. La "strada di Collegno" coincide con l'attuale "strada antica di Collegno". La chiesa campestre di "S. Maria di Gorzano", edificata nel 1295, diroccata e in disuso già alla fine del Cinquecento, sorgeva all'incrocio delle due strade suddette, oggi nell'area del largo Manlio Quarantelli a Collegno, in luogo della rotonda dedicata al monumento al Pilota Collaudatore. La "cassina de Lioneti" è generalmente identificata con la cascina Tetti Basse di Dora, ma osservando le mappe del Rossignolo essa parrebbe forse corrispondere alla cascina Mineur. (Fig. 3.3) Tale incertezza non impedisce comunque di collocare il "vado de Lioneti".
Fonte: A sinistra ASCT, CS 3027 - particolare); a destra ASCT; CS 3145 (particolare)
Il "vado Magnano". I disegni del Rossignolo pongono il “vado Magnano” nel territorio di Collegno, poco distante dalla “cassina de Braeri" (oggi Ferraris), indicato nella documentazione "coherente alli boschi di Collegno et ha una regione nominata al cho fine et verso Collegno". L'attraversamento è facilitato dalle secche create dalla traversa della bealera vecchia di Lucento, talora detta, infatti, bealera di Vado Magnano. (3.2) Il guado è raggiunto dalla “via Trasenda”, una strada larga oltre due trabucchi e costeggiata da grandi alberi di noce, che "incomenza sopra la strada di Rivoli... et se protende verso meza notte... sino a Doyra in recta linea... traversando la strada grossa per la qual si va da Torino a Colegno". Il guado e la strada sono riconosciuti dagli abitanti del luogo "di anticha, antichissima origine". (3.3)
Quanto osservato conferma che i due guadi collegavano le principali vie di comunicazione dirette verso la Valle di Susa, integrandole con la rete dei tracciati locali. E' importante notare, inoltre, che nella documentazione l'uso dei toponimi è esteso alla regione circostante (ad es. "in loco dicto Corzano", "in loco dicto ad trisendam"...) e che la "val di pellerina" è esplicitamente indicata quale "in Gorzano" e viceversa. Questo fatto è rilevante, non solo perchè i due toponimi risultano intercambiabili e diventano di fatto sinonimi, ma anche perchè suggerisce che la "valle Pellerina" comprendesse la sponda destra del fiume, spingendosi forse fino al "puteo de strata".

fig. 3.2 - Nel disegno del Rossignolo il "vado Magnano" è collocato a monte della cascina oggi nota come Ferraris, sotto la "ficca" della bealera vecchia di Lucento. Il "vado" è raggiunto dalla "via Trasenda", che proviene da sud e interseca le strade di Rivoli e Collegno. Sono riportate inoltre le "cassine" di Domenico Braero, Pietro Reijnero, Augustino Lioneti e dei Fratelli Nazery. Sulla sponda destra del fiume, scorrono parallele le bealere "dei Gatti" (Cossola) e "Canale" (ramo della Putea), mentre nell'Oltredora è riportata la bealera nuova di Lucento, indicata quale "di Sua Altezza". Il bosco riconoscibile sulla destra costituisce un riferimento territoriale ricorrente e consolidato in medioevale, già citato in un atto del 1156. Sempre sulla destra del disegno si nota il muro perimetrale del parco di Lucento, da poco acquisito da Emanuele Filiberto (1574). La grande tenuta ducale si estende su entrambe le rive della Dora e la recinzione impedisce il passaggio del fiume per un lungo tratto.
Fonte: ASCT; CS 3145 (particolare)

