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Le Funzioni

La bealera Cossola

Fin dalle origini la bealera Cossola ebbe principalmente funzioni agricole, tuttavia nel lungo lasso di tempo della sua esistenza le sue acque trovarono anche altri impieghi. I maggiori, in epoche assai diverse, furono a Collegno il movimento dato alle turbine della centrale idroelettrica in regione Sebusto; a Torino il funzionamento dell’Edificio degli Sperimenti Idraulici della Parella e dei molini della Molinetta. Tra le concessioni diverse anche quelle di forza motrice destinata a qualche opificio di modesta entità e quelle per la formazione dei bacini del ghiaccio. Negli anni Trenta i rami cittadini della bealera furono integrati nel sistema fognario cittadino e i tratti ancora esistenti, benché non più adacquati, svolgono ancora residue funzioni di drenaggio delle acque piovane.

LA GESTIONE DELLE ACQUE DELLA BEALERA
 

I fascicoli della cartella n° 42 dell’archivio del fondo Consorzi bealere, Consorzio della bealera Cossola, custoditi presso l'Archivio storico del comune di Torino, dedicati alla “gestione delle acque,” contengono abbondanti materiali riguardanti le concessioni rilasciate  nel corso di oltre cento anni a partire dai primi decenni dell’Ottocento. Una parte importante di essi concerne, per forza di cose, le concessioni agricole, ma non mancano quelle industriali e per altri usi, quali la produzione di forza motrice, la formazione del ghiaccio e il deflusso degli scarichi.

L’insieme di questi documenti offre un’originale prospettiva di lettura dei profondi mutamenti otto-novecenteschi subiti dalla città nelle loro coniugazioni politiche, urbanistiche e territoriali, sullo sfondo degli eventi della grande Storia nazionale, quali la Grande guerra ed il fascismo. Innumerevoli riferimenti riconducono all’elevazione della cinta daziaria, alla costruzione delle strade ferrate, alle  progressive onde di espansione della città, alla modernizzazione del sistema produttivo, al declino delle attività agricole. La protagonista di questo scenario è, ovviamente, l’industria. Nella documentazione non manca qualche traccia lasciata dai colossi della grande impresa torinese (che essenzialmente utilizzano le acque della bealera per usi irrigui nei dopolavori), ma sono sicuramente più preziose quelle che riconducono alla miriade di imprese minori - nonché di istituzioni sociali, culturali, caritatevoli e sportive - dimenticate, o quasi, dalla narrazione della storia e dalla  memoria collettiva cittadina.

Il trend economico e il processo di urbanizzazione dei territori attraversati dalla bealera sono, come ovvio, facilmente prevedibili. Più interessante è rilevare che essi si dipanano su un tempo molto lungo, nel corso del quale il cambiamento procede per gradi e che robuste caratteristiche rurali prima e "rurban" poi resistono più a lungo di quanto ci si potrebbe aspettare, fino almento al "salto quantico" del "miracolo economico".

LE FRUNZIONI AGRICOLE

Le acque della bealera Cossola erano utilizzate per irrigare orti, giardini, campi e prati, per abbeverare il bestiame e per sopperire alle molteplici necessità in un ampio spazio rurale di ben 1880 giornate di terra (pari a 720 ettari) sparso nelle campagne di Parella, Pozzo Strada, San Paolo, Crocetta, Nizza, Millefonti e Lingotto. (1)

La stagione delle irrigazioni era compresa tra gli equinozi di primavera e d'autunno. Durante tale periodo l'acqua era ripartita tra gli utenti in base alle ore d'acqua settimanali da essi detenute. (E quindi non secondo le dimensioni dei terreni). Un'ora d'acqua corrispondeva al diritto di servirsi senza interruzione dell’intero flusso scorrente in uno o più bracci della bealera per sessanta minuti, estraendolo e conducendolo a destinazione mediante appositi bocchetti. Nel resto dell’anno l'utenza poteva servirsi dell'acqua lasciata scorrere negli alvei per l’abbeveraggio del bestiame, senza deviarne o interromperne il flusso per nessun motivo. (2)

