Inquadramento storico
L'Età Romana
Online dal: 03/03/2023
«Chi vorrà considerare con attenzione la quantità delle acque di uso pubblico per le terme, le piscine, le fontane, le case, i giardini suburbani, le ville; la distanza da cui l'acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso».
(Plinio il Vecchio, Naturalis Historia)
Inquadramento storico
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L'età romana
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Il Medioevo e
il Cinquecento
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Il Seicento
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Il Settecento
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l'Ottocento
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Il Novecento
«Mi sembra che la grandezza dell'impero romano si riveli mirabilmente in tre cose: gli acquedotti, le strade e le fognature».
(Dionigi di Alicarnasso)
Fin dall'antichità l'utilizzo e il controllo delle acque hanno avuto un ruolo essenziale nella civilizzazione e nella fondazione delle città. Canali, acquedotti, cisterne e altre grandi opere idrauliche rientrano tra le maggiori vestigia del passato giunte fino a noi. (1)
Molto poco sappiamo di modalità, forme e strutture dello sfruttamento delle acque nel periodo preromano. A. Cavallari Murat ha dedotto l’esistenza di opere di canalizzazione già in tempi antichi attraverso i conflitti d’acqua che opponevano Lebici e Salassi; la centuriazione romana avrebbe riadattato forme di irrigazione e di derivazione già esistenti; i Taurini stessi avrebbero mediato dai Galli le tecniche per portare l’acqua nei prati, (2) anche se le forme della loro agricoltura, descritte da Plinio il Vecchio, ad alcuni paiono troppo semplici per confortare tale ipotesi.
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(1) Un'ampia descrizione di opere idrauliche romane, e non solo, è contenuta negli Atti del Convegno Nazionale: Tecnica di Idraulica Antica, Roma, 18 novembre 2016, a cura di: A. Fiore, G. Gisotti, G. Lena e L. Masciocco, in: "Geologia dell'Ambiente", Periodico trimestrale della SIGEA, supplemento al n° 3/2017.
(2) Augusto Cavallari Murat, Forma urbana ed architettura nella Torino Barocca, Vol. I, II, A1, UTET, Torino, 1968, pag. 368.
JULIA AUGUSTA TAURINORUM
La centuriazione di Julia Augusta Taurinorum, estesa a ovest del Po con orientamento di 26° nord-ovest/sud-est, disegnava un territorio diviso in lotti dissodati e coltivati delimitati da decumani e cardini, linee tra loro perpendicolari definiti da strade interpoderali, fossi e rogge. La bonifica e l'agricoltura irrigua presupponevano opere di captazione e irreggimentazione delle acque e reticoli capillari di distribuzione e drenaggio. (3) Le attestazioni storiche e i ritrovamenti archeologici limitati consentono di formulare profili generali di quadro, ma non di ricostruire, nemmeno in via congetturale ed approssimativa, i lineamenti della rete idraulica taurinense. Di seguito si cercherà quindi soltanto di fornire una sintesi ragionata delle principali questioni d'acque relative alla colonia.
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(3) Sulla centuriazione torinese si vedano tra gli altri: Emanuela Zanda, Centuriazione e città, in "Archeologia in Piemonte: l'età romana", Vol. 2°, a cura di Liliana Mercando, Umberto Allemandi & C, Torino, 1998, p. 60; Augusto Cavallari Murat, Forma urbana, cit. pp. 301-339; Amelia Carolina Sparavigna, Augusta Taurinorum, città di Vitruvio, 2019, 〈hal-02324295〉, nonché la voce Centuriazione di MuseoTorino.
L'ACQUEDOTTO
Nelle città romane l'acqua era considerata un bene essenziale di pubblico interesse. Augusta Taurinorum disponeva certamente di un apparato idrico interno, sia quale elemento irrinunciabile di ogni insediamento urbano, sia in virtù dei resti di fontane pubbliche, canalette di scolo, edifici termali, pozzi, nonché di una estesa rete fognaria, rinvenuti nel sottosuolo della "città quadrata". (4) E' possibile che in età barbarica le mura della città fossero protette da fossati d'acqua esterni.