fig. 3.3 - I riferimenti territoriali cinquecenteschi consentono di proiettare idealmente i disegni del Rossignolo sul territorio attuale e, nonostante l'industrializzazione e l'urbanizzazione, di individuare approssimativamente la posizione dei "vadi" " Magnano" e "de Lioneti, rispettivamente a sinistra e a destra nell'immagine.
Elaborazione su ortofoto Google Earth
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(3.1) Cfr. Mauro Silvio Ainardi, Alessandro Depaoli, Il Territorio Storico. S. Donato Campidoglio Parella, Città di Torino, 2008, pp. 7-14. Per la documentazione originale, da cui sono tratte le citazioni, si vedano ASCT, CS 3017 e gli atri faldoni relativi alla causa tra i due comuni. Per la corrispondenza con le cascine odierne Cascine a Torino, La più bella prospettiva d'Europa per l'occhio del coltivatore, a cura di C. Ronchetta e L. Palmucci, Camera di commercio di Torino, 1996.
(3.2) Cfr. M. Biasin, D. Bretto, Le trasformazioni del castello di Lucento dalle origini all'inizio del Seicento. Da torre di avvistamento a residenza di caccia, in: Quaderni del CDS, Anno i, n°1, 2002, p. 21.
(3.3) Un'altra fonte, menziona, a Collegno, una regione conosciuta come "ponte del gran bosco". Il bosco potrebbe corrispondere a quello rappresentato nelle tavole del Rossignolo e il ponte costituire un ulteriore, per quanto precario, attraversamento della Dora. Cfr. Terna Rete Italia, Relazione Archeologica T. 213 Pianezza - Grugliasco, 2015, p. 20
4. Il "vado Pelerina"
Sugli altri due attraversamenti la documentazione esaminata rimane vaga. Del guado della Pellerina, attesta soltanto la posizione, successiva al “vado de Lioneti”, in direzione di Torino. L'informazione, tuttavia, è preziosa poiché, coerente con le fonti che associano il toponimo Pellerina alla valle di S. Andrea, (fig. 2.1) ne circoscrive la collocazione. Il toponimo “Pellerina” sembra consolidarsi a partire dalla metà del XIV secolo per identificare un guado e una strada già esistenti. Il termine, probabilmente derivato dalla contrazione di “Pellegrina”, (4.0) designava un percorso alternativo alla via Romea, situato quindi sulla sponda sinistra della Dora Riparia, preferito dai pellegrini che dalla Francia raggiungevano Roma e Gerusalemme.
Gli Ordinati trecenteschi della Città di Torino, ovvero le verbalizzazioni del Consiglio comunale, riportano numerosi riferimenti ai guadi della Dora, in particolare a quello della Pellerina. Questi riferimenti sono legati a provvedimenti di chiusura dei transiti, motivati sia da ragioni sanitarie – volte a isolare la città durante le ricorrenti epidemie di peste – sia dallo stato endemico di guerra che caratterizzava il periodo. Il 30 dicembre 1333 si ordina di fermare gli attraversamenti sul Po e sulla Dora e di sistemare i fossati; il provvedimento rientra tra le misure per rafforzare le difese e la guardia civica. L'ordine di chiusura dei passaggi viene reiterato il 26 gennaio successivo. La prima menzione esplicita del toponimo Pellerina risale al 12 febbraio 1343, quando si dispone che i lavoranti impegnati nella ricostruzione della "bicocam Pelerine" e del riordino delle linee di difesa in direzione di Vanchiglia provvedano "ad claudendum vada Pelerine et transitus bealerie Coleasche". (4.1) La "bicocca" era una garitta eretta per il controllo del fiume e del guado, parte di un più ampio sistema di avvistamento formato da punti di osservazione situati in luoghi strategici. Un'altra menzione avviene negli Ordinati del 3 giugno 1349 che, sempre nel contesto del rafforzamento della guardia, delegano a una commissione di sapientes, o saggi, di predisporre la ricostruzione della "bichocha" di Vanchiglia "et de realtandis et stoppandis vadis Durie et bealerie Coleasche. (4.2) La "bicocha" nei pressi della presa della "bealerie Coleasche" è citata anche negli Statuti della Città di Torino del 1360. (Cfr. L'età Medioevale) A partire dal 1387, con la ripresa delle ostilità contro il marchese del Monferrato e il duca di Milano, si avviava un'ampia mobilitazione militare, che includeva l'adeguamento, la riparazione e il rafforzamento delle fortificazioni cittadine, compresa chiusura dei passaggi fluviali in caso di minacce dirette a Torino. (4.3) Un primo momento critico arriva
in primavera, quando il 19 marzo viene raddoppiata la guardia della Pellerina. Contestualmente, il massaro del comune è incaricato di formare due barriere di protezione ("cerquas") lungo le rive della Dora, fino al Po. Il 27 maggio sono dislocati uomini in arme ad Alpignano. In precedenza, già l'11 maggio; era stata disposta la chiusura ("claudentur et extopentur") dei "guadi esistenti sulla Dora, dalla 'bichocha' di Pellerina fino alla confluenza nel Po". Misura ribadita il 28 giugno, con la nomina dei massari incaricati di attuarla e autorizzati a utilizzare il legname dei boschi comunali. (4.3) Provvedimenti simili furono adottati negli anni successivi, come dimostrano le delibere del 21 aprile e del 28 ottobre 1388, quest'ultima motivata dalle "novità e offese del momento". Il 22 agosto 1389, i pieni poteri sugli attraversamenti fluviali fu affidato ai "sapientes custodie", con facoltà di impartirne chiusura. Contemporaneamente, fu inviato un messaggero a Collegno per sollecitare l'adozione di misure analoghe. (4.4) L'ordine di "claudere vadum Pelerine et bealeriam dicte Pelerine usque ad castrum Vendronum et allibi ubi fuerit oportunum" viene nuovamente impartito alla vigilia di Natale del 1391. (4.5) Un singolare indizio dell'attraversamento fluviale emerge anche dai nomi degli abitanti del luogo: ad esempio, quella Margareta de Vado che nel 1375 chiede, con i figli, di essere esonerata dalla guardia cittadina notturna, e nei figli del defunto Bertino da Vado, che nel 1373 reclamano il risarcimento dei danni causa dello straripamento del canale della Pellerina. (4.6)
L'esistenza del guado è confermata almeno fino alla fine del Cinquecento, quando lascia traccia nella documentazione pertinente il canale del giardino della residenza torinese del duca di Savoia (1570-1574). Successivamente le menzioni diventano più rare, forse a causa della formazione del "Palco di Lucento", avviata a partire dal 1574. La grande tenuta agricola e di caccia del duca Emanuele Filiberto si estendeva su entrambe le sponde della Dora e il muro che la circondava certamente impediva l'attraversamento del fiume. (Fig. 3.2) Nel 1586 il duca Carlo Emanuele I, meno legato del padre a queste terre, cedette il feudo di Lucento e le sue pertinenze al genero Filippo d'Este in cambio del Valentino, ma non si hanno notizie circa i destini della recinzione del Parco. (4.7)
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(4.0) Data l'incertezza della toponomastica, va osservato che, al tempo, "Pelerinus" era un nome proprio molto diffuso e che, in via del tutto ipotetica, l'origine del toponimo potrebbe essere più semplice e meno convenzionale.
(4.1) ASCT, Ordinati 1343, pag. 171. Proprio l'Ordinato delll'8 marzo 1342, relativo alla costruzione della bicocca Pellerina , o più probabilmente alla sua ricostruzione, di deve probabilmente la prima menzione del toponimo Pellerina.
(4.2) ASCT, Ordinati, 1349, pag. 273.
(4.3) I provvedimenti per il rafforzamento delle guardie e delle difese si susseguono rapidamente nel corso dell’anno: si erigono nuove opere, si moltiplicano i punti di osservazione per le sentinelle, e si tagliano i boschi che ostacolano la visuale. Tra le molte disposizioni, l’8 aprile il Maggior Consiglio stabilisce servizi permanenti di guardia alle porte cittadine e la fortificazione di quella di San Michele; il 14 aprile ordina il taglio degli alberi attorno a Santa Maria di Pozzo Strada e la chiusura dell’ospedale; il 21 maggio viene istituita una guardia sul campanile del monastero di San Giacomo di Stura, abbandonato dall’abate. Ad agosto, la guardia stabile della Pellerina viene revocata, ma rimangono i custodi dislocati lungo le mura, a San Pietro, a porta Nuova, a porta Marmorea, a San Brizio, a Fibellona, a San Lorenzo, a San Salvatore, a porta di San Michele, alla Capra e a Sant’Andrea. Risulta singolare che i sapientes custodie il 9 luglio siano costretti a intervenire contro coloro che rimuovono il legname dalle chiusure dei guadi, con ammende a carico sia dei colpevoli (da 61 soldi di moneta viennese per ogni carrata di legna asportata a 10 soldi per ogni fascio o bestia caricata), sia dei campari di Vallisdoc, in caso di mancata sorveglianza su guadi e l chiusure. ASCT, Ordinati, 1387,
(4.3a) Idem.
(4.4) Idem. I provvedimenti varati nel 1388 e 1889 sono ancora più stringenti e drammatici, e comprendono, tra gli altri, l'acquisto di balestre, l'assunzione di mercenari, l'istituzione di guardia permanenti sulle torri, la chiusura della porta di San Michele e costruzione di un rivellino a difesa della porta Palazzo.
(4.5) Ordinati del 24 dicembre 1391, pag. 208. Il pieno potere di provvedere alle difese, alle guardie dentro e fuori la città e alla chiusura dei guadi è delegato a una commissione di sedici sapientes. L'urgenza è dovuta alla presenza degli armati di Facino Cane alle porte di Torino. Nel marzo del 1392 viene posta una guardia stabile alla bicocha Pelerina, ricostruita a inizio dell'anno perchè ormai rovinata. (Ordinati 7 gennaio e 10 marzo 1392); altri importanti interventi riguardano la fortificazione torinese si ripetono nel corso dell'anno. (Ordinati 4 giugno 1392 e soprattutto 10 novembre 1392).
(4.6) ASCT, Ordinati, 28 maggio 1373, p. 139r e 17 aprile 1375, p.156v.
(4.7) La costituzione del Parco ebbe un considerevole impatto sulla viabilità locale, rendendo impraticabili vecchi itinerari.
Nel caso della strada che collegava Collegno a Lucento il Duca stesso si fece carico della realizzazione di un nuovo tracciato in sostituzione di quello ormai inutilizzabile. Cfr. Laboratorio di ricerca storica sulla periferia urbana, cit, p. 115.
5. Nei secoli successivi
La traccia di un guado vicino al castello di Lucento è delineata in un disegno risalente all'inizio del Seicento, concernente la rete delle bealere occidentali torinesi. (Fig. 5.1) In esso, il ponte gettato sul canale del Martinetto, indicato quale "ponte del Cou", rappresenta un importante snodo posto all'estremo margine occidentale del territorio torinese. (Cfr. il canale della Pellerina). Esso è raggiunto da due strade. La prima proviene dal capoluogo e, al bivio di S. Rocchetto presso la cascina Morozzo, abbandona la strada di Collegno costeggiando la sponda sinistra del canale fino al ponte. La seconda strada proviene da sud e pare di maggiore rilevanza. E' indicata come "strada della Colleasca", ma sembra esserne una diramazione, poiché la strada di Collegno procede parallela al fiume. Oltre il ponte essa prende il nome di "strada del Cou" e si dirige verso alcuni cascinali situati nelle basse di Dora e verso un insediamento più grande indicato come "Madis Cauda" attestato già alla fine del Quattrocento. (5.1) (Cfr. il canale della Pellerina). Sebbene svolga in apparenza funzioni vicinali, la strada sembra raggiungere poi il fiume e forse attraversarlo nei pressi del castello di Lucento. L'indizio è piuttosto vago e non vi sono indicazioni certe dell'esistenza del guado; tuttavia, nel marzo del 1392, il cittadino torinese Ribaldino Beccuti chiedeva alla Città gli fosse concesso di realizzare a proprie spese una "plancham", ossia una passerella in legno, sulla Dora nei pressi di Lucento. (5.2) In ogni caso, la mancanza di riferimenti alla torre di avvistamento omonima (la 'bicocha' Pellerina) solleva qualche dubbio sulla possibilità che si tratti effettivamente del passaggio in questione. Di questo itinerario non si hanno più in notizie successive, forse per una carenza delle fonti, o forse perché cancellato dalle alluvioni e dalle divagazioni del fiume. (5.3)