Le ore d’acqua della bealera erano frequentemente comprate, vendute, affittate e subaffittate secondo necessità di proprietari e fittavoli. Talora erano perfino sottratte o contese. Tali operazioni, riguardanti anche soltanto poche ore irrigue settimanali, hanno prodotto una mole di materiale interessante, ma così abbondante e frammentata che non è possibile riportarne il dettaglio, neppure per un sito specializzato come questo. Chi eventualmente fosse interessato potrà approfondire consultandola direttamente presso l'archivio storico del Comune di Torino. (3)

Secondo la mappatura S.I.B.I. - Regione Piemonte del 2010, la bealera non svolge più funzioni irrigue, se non con l'eccezione, forse non confermata a tuttoggi, di un modesto spazio agricolo dopo il ponte di via Sebusto, delimitato dal fiume e da via borgo Dora.

LA PRATICA IRRIGUA 

Secondo il Regolamento della bealera (*) ogni utente aveva l’obbligo di mantenere in perfetta efficienza il proprio bocchetto - composto da incastro, cavo di presa e paratoia - per chiudere il braccio e introdurre l’acqua nel cavo che faceva capo alla diramazione di appartenenza. (art. 50). Esso, quando giungeva il proprio turno, chiudeva il braccio e apriva contemporaneamente il bocchetto di presa di sua competenza; quello che gli succedeva toglieva la paratoia sul braccio quando arrivava il proprio turno e chiudeva il bocchetto dell'utente anteriore e così via, (art. 54) sicché lungo il braccio potesse stare solo aperta la presa per cui cadeva l'orario dell'acqua, mentre, quando non era il loro turno, le altre superiori ed inferiori dovevano rimanere perfettamente chiuse. (art. 55). Situazioni particolari o casi eccezionali erano normati con dovizia di indicazioni e non mancavano sanzioni severe per chi non rispettava la distribuzione delle ore d’acqua, nell’ordine di L. 20 per ogni volta, e ogni 15 minuti, di sforamento (Art. 56).

(*) Cfr. Regolamento del Consorzio della bealera Cossola e sue diramazioni, Tipografia S. Giuseppe degli Artigianelli, Torino, 1914.

LA FORZA MOTRICE

La natura agricola della bealera, che per coprire un territorio molto vasto si divideva in più rami, ciascuno dei quali dalla portata modesta, la rese inadatta alla produzione di forza motrice e per lungo tempo le ruote idrauliche installate ai molini della Molinetta in regione Porcaria, vicino al Po, furono le uniche che essa alimentava. Tra Otto e Novecento tuttavia venne rilasciata qualche concessione industriale, peraltro con limiti evidenti e risultati assai modesti.

La ruota De Medici.

Luigi De Medici, del fu Gerolamo, (Demedici nei primi documenti) è un imprenditore di origine bresciana residente a Torino. Egli avvia l’attività di fabbricante di fiammiferi in borgo Dora sul viale della Veneria Reale, e quindi al di là del fiume in un sito lungo lo stradale di Lanzo. Il suo nome occupa un posto importante nella storia della produzione dei fiammiferi per aver introdotto in Piemonte i cerini detti “svedesi”. Nel 1858 il "Giurì" dell’Esposizione di prodotti delle industrie di Torino gli conferisce la medaglia d’argento per aver adottato nella fabbricazione dei «solfanelli» il fosforo amorfo in sostituzione del fosforo comune, la cui lavorazione era molto pericolosa per le maestranze. (4) Pochi anni dopo egli trasferisce gli impianti nei pressi della barriera daziaria di Nizza incrementando le produzione e gli occupati. (5) Il 2 marzo 1869 l'imprenditore chiede di collocare una ruota idraulica sul ramo Pissoira della bealera Cossola, a vantaggio dello stabilimento di via Nizza. L’Ufficio d’Arte della Città esprime parere favorevole e suggerisce di elevare a 90 cm l’altezza del salto d’acqua da sfruttare, così da ottenere una quantità di forza motrice più che doppia. L’autorizzazione è concessa il 9 novembre 1870; l’atto ufficiale è stipulato il 25 febbraio successivo, benché il De Medici abbia già provveduto ad installare la ruota senza attendere i tempi della burocrazia municipale. La concessione ha durata di 18 anni, il canone fissato ammonta a L. 100 annue. (6) L’impianto possiede un potenziale dinamico di soli 2.2 cavalli e il canone tiene conto delle reali possibilità operative. L’Amministrazione è conscia che il potenziale della ruota non è affatto costante. Sebbene la portata normale del canale raggiunga circa i 400 l/s, nel periodo che va da maggio a settembre gran parte dell’acqua è assorbita a monte dalle irrigazioni e, nonostante gli ulteriori scoli raccolti strada facendo, la quantità effettiva a disposizione dello stabilimento è assai poca, quando, come non di rado accade, non manchi del tutto. Per contro il salto si trova in posizione vicina alla Città, favorevole allo sviluppo dell'industria, e il suo sfruttamento non richiede particolari interventi. Inoltre i canoni di concessione unitari erano inversamente proporzionali al quantitativo di energia prodotta, e quindi più elevati per le installazioni minori. (7)