Fig. 1.1 - Nella ricostruzione di Augusta Taurino-rum realizzata dall'arch. G. Gritella ed espo-sta nella mostra 'Il Re e l'Architetto' (2012-13), l'acquedotto raggiungeva l'abitato poco sopra la porta urbica occidentale, la porta Decumana, o Segusina. L'eventuale collocazione è plausibile, va però rilevato che non deriva da fonti dell'epoca ma piuttosto dalla presenza di un manufatto analogo ad archi riportato nella cartografia tardo cinquecentesca e seicentesca.
Fonte dell'immagine: Torino Storia,
Discusso resta invece il metodo di adduzione delle acque, ossia se l'abitato fosse rifornito o meno da un acquedotto. Secondo molti esso sarebbe esistito semplicemente perché, dati il significato le funzioni dell'acqua nella romanità, semplice-mente non poteva non esistere. Pozzi, fontanili, serbatoi di raccolta delle piogge e una falda acquifera ricca e poco profonda in un primo tempo bastarono forse per soddisfare i bisogni idrici della colonia, ma successivamente la lastricazione delle strade e lo sviluppo del sistema fognario avrebbero postulato la necessità di una struttura di adduzione dedicata, che, date la morfologia del territorio e la posizione della città, presumibil-mente sarebbe derivata dalla Dora Riparia raggiungendo la porta occidentale. (5)
Gli acquedotti romani non possono essere ridotti a semplici manufatti di adduzione ad archi, ma vanno intesi come sistemi integrati formati da strutture di captazione, vasche di ripartizione (castellum aquae) e una rete capillare di condotti principali e secondari di distribuzione. Opere ingegneristiche di tale imponenza ed impatto difficilmente sono scomparse senza lasciare traccia sul territorio. Per contro, quella ad arcate non era la sola tecnica costruttiva e anche dei condotti sotterranei potevano garantire rifornimenti adeguati.
Nella Gallia Cisalpina, e in Piemonte, non mancano le testimonianze di grandi condotti idrici di età romana, quali quelli di Aquae Statiellae (Acqui Terme), Julia Derthona (Tortona), Libarna (Serravalle Scrivia), Pollentia (Pollenzo). Anche un'opera modesta per tecnica costruttiva e portata quale l'acquedotto che da Pino Torinese (Pinarium) scendeva verso Chieri (Carrerum Potentia), ha lasciato resti tangibili. (fig.1.2) (6) Nel caso torinese, pur a fronte di una rete fognaria vasta ed articolata, non troviamo tracce di alcun tipo di una struttura di approvvigionamento esterna all'abitato, e soltanto alcune fistulae aquariae in piombo e pochi blocchi forati appartenenti a un condotto sotterraneo sono stati reperiti all'interno. (figg.1.4-1.5) (7)
Premesso che in mancanza di prove documentarie o archeologiche fondate nulla può essere detto con certezza, va osservato che l’acquedotto romano, o quel che ne restava, è stato talora riconosciuto nella costruzione ad archi fuori la porta Segusina che compare nella cartografia e nell'iconografia cinquecentesca e seicentesca: l’opera sarebbe non solo esistita, ma sopravvissuta per secoli, al pari delle maggiori vestigia romane quali il teatro e l’anfiteatro. La questione è però più complessa: Premettendo che in mancanza di prove documentarie o archeologiche fondate nulla può essere detto con certezza, va osservato che il manufatto è sicuramente esistito, ma numerosi indizi ne lasciano supporre risalga all'epoca del duca Emanuele Filiberto, (8) e rientri nel contesto della sistemazione idrica del Palco del Viboccone e del giardino della residenza ducale torinese. Ma ovviamente ciò non comporta che Augusta Taurinorum non disponesse di un proprio sistema esterno di adduzione delle acque, o che gli architetti del duca abbiano riattato, almeno in parte, una struttura già esistente, la cui origine romana non è comunque accertata.
Il tema è di grande interesse e sarà approfondito a breve.