Fig. 5.1 - Nel disegno seicentesco, la "strada del Cou", proveniente dal ponte omonimo, raggiunge le cascine Bergognino e Randoni, proseguendo verso l'abitato di "Madis Cauda" e la Dora. Il guado non è indicato esplicitamente, ma sembra possibile che la strada attraversi il fiume in diretta a Lucento.
Fonte: ASCT; CS 1977 (particolare)

Fig. 5.2 - (Sopra) La Carta delle Regie Cacce (1766 circa) mostra la strada che attraversa il fiume sotto lo sbarramento del canale della Pellerina, collegandosi alle strade dell'Oltredora. Il passaggio potrebbe corrispondere al guado omonimo, ma l'ipotesi richiederebbe altre conferme.
Fonte: ASCT; CS 1977 (particolare)
Fig. 5.3 - (A lato) La Dora in un momento di acque eccezionalmente basse, nel Parco Mario Carrara di Torino. L'abbassamento del livello del fiume causato dalla traversa della Pellerina, ben visibile sullo sfondo, nonché la modesta altezza delle sponde, potevano senza dubbio consentire il passaggio di cavalcature, carri e pedoni in questo tratto di fiume.
Il toponimo “Pellerina” è comunemente associato al canale che convogliava l’acqua della Dora nella città di Torino. La confor-mazione del fiume suggerisce che il guado della Pellerina potesse trovarsi a valle della traversa del canale, favorito dall'abbas-samento delle acque causato dalla traversa stessa. La settecentesca "Carta delle Regie Cacce" sembra supportare tale ipotesi, mostrando una strada che attraversa il fiume lungo le secche esistenti sotto la traversa, continuando verso la cascina Pel-lerina e l'Oltredora. (Fig. 5.2). La posizione geografica e la toponomastica sembrano indicare che possa trattarsi del "vado Pele-rina", ma la mancanza di altre conferme su-scita qualche dubbio.