DeMedici
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Stab. De Medici a Torino
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Posizione degli stabilimenti Mola e De Medici in via Nizza. La fabbrica di fiammiferi De Medici è collocabile nell'isolato delimitato dalle odierne vie Nizza e Tiziano, via Saluzzo, p.za A. Graf e via Cellini, all’incirca in corrispondenza dei numeri civici 139-141 attuali  di via Nizza. Lo stabilimento Mola si trovava invece all'angolo di via Nizza con via Petitti. Esso era lambito dalla Pissoira, che dalla mappa del Catasto Rabbini si deduce corresse approssimativamente sull'asse delle future vie Petitti e Saluzzo.

Fonte: AST, Catasto Rabbini, Comune di Torino, Tav. XXXI (particolare)                                           Fonte: Google Earth e nostra elaborazione

La fabbrica di zolfanelli De Medici nelle descrizioni del tempo.

     Così C. Anfosso, nella seconda metà dell'Ottocento, descrive lo stabilimento: «Il De Medici riuscì in pochi anni a convertire una modesta fabbrica di zolfanelli in una piccola città operaia. Macchine ingegnose tagliano gli stecchetti di legno, le dispongono in fila entro piccoli torchi, fabbricano le candele di stearina, dei fiammiferi di cera, tagliano il cartone, lo foggiano in quelle eleganti scatole a tiratoio che vennero imitate da tutte le altre fabbriche, una litografia nello stabilimento prepara le belle cromolitografie, dai soggettini arcadici, storici, biblici, pittorici, plastici, talvolta troppo plastici, secondo tutti i gusti degli uomini, e non basta i bisogni, si da dover ricorrere ad altri stabilimenti litografici.

     In breve tempo vedete il legname convertirsi in istecchi, ricevere la provvigione di solfo, la capocchia di fosforo; il filo di cotone cambiarsi in cerino, ed il tutto messo in iscatola ed accolto in enormi magazzini; quella fabbrica, prima per importanza fra le altre d’Italia, vi dà per pochi centesimi una galanteria di scatola, leccata (sic) inverniciata, dipinta, elegante, comoda, quale non si avrebbe potuto avere alcuni anni fa per 0,50 centesimi. E tutto questo è frutto di una costanza tenacissima, di uno slancio industriale come predestinato; di un buon gusto artistico, tutto italiano. La fortuna di questa fabbricazione ha destato in Italia fra gli industriali hanno concorrenza del buon gusto, nella perfezione, una emulazione nei pressi di straordinaria. Un fabbricante dalla scatola indorata, un’altro (sic) della fa in rilievo, un terzo vi appiccicano specchietto, un quarto di aggiungere una piccola candela!»

Cfr. C . Anfosso, Torino industriale, in: Torino, Roux e Favale, Torino, 1880, pp . 820-821.

     Anche il Riassunto statistico del movimento professionale e industriale avvenuto a Torino nel quadriennio 1858-61 dedica parole lusinghiere allo stabilimento, infatti: «La fabbricazione dei fosforici trovò in Torino uno dei più intelligenti ed attivi fabbricanti nel signor Demedici Luigi. La sua fabbrica, di già antica data, è rinomatissima anche all’estero. Impiega 125 operai, produce nove milioni di scatole all’anno. Si distinguono per pregio speciale i fosforici impermeabili e quelli a cerino. Egli si accinge eziandio alla fabbricazione degli amorfi, ossia a fosforo spento, e quindi non più venefico; invenzione utilissima e ben degna d’incoraggiamento per parte di tutti ì cittadini, non che del Governo». 