Fig. 1.2 - L'acquedotto romano di Chieri era formato da un condotto di sezione rettangolare con canaletta al centro e copertura in pietra, costituito da muratura di schegge di pietra e ciottoli di fiume legati con malta e calce. Scendeva dalla località Tetti Miglioretti di Pino torinese costeggiando la destra orografica del rio Tepice per circa 4 km e si stima avevsse una portata media di circa 4000 mc al giorno.
Fonte: Giuse Scalva, Gli acquedotti, cit.

Fig. 1.3 - Pozzo romano rinvenuto a Torino nella domus di via Bellezia 6.
Fonte: Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie

Fig. 1.4 - Blocco in granito con cavità circolare ritenuto appartenere alla rete di distribuzione delle acque interna alla colonia romana, ritrovato, insieme ad altri 16, nel 2010-11, in via Bellezia 1-3.
Fonte: Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo di Antichità Egizie.

Fig. 1.5 - Tratto di tubo in piombo rinvenuto sotto il basolato del fornice della porta Fibellona. (Palazzo Madama).
Fonte: Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo di Antichità Egizie.
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(4) Le testimonianze di archeologia idraulica dell'antica Augusta Taurinorum venute alla luce nel corso di lavori stradali e ricostruzioni sono assai frammentarie. I resti dello scarico di abitazioni private sono stati rinvenuti in via Botero, tra via Garibaldi e via Barbaroux, e tra via Bertola e via Monte di Pietà; elementi di edifici termali sono stati ritrovati in varie parti del centro storico, tra cui nell'antico Quartiere degli Svizzeri presso piazza del Duomo; per quanto concerne le tubazioni, tre fistulae in piombo sono emerse presso la porta urbica orientale (porta Fibellona, Palazzo Madama); un pozzo di 0,90 m di diametro è stato ritrovato nell'insula tra via S. Francesco d'Assisi, via Botero, via Monte di Pietà e via Barbaroux, ed altri sono stati individuati all'intersezione di via Santa Teresa e via XX settembre, in via Tasso e all'incrocio tra via Corte d'Appello e via delle Orfane. Cfr. R. R. Grazzi, Torino Romana, Il piccolo editore, 1983, Torino, pp. 22-25, e S. Caranzano, l'Archeologia in Piemonte, ANANKE, 2012, Torino, p.137. I ritrovamenti romani nel sottosuolo della città sono ormai abbastanza frequenti; l'elenco non vuol essere completo ed è facile presumere che molto altro verrà scoperto durante lavori della seconda linea della metropolitana.
(5) Si vedano, ad esempio, il saggio di Giuse Scalva, Gli acquedotti, in "Archeologia in Piemonte", cit. e G. Cresci Marrone e S. Roda, La romanizzazione, in Storia di Torino Vol. I, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1997, pag. 143.
(6) Cfr. Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, n° 12 (1994), p. 335 e il saggio Gli acquedotti Romani in Piemonte e Valle d'Aosta, in "Atti del Convegno Nazionale: Tecnica di Idraulica Antica", cit.
(7) Giuse Scalva, Gli acquedotti, cit.
(8) Si veda in proposito la stimolante ricerca bibliografica e cartografica di Fabrizio Diciotti pubblicata sull'annuario 2021 di Taurasia, periodico di informazioni del Gruppo Archeologico Torinese.
L'ACQUEDOTTO DI EMANUELE FILIBERTO: UN'OPERA DISCUSSA
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Una struttura ad arcate, definita esplicitamente "acquedotto", indicata dalla lettera X, compare nella prima rappresentazione di Torino risalente al 1572, commissariata dal Emanuele Filiberto al pittore fiammingo G. Carracha (Jan Kraeck). Taluni hanno ravvisato in essa i resti dell'acquedotto romano, ma è probabile che si tratti invece di una complessa opera idraulica voluta dal Duca per rifornire d'acqua il giardino della propria residenza.

L'acquedotto è ben visibile anche in varie rappresentazioni pittoriche seicentesche, tra cui un disegno preparatorio della veduta di Torino a volo d'uccello del Theatrum Sabaudie, peraltro omessa nella versione definitiva della raccolta.