Altra attestazione di un guado proviene da alcuni disegni settecenteschi concernenti la bealera del Martinetto. (fig. 5.4) Essi mostrano una strada che dalla porta Susina si snoda lungo i canali del Valentino e di Torino, volgendo verso il fiume ai molini del Martinetto. Ad essa è attribuito il nome didascalico di "strada da Lusengo al Martinetto quando la Dora è grossa", indicazione solo in apparenza contradditoria, se riferita ad un traghetto. L'attraversamento era situato nella valle di S. Benedetto e sembra pertanto corrispondere, in linea di principio, sia guado medioevale già descritto (fig. 2.1), sia al passaggio fluviale che G. Casalis, alla metà del XIX secolo, descriveva annotando che "[da Torino] i pedoni peraltro raccorciar possono di mezzo miglio il cammino, battendo la via che dal borgo s. Donato accenna al Martinetto, dove, valicato il ponte sulla gora che dal Martinetto si noma, trovasi un piccolo sentiero, che passando in mezzo ai prati riesce ad un porto sulla Dora, per cui si perviene precisamente alle falde del promontorio, su cui sorge l'antico castello di Lucento". (5.4)
Fig. 5.4 - Nel disegno, risalente agli anni 1743-1746, la "strada da Lusengo al martinetto quando la dora è grossa" collega Torino alla sponda sinistra del fiume, attraversandolo nella valle di S. Benedetto, che potrebbe utilizzare il guado attestato già nel Medioevo, diretta a Lucento e alla Madonna di Campagna.
Fonte: ASCT, CS 2044


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(5.1) Il verbale di visita della bealera Colleasca del 3 novembre 1488 attesta che il primo buchetto irriguo si trova "in finibus Thaurini ubi dicitur ad Conum, fit deversus grangiam illorum de Madis et suorum consortium". ASCT. CS 1845
(5.2) Cfr. ASCT, Ordinati 17 marzo 1392. Va sottolineato però, che nela verbalizzazione, nè in quelle successive, vi è traccia della richiesta del Beccuti.
(5.3) I toponimi e gli elementi territoriali menzionati non compaiono nelle principali carte settecentesche, quali la Carte de la Montagne de Turin (1694), i disegni della mappatura dell'area torinese occidentale di Carlo Antonio Bussi del 1748-49, la Carta dei Distretti delle regie Cacce (1765 circa) e la Carta corografica del Territorio di Torino (1791) di Vittorio Amedeo Grossi, e nemmeno in altre carte coeve.
(5.4) Cfr. G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Vol. XXI, G. Maspero librajo, Torino, pag. 153.
6. La via Francigena e la"strata Pelerina"
Il guado della Pellerina era associato alla strada percorsa nel Medioevo dai pellegrini in cammino sulle rotte di Roma, di Terrasanta o di Compostela, e sembrerebbe quindi ragionevole individuarlo seguendo il tracciato della strada stessa.

Fig. 6.1 - La Tabula Peutingeriana, conosciuta attraverso una copia del XIII secolo, mostra le arterie e i nodi stradali dell'Impero Romano. Le città sono riportate attraverso pittogrammi di diversa complessità, proporzionati all’importanza del centro urbano, per cui quanto più la figura è semplice, tanto più modesto è il centro. Questo sistema di rappresentazione mette in evidenza il ruolo di Julia Augusta Taurinorum, centro di rango intermedio sulla rotta che dalla Liguria conduceva verso la Gallia narbonese e la Penisola Iberica.
Fonte: Wikipedia.
LA VIA FRANCIGENA DELLA VAL SUSA
intellettuali, ecclesiastici, e da chiunque valicasse le Alpi per i motivi più diversi. Questo itinerario ricalcava l'antica strada romana che, passando per Julia Augusta Taurinorum e il colle del Monginevro, collegava l'Italia settentrionale (allora Gallia Cisalpina) alla Francia narbonese (Gallia Transalpina) e alla Penisola Iberica. L'importanza dell'itinerario della Val Susa crebbe soprattutto dalla fine del XIII secolo, superando progressivamente quello del Gran San Bernardo, fino ad allora il più battuto, sancendo così la preminenza del passo del Moncenisio sugli altri valichi, Monginevro incluso. Al suo successo contribuirono sia il flusso crescente di uomini e merci diretti alle fiere della Champagne, sempre più frequentate dai mercanti italiani (in particolare astigiani, piacentini e genovesi), sia convergenza delle vie di pellegrinaggio, che vedevano incrociarsi i "cammini" dal Nord Europa verso Roma e la Terrasanta con quelli dalla penisola italica verso Santiago di Compostela. (6.2)
Le vie medievali di lunga percorrenza difficilmente venivano progettate ex novo, ma ricalcavano in larga parte percorsi già esistenti, tenendo conto di esperienze di traffico a volte millenarie e di vincoli ecologici e nodi obbligati. Le prime tracce documentarie della “strata Romea qui Romam tendit”, nota anche come “stratam publicam peregrinorum et mercatorum”, e più comunemente detta via Francigena, o Romeria, risalgono ai secoli XI e XII. (6.1) Essa era percorsa da mercanti, uomini d'arme, incaricati d'affari, diplomatici,



Fig. 6.2 - (A sinistra) I principali valichi alpini attraversati dalla via Francigena passavano l'uno per Ivrea, Aosta e il Gran san Bernardo e l'atro per Torino, Susa e il Moncenisio. La strada che andava da Torino e Chambery era larga da tre a sei metri nel ramo principale e i viaggiatori impiegavano circa cinque giorni per percorrere i 200 km che separavano le due città
Fonte: Mostrta "Pubblica Strata" - Gruppo "Ad Quintum, Collegno..
IL CONCETTO DI "AREA DI STRADA"
Secondo alcune interpretazioni, la "vera" via Francigena toccava la pianura torinese, Susa, il Moncenisio e la Moriana. Tuttavia, la storiografia più recente, all’immagine tradizionale di vie di comunicazione univoche e ben definite, come quelle consolari romane, preferisce il concetto di "area di strada". (6.3) Ovvero, l'immagine di una direttrice principale di traffico che includeva diverse varianti parallele, di volta in volta utilizzate secondo convenienza. Le diverse ragioni contemplavano sia cause naturali, quali smottamenti e straripamenti dei fiumi, sia umane, come il raggiungimento di monasteri e ospizi lontani dal cammino principale ma collegati ad esso per antica tradizione. Anche le vicende politiche, economiche militari, nonché l'influenza dei signori locali, potevano determinare la scelta dei percorsi. Pur nel contesto di tale flessibilità, restavano comunque ineludibili alcuni punti fermi di transito, quali ponti, traghetti e guadi, passi montani, centri religiosi e commerciali e pedaggi. (6.4) In questa prospettiva, diventa vano dedicarsi alla ricerca del tracciato francigeno autentico, se non circoscritto a un segmento e a un periodo di tempo ben definiti, considerando, anzi, probabile che gli itinerari praticati siano stati più numerosi di quelli conosciuti. (6.5)