Cfr. Riassunto Statistico del movimento professionale avvenuto in Torino nel quadriennio 1858-61,

Torino, 1863, Eredi Botta, p. 86.

Pochi anni dopo, con atto del 13 novembre 1874, lo stabilimento di via Nizza ed i relativi diritti d’acqua passano alla "Societè General Anonyme des Allumettes Causemille Jeune et Compagnie de Paris et Roche et Compagnie de Marseille" e Luigi De Medici abbandona Torino. Ben presto la società francese chiede la risoluzione della concessione della ruota. In un memoriale dato 8 agosto 1879 essa lamenta la totale mancanza d’acqua in alcuni periodi dell’anno, acqua che peraltro risulta incerta, variabile e saltuaria in ogni stagione, al punto di non poter fare alcun affidamento sulla forza motrice prodotta. Un’ispezione dell’Ufficio d’Arte del Comune conferma che la ruota idraulica non è utilizzata nemmeno quando il volume d’acqua nel canale è considerevole. Nonostante il caso non rientri tra quelli contemplati per la rinuncia anticipata della concessione, ancora ben lontana dalla scadenza naturale, in virtù del cessato impiego della ruota, e forse consapevole delle limitate possibilità strutturali della stessa, il Municipio acconsente alla revoca della concessione a partire dal 1 ottobre 1880, subordinandola alla rimozione di ruota e salto al ripristino delle condizioni originarie della bealera. La questione è definitivamente risolta nel 1882. 10 anni, nel 1892, dopo lo stabilimento si giova di un motore a vapore di 10 cavalli ed occupa 480 lavoratori, di cui 280 donne, 50 di loro con meno di 15 anni di età. La società possiede anche una fabbrica a Piobesi torinese con 150 addetti. (8)

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Pianta e sezione della ruota De Medici. Come si vede l'impianto è assia semplice: la ruota, alimentata sul fianco, si trova all'esterno all'edificio principale dello stabilimento ed è ricoverata sotto una semplice tettoia. Essa risulta  dotata uno scaricatore di bypass parallelo al canale e dei meccanismi indispensabili per il controllo del flusso d'acqua.

Fonte: ASCT,  Atti Notarili 1871, vol. 60, pag . 51 (CTRL)

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Il Novecento registra l’installazione di almeno altre due ruote idrauliche sulla bealera.

La ruota Mola.

La prima concessione è rilasciata al Primo Stabilimento Italiano a Vapore per Pianoforti, Armoniun ed Organi di Chiesa del cav. Giuseppe Mola nel 1903. (9) La fabbrica di trova in via Nizza 82, all’angolo con via Petitti e la bealera è la Pissoira. La ruota idraulica è richiesta con lo scopo di sussidiare la forza motrice elettrica e del vapore di cui dispone lo stabilimento, ma le sue scarse potenzialità emergono già in fase di progetto, quando risulta difficile stimarne sia il potenziale, sia la quantità d’acqua realmente  disponibile a causa del regime saltuario ed irregolare della bealera. Non di meno, la concessione sarà rinnovata nel 1907 per sopperire alla penuria di carbone a livello nazionale. (10)

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Affiche pubblicitaria della ditta Mola.

 

Fonte: Catalogo Mola 1898

Un molino tardivo ai confini della Città.

La seconda domanda di concessione risale al 1922 ed è avanzata dai comiugi Borsello Giuseppa e Canuto Amedeo. Essa riguarda la costruzione di un molino dotato di una ruota a palmenti all'interno di un terreno acquistato dai f.lli Tiboldo. La proprietà risulta attraversata dalla bealera Giorsa e, delimitata dalla nuova cinta daziaria e dalla strada comunale di S. Paolo, sarebbe oggi collocabile tra le vie Guido Reni e Monfalcone in prossimità della conver-

1922-Molino Canuto sulla bealera Giorsa

Nell'area indicata esistono ancora rimanenze di vecchi fabbricati industriali, tra i quali potrebbe esservi ancora il molino dei coniugi Canuto.