Fonte: Gallica - BNP
LA RETE FOGNARIA
Presso i Romani era ritenuta norma igienica prioritaria allontanare gli scarichi e i liquami dalle città e prevenire gli allagamenti e i danni causati dalle precipitazioni più intense. I resti della rete fognaria costituiscono la maggiore testimonianza idraulica della colonia taurinense. (9) I cunicoli sotterranei erano larghi in media 60 cm, alti circa 160 cm e formati da murature a sacco in ciottoli legati da malta, coperti con volta a botte e rivestiti di mattoni all'interno per facilitare lo scorrimento delle acque. La rete si sviluppava nel sottosuolo delle principali strade per circa dieci chilometri, raccogliendo le acque piovane attraverso chiusini posti a regolare distanza e gli scarichi delle abitazioni patrizie. Data l’inclinazione del territorio ed il drenaggio prevalentemente ad oriente, gli assi portanti del sistema correvano sotto i decumani, verso cui confluivano le canalette dei cardines, scaricandosi nel Po e, secondariamente, nella Dora. Per rallentare la velocità dei flussi, scongiurare i rigurgiti ed evitare i basamenti delle torri di guardia, i condotti in uscita dalla città tagliavano la cinta muraria in diagonale. Si può immaginare che la pulizia dell'abitato e la pubblica igiene richiedessero volumi d’acqua considerevoli e regolari, comunque venissero procurati.
Un reperto di grande interesse è venuto alla luce nel 1938 nel corso dei lavori di rifacimento di via Roma, quando alla profondità di 5 m sotto il piano stradale è stato ritrovato un collettore fognario di ragguardevoli dimensioni, alto ben 2,75 m e largo 1,80 m all'esterno, e rispettivamente 1,85 m e 0,60 m all'interno. Le pareti e il volto in muratura mista di mattoni e pietrame facevano corpo con il fondo di mattoni appoggiati su muratura concretizia e la copertura di circa 35 cm di raggio. (10) Il condotto usciva dalle mura meridionali attraversando in diagonale la futura piazza S. Carlo, proseguendo verso sudest e via Arcivescovado. Posizione e dimensioni lasciano supporre che il cunicolo, coperto anche in aperta campagna, servisse l’anfiteatro eretto fuori la porta Marmorea, smaltendone le acque reflue bianche e nere e forse quelle dei giochi acquatici. (11) Ampie rimanenze dell’opera sono visibili nel parcheggio sotterraneo di piazza CLN.
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(9) Si vedano, tra gli altri: Guida archeologica di Torino, Vol. II, a cura del Gruppo Archeologico Torinese, Torino, 2010, in particolare le pp. 7-12 e 22-26; Torino Romana, op.. cit.; C. Promis, Storia della Torino antica, Torino, ristampa anastatica 1969, A. Viglongo & C. Editori, pp. 184-185; la voce Impianti idraulici di MuseoTorino.
(10) Torino Romana, op. cit, p. 23.
(11) L'effettivo svolgimento di battaglie navali e giochi acquatici nell'anfiteatro taurinense è però discusso dagli archeologi.


Fig. 1.6 - A sinistra: incrocio della cloaca principale con un ramo secondario, in via Conte Verde. A destra: il grande cunicolo fognario conservato nel parcheggio sotterraneo di piazza CLN.
Fonte: Museo Torino e Torino Storia.