Fig. 6.3 - Giunti nella fascia pianeggiante allo sbocco della Val Susa, i viaggiatori provenienti dai passi alpini trovavano varie alternative all'itinerario Romeo, il principale e il più frequentato, che da Rivoli conduceva a Torino toccando Collegno o Grugliasco. Chi intendeva evitare il capoluogo, da Avigliana poteva seguire la Val Sangone e verso Trana, Sangano, Rivalta, Moncalieri, attraversare il Po al ponte di Testona e proseguire verso Asti, Piacenza o Genova salendo lungo la collina e passando per Chieri. Oppure più semplicemente poteva servirsi della strada "qua itur de Ripolas (Rivoli) versus Montecalerio (Moncalieri)". Questi percorsi erano molto importanti, poiché utilizzati dai mercanti astigiani e piacentini diretti alle fiere della Champagne, i quali in origine costituivano la rappresentanza italiana più nutrita. Anche il tracciato sulla sponda sinistra della Dora, passando per Caselette e Pianezza, consentiva di aggirare Torino e collegarsi direttamente agli itinerari padani. Per raggiungere le valli di Lanzo, si poteva imboccare la strada di Rubiana e del Colle S. Giovanni. L'itinerario verso Vercelli e Pavia era meno frequentato, poichè la rotta di Francia preferita che toccava queste città era quella dei passi del San Bernardo. (6.6)
Fonte del disegno: Mostra "Pubblica Strata" - Gruppo "Ad Quintum, Collegno...
UNA SOLA STRADA PELLERINA?
Il toponimo “Pelerina” o “Pelarina” identificava una struttura di avvistamento (bicocha), una bealera e un guado sulla Dora a ovest della città, attestati dagli Ordinati della Credenza torinese a partire dalla seconda metà del XIV secolo. Sebbene il guado presupponga l’esistenza di un percorso che attraversava il fiume, resta da accertare se a utilizzarlo fossero soprattutto i viandanti religiosi; inoltre, va segnalato che la strada detta "della Pellerina” era forse meglio conosciuta come "via Valisdoc" (6.7) Il suo possibile tracciato rimane oggetto di discussione e — pur essendo condivisa tra gli studiosi l’idea che rappresentasse un’alternativa alla via delle Gallie affermatasi in epoca medievale — le ipotesi avanzate sono molteplici.

Una fugace citazione dell'inizio del Duecento collega la strada all’ospedale di San Biagio dei Cruciferi, costruito "prope civitatem et prope flumen Duriae atque iuxta stratam publicam peregrinorum" (ossia, presso la città, il fiume Dora e lungo la strada pubblica dei pellegrini), associandone così il percorso alla Porta Pusterla e all’area foranea nord-occidentale, oggi riconducibile alla zona del Cottolengo. (6.8) Pur non in contrasto con tale ipotesi, i ricercatori tendono a collocarne il tracciato più marcatamente ad ovest, associandolo alla Porta Segusina. Alcuni ritengono semplicemente che questo non fosse che un diverso nome della via di Francia, ovvero della via Romea, che da Torino toccava il "Puteum Stratae" e l'ospedale di San Sepolcro, la "mansio" romana di "ad Quintum Collegium" e la "mutatio ad octavum" presso Rivoli. (6.9) Altre interpretazioni la identificano con la strada Colleasca, ossia con la via che univa Torino e Collegno, mantenendosi a nord della precedente, lungo la direttrice delle attuali via Asinari di Bernezzo e strada Antica di Collegno (fig. 6.5). (6.10)
Altri ancora sostengono che i pellegrini seguissero itinerari propri, servendosi della viabilità locale. Sulla base della Carta corografica del territorio di Torino di Giovanni Lorenzo Amedeo Grossi (1791), è possibile ipotizzare un tracciato che a breve distanza dalla Porta Segusina abbandonasse la via Colleasca costeggiando poi la Dora lungo l’asse ideale dell’attuale corso Appio Claudio e della strada della Pellerina — toponimo, quest’ultimo, particolarmente suggestivo ai nostri fini — e ricalcando la strada comunale della Varda nel territorio di Collegno (6.11 e fig. 6.5). Va osservato che queste sono solo alcune delle ipotesi formulabili considerando le strade e i passaggi fluviali rappresentati in mappa, alcuni dei quali — come il vado Magnano — risultavano già attestati in epoche precedenti (fig. 3.1 e 3.2).