Fonte: Google Maps

genza con via Arbe. Il molino avrebbe utilizzato un salto di 1.60 m, generando circa 6 Hp di potenza. Si trattava quindi di un impianto modesto, che trovava la propria ragion d’essere nei numerosi cascinali ancora presenti nel raggio di parecchi chilometri, i cui abitanti erano obbligati a recarsi a molini lontani per macinare i cerali. Non è però sicuro che il molino sia stato effettivamente costruito. (11)

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Il progetto mostra il progetto del molino Canuto da costruirsi sul ramo Giorsa. La bealera scorre parallela alla Becchia in un  territorio in cui i nuovi assi stradali, prgettati ma ancora in buona parte da realizzarsi, interferiscono con la rete irrigua, destinata ormai a essere coperta o scomparire. Il molino è costituito da una semplice costruzione che ospita, presumibilmente, una o due macine. La ruota idraulica è di tipo tradizionale e misura 4 m  di diametro e 1.20 m di larghezza. Anche in questo l'impianto è dotato di un semplice scaricatore laterale e dai meccanismi di controllo del flusso. La sua realizzazione richiede l'abbassamento del fondo del canale per ottenere un dislivello d'acqua adeguato.

Fonte: ASCT, Consorzio bealere, bealera, Cossola, Cart. 42/6

FUNZIONI DIVERSE

Nella seconda metà dell’Ottocento l’accelerazione dello sviluppo moltiplica le domande di concessione d’acqua per usi industriali, edili e civili, questi ultimi spesso per surrogazione della fognatura bianca nelle aree non ancora allacciate alla rete cittadina. Il Regolamento della bealera consente tale tipo di impieghi, a condizione che siano soggetti ad esplicita autorizzazione ed a canone (12). L'amministrazione del canale non è contraria a tali concessioni, anche per gli incassi che generano a favore delle casse consortili, ma è tuttavia molto attenta a salvaguardare prerogative e diritti delle utenze irrigue, prestando la massima cura ad evitare conflitti e contenziosi ed a tutelare la natura agricola e rurale del canale. Le domande per funzioni di cantiere (quali ad esempio il lavaggio delle ghiaie), per il raffreddamento degli impianti industriali, per la produzione del ghiaccio e per lo scarico negli alvei delle acque reflue bianche, piovane e di altra natura, sono in genere soddisfatte di buon grado. Maggiori cautele sono invece prestate per l’immissione dei residui dei lavaggi industriali, al fine di assicurare la potabilità, almeno approssimativa, dell’acqua destinata ad abbeverare gli animali. Tutti i prelievi non irrigui sono comunque subordinati alla completa restituzione delle acque alla bealera.

I bacini del ghiaccio.

Il Regolamento della bealera contempla che nel periodo compreso tra l’inizio dicembre e la fine di febbraio proprietari e fittavoli, siamo o meno membri del Consorzio, possano ottenere concessione per  immettere le acque della bealera nei bacini per la formazione del ghiaccio, sempre senza causare pregiudizio ad altri. Il canone previsto è di L. 2 per ogni ara (100 mq) di superficie occupata. A fine Ottocento la domanda si divide tra agricoltori e società sportive di pattinaggio. Se le richieste sono troppe si procede ad una licitazione tra i concorrenti per concedere le ghiacciaie ai migliori offerenti. (13)

RICHIESTE DI CONCESSIONE D'ACQUA DELLA BEALERA COSSOLA PER LA FORMAZIONE DEI BACINI DEL GHIACCIO

Fonte: ASCT, Consorzio Bealere, Bealera Cossola, Cart. 42 (Gestione acque),  fasc. 1 - Richieste per bacini del ghiaccio

Al di fuori della stagione agricola, i rami Colleasca e Porta della bealera potevano integrare o surrogare le acque del canale del Martinetto, svolgendo un servizio fondamentale per la Città ed i suoi molini. Ciò avveniva in caso di necessità o emergenza, ad esempio quando si procedeva alla purgatura del canale principale o si verificavano rotture lungo il suo corso. (14)