LA FORZA MOTRICE IDRAULICA
L'utilizzo dell’energia meccanico-idraulica nella colonia romana è stato ipotizzato da vari studiosi, ma la questione rimane controversa. Secondo F. Rondolino, al tempo del vescovo Massimo, presso la porta Palatina i tessitori utilizzavano fullones da panni mossi da un canale derivato dalla Dora. (12) Le testimonianze di attività in loco legate al fiume non mancano, e in tal senso si giustificherebbe, ad esempio, l'uso termale di un grande edificio pubblico decorato, i cui resti sono stati rinvenuti sotto l'odierna piazza Emanuele Filiberto. Più in generale, l'esistenza di strutture pubbliche di probabile natura produttiva o commerciale renderebbero plausibile lo sviluppo fin dall'età romana, e forse anche prima, di un popolato quartiere manifatturiero tra il margine cittadino settentrionale e il fiume. (13) Anche le caratteristiche naturali del territorio favorivano la captazione delle acque. L'analisi geologica ha confermato la formazione in passato di ramificazioni laterali nel tratto pianeggiante della Dora, potenzialmente utilizzabili per il movimento di macchine idrauliche, in seguito abbandonate spontaneamente, scomparse per rettifica, o colmate per consentire l'insediamento. (14) Tuttavia un quadro ambientale favorevole e la probabile esistenza di un suburbio produttivo, di cui peraltro non possiamo delineare l'assetto, non sono sufficienti per affermare l'impiego abituale congegni idraulici nella colonia torinese. E' probabile che la follatura dei tessuti, effettivamente praticata in età romana mettendo a bagno le pezze tessute in grandi vasche piene d'acqua e battute con i piedi e sfregate con le mani, fosse affidata a manodopera schiava
L'esistenza di forme di insediamento esterne le mura settentrionali di Augusta Taurinorum è corroborata dall'imponente fronte di anfore rovesciate risalente al I-II secolo d.C. scoperto in prossimità della Dora fra il 1830 e il 1838. Le anfore erano poste, rovesciate, nel sottosuolo a circa due metri di profondità e ordinate su uno o due strati che coprivano un’area di circa mezzo chilometro di lunghezza per oltre 250 m di larghezza, collocato dal Promis «nel tratto che va da piazza della Frutta (Porta Palazzo) all’ospizio Cottolengo». Egli attribuì loro una funzione nella produzione dell’argilla, ma interpretazioni più recenti ritengono costituissero un sistema di drenaggio, contenimento e bonifica del terreno acquitrinoso a protezione del borgo esterno dalle esondazioni della Dora. (15)
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(12) Atti della Società Piemontese di Archeologia e delle Belle Arti, F. Rondolino, Storia di Torino antica, Torino, 1930, p. 337. L'ipotesi di un generico uso di macchine idrauliche nella colonia romana è formulata anche da altri studiosi, tra cui A. Cavallari Murat nell'opera più volte citata, ma oggi pare poco accreditata. Va rilevato che il Rondolino considera Principalis Sinistra la porta Palatina, generalmente indicata invece come Porta Principalis Dextra.
(13) Un ampio e aggiornato resoconto dei ritrovamenti romani nell'area di porta Palazzo è contenuto nella Verifica preventiva dell'interesse archeologico, e nella Proposta dei sondaggi archeologici, in Città di Torino - "Intervento di ristrutturazione urbanistica in piazza della Repubblica 13", a cura di F. Occelli.
(14) E' probabile che in origine, in epoca medioevale, i Molassi, ossia i grandi molini da grano della città di Torino, siano stati alimentati da una divagazione secondaria della Dora. Cfr. in merito V. Marchis, Acque, ruote e mulini in "Acque, ruote e mulini a Torino", a cura di G. Bracco, Vol. II, Archivio Storico della Città di Torino, Torino 1988, pag.
(15) C. Promis, Storia della Torino antica, cit. p. 192. L'autore valutò l'opera costituita da almeno 1.350.000 pezzi, forse addirittura più di un milione mezzo, giudicandola un ritrovamento colossale che non trovava paragoni altrove. Gli scavi iniziali, peraltro, non hanno trovato altri riscontri successivi e oggi si pensa che le anfore non costituissero una linea di protezione continua, ma coprissero soltanto piccole aree dove il terreno era più umido e meno stabile. Si vedano anche le voci di MuseoTorino 'Bonifiche e drenaggi del terreno', 'Una gigantesca opera di bonifica?' e inoltre Città di Torino - Intervento di ristrutturazione urbanistica, cit.