Fig. 6.4 - L’immagine riproduce i tracciati delle vie che raggiungevano Collegno in epoca medievale, secondo la ricostruzione dello studioso di storia locale Giuseppe Gramaglia. La via Pellerina (in alto, in colore marrone) entrava in città seguendo l’asse formato da strada della Varda (oggi nel Parco Agri-naturale della Dora) e dalle vie San Lorenzo e Sebusto. Più a sud, la via Colleasca (in colore rosso) attraversava la porta omonima, proseguendo lungo le vie Trampellini, Amedeo Duca d’Aosta e Martiri XXX Aprile. I viaggiatori potevano poi dirigersi al ponte situato sotto la rocca del castello, oppure proseguire sulla sponda destra della Dora. Il ponte, visibile sulla sinistra dell’immagine, per secoli ha costituito un sicuro riferimento territoriale e viario. Tradizionalmente detto “ponte della Madonnina”, per la chiesetta che ancora sorge nelle vicinanze, fu distrutto durante il secondo conflitto mondiale ed è oggi sostituito da una semplice passerella pedonale. La regione era conosciuta come Uà, toponimo probabilmente derivato dal latino vadum (“guado”) o da una radice affine, che designava un attraversamento forse già attivo in età preromana, favorito dal naturale abbassamento del terrazzo fluviale e dalla particolare conformazione degli argini.
Nostro disegno su base Google Earth
Sebbene le comunicazioni con i valichi alpini privilegiassero la destra orografica della Dora Riparia, la presenza di un vado Pelerina suggerisce un tracciato che passasse il fiume, congiungendosi al sistema viario della sponda sinistra. In linea di principio il guado avrebbe potuto prendere il nome dal territorio anziché dalla strada; tuttavia, in epoca medievale quest’area era indicata come Valisdoc o Cou, mentre il toponimo Pellerina riferito al territorio compare solo in età più tarda. Il passaggio fluviale si inseriva quindi verosimilmente in un sistema di percorsi che, pur avendo nella riva destra la direttrice principale, potevano prevedere deviazioni secondarie che guadavano la Dora. La cartografia delle epoche successive suggerisce varie possibilità, da valutare però con cautela, trattandosi di rappresentazioni significativamente posteriori. (6.12).
Nel Seicento, come già discusso nel punto 5, una variante della via Colleasca stessa — la strada del Cou, dopo l’omonimo ponte sulla bealera, fig. 5.1 — raggiungeva un possibile guado sotto il castello di Lucento. Altre indicazioni provengono ancora dalla carta del Grossi, dalla quale si ricava che la strada diretta ai molini del Martinetto — ubicati in altra sede prima del XVIII secolo — attraversava il fiume in corrispondenza di un passaggio riconducibile al guado di San Benedetto, proseguendo poi verso Lucento e oltre (fig. 2.1 e fig. 5.4). Tale configurazione conferma quanto suggerito dalla Carta delle Regie Cacce (fig. 5.2), che mostra come l’abbassamento del livello del fiume provocato dalla ficca Pellerina potesse offrire un buon punto di passaggio a valle, raggiungibile mediante la strada che costeggiava la bealera; ciò soprattutto se si considera che, almeno in epoche successive in determinate condizioni, la traversa drenava l’intero flusso della Dora.

Fig. 6.5 - La "Carta corografica del territorio di Torino" di Giovanni Lorenzo Amedeo Grossi (1791) mostra un vasto reticolo di strade di diversa rilevanza che — se attestate già in epoca medievale — permetterebbero di formulare diverse ipotesi per la strada della Pellerina. Un primo tracciato (1) sarebbe rimato sulla riva destra, distaccandosi dalla strada antica di Collegno (o strada Colleasca), proseguendo poi a ridosso del fiume e ricalcando la strada della Varda nel territorio collegnese; un secondo itinerario (2) dalla porta Segusina, avrebbe seguito la bealera della Pellerina, passando la Dora non lontano dai molini del Martinetto; un terzo percorso (3) avrebbe attraversato il fiume più a monte, in corrispondenza della traversa della bealera. Si nota però che, combinando ulteriormente le strade e i guadi rappresentati nel disegno, gli ipotetici tracciati potrebbero essere più numerosi, senza che tuttavia nessuno risulti realmente certo.
Disegno su base Galica - BNF
Si può infine ipotizzare un itinerario interamente sulla sponda orografica sinistra, che seguisse la strada interpoderale di origine romana ancora in uso nel Medioevo (fig. 2.1). Questo percorso, sebbene collegato alla città tramite la via proveniente dalla porta settentrionale, avrebbe congiunto direttamente la rotta di Francia con quella padana, consentendo ai viaggiatori di aggirare l’abitato (6.13). I motivi per eludere il capoluogo potevano essere numerosi. Il controllo dei transiti e dei commerci lungo le strade delle Alpi rappresentava la maggiore ragion d’essere e la principale voce delle entrate fiscali della città, che ne traeva vantaggio regolando il passaggio di uomini e merci, riscuotendo pedaggi e imponendo, per antica concessione imperiale, ai forestieri l’obbligo di soggiornare almeno una notte. (6.14)
Le alternative erano parecchie, e non soltanto permettevano di sfuggire alle imposizioni torinesi, ma potevano velocizzare il viaggio o consentire itinerari più sicuri per uomini e carichi a seconda delle contingenze del momento (Fig. 6.3). Naturalmente, le autorità cittadine cercavano di impedire l'utilizzo delle vie secondarie, ma i controlli non erano facili e gli obblighi tutt’altro che ineludibili; non mancavano inoltre persone disposte a guidare, dietro compenso, mulattieri e cavallanti lungo percorsi diversi da quelli stabiliti. Sebbene non esistessero vie nettamente distinte per pellegrini e mercanti, potremmo forse ipotizzare che la "strata Pelerina" rappresentasse una sorta di scorciatoia informale, consentita — o almeno tollerata — a chi viaggiava leggero e per ragioni diverse da quelle commerciali; una via che certamente anche qualche mercante non mancava di tentare.
Le ipotesi sono numerose e, in modi diversi, plausibili; tuttavia, nessuna è davvero probante e la ricerca di una vera e propria strada dei pellegrini non ha dato esiti soddisfacenti. Ne discende addirittura il dubbio che una tale strada univocamente definita sia mai esistita, e che l’appellativo sia frutto di una suggestione storiografica successiva, come nel caso della celebre “via della seta”. Lo stato delle fonti e la toponomastica — in epoca medioevale spesso imprecisa e disinvolta, tanto da applicare lo stesso nome a realtà diverse nel tempo e nello spazio — non facilitano l'indagine. In tale contesto risulta efficace il concetto di “area di strada”, strumento d’analisi valido anche alla scala locale, entro cui si collocherebbe la nostra strada. Secondo tale modello, viaggiatori diversi avrebbero scelto di volta in volta percorsi differenti per ragioni economiche, politico-amministrative, fiscali o in base alle condizioni naturali del momento; ne consegue che non sarebbe esistita quindi una sola “strada della Pellerina”, ma una pluralità di itinerari possibili, variabili nel tempo e nelle circostanze, accomunati dall’appellativo di “strada della Pellerina”.