Come si è più volte detto, esaurite progressivamente le necessità agricole man mano che poderi e cascine cedevano il passo all’avanzata della città, le acque della bealera sono state convogliate nella rete fognaria torinese. In seguito anche tale uso è venuto meno. Tuttavia le articolazioni urbane superstiti della bealera, al pari delle altre canalizzazioni municipali non più alimentate, continuano a drenare l’acqua piovana svolgendo così la residua funzione di canali bianchi. La riattivazione della centrale idroelettrica in regione Sebusto a Collegno giustifica a tutt'oggi l’esercizio del tratto iniziale della bealera.

(cliccare  sull'immagine o sul testo per andare alla pagina)

E' stato il solo impianto industriale moderno alimentato dalla bealera. Costruita all'inizio del novecento e poi dismessa, è stata recentemente riattivata.

I molini della Molinetta utilizzavano gli ultimi scoli delle irrigazioni alimentate dalla Cossola e per secoli sono stati l'unica utenza non irrigua.

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note
NOTE
  1. Il dato è relativo alla metà del XIX secolo. Cfr: Progetto per lo Ripartimento della acque del fiume Dora Riparia... formato dalla Commissione creata colle Patenti 6 agosto 1839. Documenti al detto Progetto relativi (Relazione Pernigotti), Chirio e Mina, Torino, 1851, pag. 120 e segg. Da documentazione interna del Comune di Torino si apprende che la superficie irrigata dalla bealera scese a 244 ettari nel 1933, quando il Municipio acquisì le competenze sul canale, e a soli 5,4 ettari nel 1997 al rinnovo della concessione.

  2. Cfr: Regolamento del consorzio della bealera Cossola e sue diramazioni, Tipografia S. Giuseppe degli Artigianelli, Torino, 1914, art. 6, p. 5.

  3. Cfr: ASCT, Consorzi Bealere, Consorzio Bealera Cossola, cart. 42 (Gestione Acque), f 3 - Richieste d'affitto annuale di ore d'acqua (1839-1931).

  4. Cfr. Relazione dei giurati e giudizio della R. Camera di Agricolture e Commercio della Esposizione nazionale dei prodotti delle industrie seguita Nel 1858 indotto in Torino, Stamperia dell'Unione Tipografico-Editrice, 1860, p. 110-111. - Il “Giudizio” di assegnazione del premio rileva che «è pur nota l’azione perniciosa che esercitano i vapori di fosforo sopra gli operai che negli opificii li respirano, onde derivano infermità gravissime, quale la necrosi delle ossa mascellari-, ed è poi disgraziatamente conosciuta la venefica influenza del fosforo ingerito, il quale divenne già, e troppo spesso, strumento con cui si ponessero in atto crudelissimi disegni. Minor danno, ma pur grave ancora, si lamenta dal volgare e comune uso dei solfanelli fosforici, gl’incendii frequenti perpetrati a disegno, e spesso per incuria o per imprudenza». In questo senso l'utilizzo il fosforo amorfo è considerato un impegno «umanitario» poichè «ogni tentativo di avvelenamento tornerà inutile coi solfanelli di tal natura». Cit.

  5. Cfr. R. Luraghi, Agricoltura, industria e commercio in Piemonte dal 1848 al 1861, Palazzo Carignano, Torino, 1967, p. 139. -  A quel tempo la ditta è già nota in Italia e all'estero, Americhe comprese. La qualità dei cerini e l'eleganza delle scatole e delle confezioni è riconosciuta dai molti premi ottenuti nelle esposizioni industriali, tra cui la medaglia d'argento vinta a Torino del 1858. Dieci anni dopo egli aprirà un secondo opificio a Piobesi e un terzo a Rivalta, ai quali si aggiungerà una litografia destinata alla realizzazione delle scatole. Dopo la cessione degli impianti torinesi Giuseppe De Medici, il fratello Giacomo ed il cugino Ettore continueranno l’attività a Milano. Dalla società da loro costituita nascerà in seguito la S.A.F.F.A. - Società Anonima Fabbriche Riunite di Fiammiferi, che ha cessato l'attività solo nel 2002. cfr: «Pinacoteca tascabile» 1870-1920. Cinquanta anni di immagini per le scatole di fiammiferi, catalogo mostra, a cura di P. Pacini, R. Bittoni, San Giovanni Valdarno 1994.