LA NAVIGAZIONE FLUVIALE
Augusta Taurinorum non è ritenuta una città fluviale, sia per la posizione sopraelevata e la distanza che la separava dai suoi fiumi, sia perché la fondazione rispondeva in primo luogo al controllo dei transiti alpini. Si ritiene però che la romanizzazione abbia sviluppato la navigazione commerciale fluviale praticata in precedenza. I Celto-Liguri pare percorressero il Po a partire da Bodincomagus - la città romana di Industria, oggi Monteu da Po - posta alla foce della Dora Baltea valdostana, dove si attestavano le imbarcazioni che risalivano dall' Adriatico e dove convergevano le popolazioni montanare delle Alpi e degli Appennini occidentali per le fiere. (16) E' possibile che in condizioni favorevoli le loro zattere risalissero, o navigassero, anche il corso della Dora Riparia.
Secondo Plinio il Vecchio le imbarcazioni raggiungevano Augusta Taurinorum. E' logico attribuire la percorribilità dei circa 25 km dopo l'approdo di Bodincomagus alla sistemazione di fondali e sponde realizzata tra il I e il II secolo a.C. per contenere ramificazioni e divagazioni ed aumentare la profondità e il pescaggio del fiume, a cui contribuivano anche gli apporti d'acqua della Dora Riparia e della Stura di Lanzo. Alla luce della narrazione di Plinio, la colonia costituiva il terminale ultimo dell'asse fluviale adriatico-padano e possedeva necessariamente un porto, come suggeriscono le tracce di probabili magazzini per le merci ed edifici commerciali rinvenuti nei pressi del Po e della Dora. (17) E' comunque plausibile che la città fosse raggiunta dai natanti di minori dimensioni, subordinatamente alle effettive condizioni dei fiumi.
Fattori di ordine naturale condizionavano in concreto la percorribilità dei fiumi torinesi e le tipologie dei mezzi che li solcavano. Pur in presenza di precipitazioni più abbondanti delle attuali, le portate dei corsi d'acqua erano limitate dalla vicinanza alle sorgenti e, nel caso della Dora Riparia, dalla natura spiccatamente torrentizia e dalla variabilità stagionale. La sua navigabilità era ostacolata anche dal rallentamento della corrente nel tratto pianeggiante, e terminale, dove il flusso si ramificava in più alvei poco profondi. Per contro, i pochi chilometri rimanenti prima della confluenza potevano essere risaliti dal Po fornendo così un secondo approdo alla città.
Le imbarcazioni utilizzate dai Romani e dalle popolazioni precedenti dovevano essere piccole, leggere e capaci di manovrare velocemente eseguendo curve anche strette per affrontare le correnti irregolari e i banchi di ghiaia affioranti. Le più usate erano probabilmente piroghe di varie dimensioni e fogge, simili a quelle rinvenute altrove in Piemonte. Il trasporto di pietre, legname e merci pesanti si suppone fosse affidato a zattere corte e non troppo larghe, formate da tavole e traverse in legno, che per contenere il dislocamento e consentire il maggior carico possibile si presume fossero costituite da scafi affiancati. Sotto il profilo archeologico, va però osservato che, pur nella certezza di rotte e trasporti, in Piemonte non sono state ritrovate navi da carico di età romana. (18)
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(15) G. Uggeri, La navigazione interna della Cisalpina in età romana in: “Antichità Altoadriatiche XXIX (1987), Vol. 2, EUT Edizioni Università di Trieste, Trieste, 1987, pp. 323-324.
(16) Marco Bonino, Argomenti di archeologia navale in Piemonte, Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, Anno XXI, 1967, pp.16-28.
(17) I lavori di costruzione del parcheggio sotterraneo di piazza Vittorio Veneto, che hanno portato alla luce i resti di vasto edificio di circa 1000 mq di superficie, con molte delle caratteristiche dei magazzini di stoccaggio (horrea). Cfr. S. Caranzano, Archeologia in Piemonte prima e dopo Ottaviano Augusto, ANANKE, Torino, 2012, p. 134 e segg. Per la Dora, oltre quanto già detto, si veda anche: Bocco Guarneri, Il fiume di Torino: viaggio lungo la Dora Riparia, Città di Torino, 2010, pag. 140.
(18) Argomenti di archeologia navale, cit.
Online dal: 03/03/2023
Ultimo aggiornamento: 19/03/2023