Fig. 6.6 - Per i motivi discussi, non è possibile determinare con certezza la posizione del guado della Pellerina. Tuttavia, diversi elementi associati al toponimo – come la strada, la “ficca”, la “bicocca” e la bealera medievale, nonché la cascina seicentesca, la centrale idroelettrica e il parco pubblico attuali – convergono verso la valle di S. Andrea, dove si trova ancora oggi la traversa dell'ex canale della Pellerina, al termine di corso Appio Claudio. E sebbene non vi si debba attribuire un valore probante, va notato che il prolungamento del corso verso i Tetti delle Basse di Dora il confine con Collegno prende proprio il nome di strada della Pellerina. La valle di S. Andrea, in parte scomparsa dopo la rettifica della Dora avvenuta negli anni Trenta del Novecento, è comunque visibile nel disegno ottocentesco sovrapposto all’ortofoto. Pur senza escludere che il passaggio si trovasse altrove, l’area evidenziata risulta quella dove con più probabilità possiamo collocare idealmente l’antico guado.
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(6.1) A. Settia, Fisionomia urbanistica e inserimento nel territorio (secoli XI-XIII), in Storia di Torino vol.1, "Dalla preistoria al comune medioevale," a cura di G. Sergi, Einaudi, Torino, 1997, p. 816. Circa l'origine dei nomi "Francigena" e "Romea", attribuito da alcuni al luogo di residenza dei viandanti e da altri alla loro provenienza, cfr. Giuseppe Sergi, Potere e territorio lungo la strada di Francia, Liguori Editore, 1991, pp. 19-55.
(6.2) G. Sergi, Potere e territorio, cit, e Renato Stopani, Le vie di pellegrinaggio del Medioevo. Gli itinerari per Roma, Gerusalemme, Compostela, Firenze, Le Lettere, 1991, pp. 18, 33, 85 e 86.
(6.3) Il concetto di "area di strada" è proposto da G. Sergi proprio nel contesto dello studio della via Francigena tra Torino e Chambery. Cfr. G. Sergi, Potere e territorio... cit. pp. 36-45.
(6.4) Nel caso torinese, un punto nodale della massima importanza era costituito la porta Segusina, nei pressi della quale, a partire dal XIII secolo, si svilupparono due borghi (San Donato e Collesca) basati sulle attività commerciali e di servizio legate ai passaggi ed ai traffici, quali magazzini, stallaggi, locande ed osterie, nonché vari ospedali ed ospizi per l'assistenza a pellegrini e viandanti.
(6.5) La mutabilità dei tragitti riguardava anche punti obbligati e ben definiti come i colli alpini, come dimostrano le varianti di valico che si sono succedute al Moncenisio e al Monginevro. Cfr. G. Sergi, Potere e territorio... cit.
(6.6) Cfr. Storia di Torino, cit, vol. I, Torino, Einaudi Editore, 1997, p. 455 e p. 817.
(6.7) Cfr. ASCT, Libri Consiliorum, ASCT, vol. I-XII (1325-1392) e L'età medievale.
(6.8) Cfr. G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Vol. XXI, G. Maspero librajo, Torino, pag. 637. — Un ospedale “ad sustentamentum” e “ad hospitalitatem Dei pauperam”, da affidare all’ordine dei crociferi, era già stato progettato nel 1208 dallo stesso Ainardo e dai torinesi Giovanni Carmenta, Gavarro Della Pusterla e Bertolotto Arpino, i quali nel 1226 lo dotarono nuovamente di terre in un luogo detto Casaccie, alla periferìa nord-occidentale della città. L’ospedale di San Biagio dei Crociferi venne infatti edificato “apud vicum” di Porta Pusterla, in direzione del ponte sulla Dora, dove passava la strada Pellerina o strada pubblica dei pellegrini e dei mercanti, il tratto della via Francigena che diede poi il nome all'aodierna Pellerina". Cfr. Giampietro Casiraghi, Ospedale di strada a Torino: il caso dell'Abbadia di Stura, in: "Le vie del Medioevo". Atti dei Convegni: Lungo il cammino: l'accoglienza e l'ospitalità medievale, Torino, 16 ottobre 1996, Regione Piemonte - Società Piemontese di Archeologia e BelleArti , Torino, 1998, p. 67.
(6.9) Cfr. Atti della Società Piemontese di Archeologia e delle Belle Arti, F. Rondolino, Storia di Torino antica, Torino, 1930, p. 261-262. - Occorre ricordare che il mansio romano di Ad Quintum Collegium era collocato nei pressi della chiesa di San Massimo, oggi località Baraccone - Santa Margherita, ad una certa distanza dal nucleo medioevale sviluppatosi attorno al Castello e alla rocca che strapiomba sulla Dora. - Il testamento di tal Ainardo Umberto dell'11 aprile 1228 menziona la "stratam publicam peregrinorum et mercatorum" identificandola con la "strata Romea" e, tra i confini delle numerose proprietà una "stratam pellegrinam" ma non è possibile stabilire l'eventuale corrispondenza di queste due strade. Nel documento la "via Romeria" sembra essere indicata anche come "stratam secusinam".
(6.10) Cfr. Casalis, Goffredo, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, Vol. 5, G. Maspero e G. Marzorati, Torino, 1839, p. 343. — La via Colleasca è documentata già da un atto notarile del 7 novembre 1193, relativo alla vendita di "pecia una terrae quae jacet in territorio Taurini inter viam Romeam et viam Colleascam".
(6.11) Cfr. Gruppo Archelogico 'Ad Quintum', Frammenti di storia di Collegno, Opera Postuma di Giuseppe Gramaglia, a cura di Marisa e Manuel Torello, Borgone di Susa, Edizioni del Graffio, 2006, pag. 95-96.
(6.12) Per un’ulteriore descrizione delle strade tra Torino e Collegno risalente al 1717, si veda anche ASCT, CS 1546.
(6.13) Cfr. Maurizio Biasin, Valter Rodriquez, Giorgio Sacchi, Strada interpoderale romana, Quaderni del CDS 2004, A. III, n° 5, f. 2, pp. 57-67 e Terna Rete Italia, Relazione Archeologica, 30-01-2015.
(6.14) Anche i percorsi che dovevano obbligatoriamente seguire i mercanti all'interno della città erano stabiliti dall'Amministrazione. I carichi provenienti dalle "parti oltremontane" dovevano entrare dalla Porta Segusina e uscire dalla Porta Palazzo, o dalle altre porte settentrionali, se diretti verso Vercelli lungo la strada "Lombarda". Chi prendeva la strada "Genovese" o "Astigiana" doveva utilizzare invece la Porta Fibellona, o le altre meridionali. Il contrario avveniva per chi, dalle regioni padane si dirigeva ai varchi delle Alpi occidentali. Cfr. A. Settia, Fisionomia urbanistica e inserimento, cit, p. 815-16. - In seguito ad un accordo stipulato alla fine del Duecento tra Torino ed Asti, i cittadini e mercanti astigiani in viaggio sulla rotta di Francia erano obbligati a seguire l'itinerario che dalla sommità della collina torinese scendeva verso Valsalice, passava il ponte di Po, attraversava la città e usciva in direzione di Posto Strada e la valle di Susa. Ovviamente pagando i relativi pedaggi. Cfr. R. Bordone, Vita economica del Duecento, Storia di Torino, cit, vol. I, p. 763-764.
Il guado di borgo Dora
Dopo l’abbandono del ponte romano deIle Maddalene, (fig. 2.1) il ponte in legno del borgo ha costituito per secoli il principale attraversamento stabile della Dora. La posizione, circa duecento metri a monte dei manufatti attuali, è rimasta immutata, almeno per quanto è possibile accertare attraverso la cartografia storica, ovvero a partire dal XVIII secolo. Tuttavia, un "pontem Durie extra muros" prossimo all'ospedale di S. Biagio dei Cruciferi è attestato già in epoca medioevale. Quest'ultimo, creato “ad sustentamentum” e “ad hospitalitatem dei pauperam” risaliva al 1208 e si trovava "apud vicum" di porta Pusterla, nell'area attuale del Cottolengo.
In regime di acque normali, la larghez-za e le sponde basse permettevano l'attraversamento carrozzabile del fiu-me anche in borgo Dora. Il guado integrava, ma non sostituiva, il passag-gio stabile assicurato dal ponte in legno, collocato alla destra del punto di osservazione del dipinto, non visibile in figura.
Dipinto di Angelo Cignaroli (sec. XVIII)
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Il sito, presumibilmente scelto per le favorevoli caratteristiche morfologiche del fiume, avvantaggiava chi era diretto verso Venaria e le valli di Lanzo; per chi invece imboccava le strade padane il guado poco più a valle, in asse con la principale via del borgo, rappresentava la scorciatoia più naturale. I due passaggi quindi coesistevano e, anzi, il guado integrava il ponte in legno, non sempre transitabile a causa dei danni provocati dalle piene del fiume.
Del transito si ha notizia indiretta almeno fin dal 1315, con la menzione di un "molandinum tintorie sive vadi" destinato alla macinazione del guado, un'erba naturale dalle cui foglie e radici si estraeva una sostanza simile all'indaco. La tintura dei drappi era stata allontanata dall'abitato in quanto lavorazione gravemente inquinante. L'opificio, ubicato presso San Biagio e affittato dal principe d'Acaia ad Antonio Cavaglià e soci nel 1323, attorno al 1340 risultava ormai diroccato. Tuttavia, nel 1369 i fratelli Giacomino e Martino Aburati dichiaravano la proprietà di un "molendinum vadi" situato tra i due ponti di Dora, probabilmente lo stesso del Cavaglià. (*)
0Un'altra traccia dell'attraversamento è costituita dalla "plancha", una passerella in legno, posata nel 1383,"prope primum pontem Durie" per facilitare passaggio a raso dei carri diretti ai molini di porta Palazzo. (Si veda anche la nota 2.10).