  6. Cfr: ASCT, Atti Notarili, Vol. 60 – 1871, pag. 58 e segg.

  7. Ivi.

  8. Cfr: ASCT, AA.LL.PP. 1880 – 98/7. Per i dati 1892: Supplemento annuale alla Enciclopedia di Chimica Scientifica ed Industriale, 1893-94, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1894, p. 437

  9. Il torinese Giuseppe Luigi Molla (1837-1928, il cognome divenne Mola in seguito ad una svista burocratica di trascrizione) fondò la propria azienda nel 1862 a Torino, allora capitale italiana degli strumenti musicali a tastiera, occupando già un centinaio di addetti. La fabbrica per lungo tempo rimase la maggiore del settore a scala nazionale e si distingueva per la qualità e la competitività dei prodotti, attestata dai numerosissimi brevetti e premi ottenuti in sede  nazionale ed internazionale (Tra cui: Torino 1862, 1868 e 1871, Parigi 1867 e 1878, Milano 1871 e 1881, Vienna 1873, Palermo 1891-92) dovuta alla manodopera specializzata e all’impiego di legnami pregiati e macchinari d’avanguardia. A fine secolo risultava dotata di grandi tettoie per la stagionatura e spaziosi depositi per l’essiccatura a vapore del legname, nonché di “potenti motori a vapore ed elettrici” e di oltre 30 moderne macchine che potevano produrre più di mille pezzi l'anno, destinati sia al mercato italiano che a quello estero. Il Mola si vantava di essere l'unico in Italia, e forse in Europa, ad operare in tutti e tre maggiori rami degli strumenti a tastiera: gli armonuim, gli organi da chiesa e i pianoforti, pur costituendo questi ultimi la produzione principale. Cfr: il Catalogo Mola 1898 e il saggio di Annarita Colturato: Un’industria «troppo imperfetta»: la fabbricazione dei pianoforti a Torino nell’Ottocento, pag. 179 e segg. in: Fonti musicali italiane, periodico della Società Italiana di Musicologia,, n. 12, 2007 e Imprenditori piemontesi: progetto per un repertorio, Archivio storico AMMA; a cura di Pier Luigi Bassignana, Torino, Allemandi, p. 231.

  10. Cfr: ASCT, Consorzi Bealere, Consorzio Bealera Cossola, cart. 42 (Gestione acque), f. 6 - Richieste di privati per acqua ad uso industriale (1903-1929). A margine si osserva che una nota dell’8 maggio 1896 Giuseppe Mola che la bealera Pissoira, che costeggia il proprio stabilimento, tende a rigurgitare e ristagnare a causa di uno sbocco chiuso di recente e chiede al Municipio di intervenire per evitare possibili danni. Cfr. ASCT, AA.LL.PP. 1896 211/11.

  11. Ivi.

  12. Cfr: Regolamento del Consorzio della bealera Cossola, cit. art. 9, p. 6.

  13. Cfr: Regolamento del Consorzio della bealera Cossola, cit. artt. 10 e 11, pp. 6-7. Gli interessati dovevano indicare la località e l’estensione approssimativa del bacino e il modo di introdurre e scaricare l’acqua, nonché versare metà del canone dovuto.

  14. Ad esempio si veda il documento datato 20 aprile 1885, secondo il quale: “Di consueto si fissano ogni anno per la purgatura dei canali civici della Pellerina e dei Molassi gli ultimi giorni del mese di aprile, ovvero i primi giorni del mese di maggio perché in questo tempo si può far affidamento per il servizio della Città sull’immissione di acqua nella bealera irrigatoria della Cossola, mentre avanzando la stagione irrigua, l’acqua immessa potrebbe essere integralmente assorbita per l’irrigazione e la Città rimanerne priva.” Cfr: ASCT,  AA.LL.PP. 1885, 150/8. Tale funzione risaliva però anche in un passato ben più remoto.

Ultima modifica della pagina 26/10/2021

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