La presenza del guado è confermata nella cartografia settecentesca e dal progetto per un nuovo ponte da edificare sulla sua traccia, che non ebbe seguito. L'idea venne con il disegno della Grand Route d’Italie, di cui l’odierno corso Vercelli ricalca il tracciato. Tuttavia, la sistemazione definitiva avvenne con il ponte Mosca, inaugurato nel 1830 sulla direttrice della piazza Emanuele Filiberto. Tale scelta urbanistica fu dettata sia dall’intento di evitare il vecchio tracciato stretto e tortuoso, che attraversava un borgo ormai densamente popolato e caotico a causa della concentrazione di attività economiche, sia dalla volontà di creare un più elegante e prestigioso ingresso alla città, adeguato alla capitale del Regno.
La mappa settecentesca mostra la posizione del vecchio ponte sulla Dora, arretrata rispetto alla strada che attraversava il "borgo del Ballone". In linea con quest'ultima, risulta invece il guado. Oltre il ponte si diramano le due strade che conducono l'una verso Chivasso e la Pianura Padana, l'altra verso Venaria e le Valli di Lanzo.
Fonte ASCT, CS 2051 (particolare)


Fig. 1.8 - (A sinistra) La litografia di primo Ottocento mostra come il guado e il vecchio ponte in legno, visibile sullo sfondo, coesistessero anche dopo l'inaugurazione del ponte Mosca. (A destra) Inizialmente, il nuovo ponte fu dapprima collegato alla Strada Reale d'Italia (c.so Vercelli), e solo successivamente con l'attuale corso Giulio Cesare — in origine corso ponte Mosca — tracciato in asse con il ponte stesso e con piazza Emanuele Filiberto, oggi piazza della Repubblica. Le due immagini in basso confermano come il guado di borgo Dora continuò a essere praticato anche dopo la costruzione del nuovo ponte.
Fonte: Città di Torino e Rabbini 1840


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(*) 6.1) R. Comba, L'Economia, in Storia di Torino vol.2, "Il basso Medioevo e la prima età moderna (1280-1536)," a cura di R. Comba, Einaudi, Torino, 1997, p. 139.
Online dal. 23/05/2024
Ultimo aggiornamento: 23/05/2025